Commento al Vangelo di domenica 15 Dicembre 2019 a cura di Don Franco Galeone

15 DICEMBRE 2019    III Domenica di avvento (A)

LA SPERANZA SI PAGA CON LA PAZIENZA

 gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים  הקדושים

(francescogaleone@libero.it)

Sei tu colui che deve venire?

  1. Giovanni il Battezzatore, incarcerato, manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù se è lui “quello che deve venire” o se bisogna “aspettarne un altro”. Strana domanda! Giovanni, dopo aver salutato Gesù come il messia, comincia ad avere qualche dubbio. Dove sono le vittorie che Giovanni si aspettava dal messia? Dove la scure e il fuoco? Dove le folle convertite? Dove il trionfo del giusto e lo sterminio dei malvagi? In prigione, Giovanni sembra non comprendere più; Gesù stava alla larga dalla pubblicità; Giovanni parlava di mietitura, di separare i buoni dai cattivi, di tagliare ogni albero senza frutto … invece, Gesù parlava di seminagione, di rimandare alla fine il giudizio, di non essere venuto a separare, ma ad inaugurare. Fu questo il dubbio che tormentò Giovanni in carcere: Dio era diverso dalle sue previsioni, diverso da come lo immaginava.

 

Il Vangelo: una rivelazione rivoluzionaria                                                                                              2. Quando Cristo è venuto nel mondo, ha trovato di fronte a sé una religione stabilita, naturale all’uomo, fatta ad immagine dell’uomo, e l’ha rivoluzionata. Quella religione esaltava la maestà di Dio; temeva la sua giustizia; otteneva il suo favore con alcune prestazioni; Dio puniva i cattivi e premiava i giusti; segni della benedizione divina erano il buon raccolto, la buona salute, la famiglia numerosa … Era una religione naturale, umana, e noi dobbiamo cercare di superarla, perché Dio è soprannaturale, e la sua logica è divina. Giovanni il Battezzatore predicava questa religione; attendeva un re glorioso e potente; annunciava la grande apocalisse a colpi di scure. Quando poi Giovanni ha visto che Cristo era mite e in fila per il battesimo, che non interveniva nelle lotte nazionali, che consigliava ai poveri e ai ricchi il distacco dalle ricchezze, che proclamava beati i pacifici … non ha compreso più nulla, e manda a Cristo un’ambasceria: “Sei  tu colui che deve venire?”. Cristo, infatti, faceva nuove tutte le cose; inaugurava una rivelazione rivoluzionaria; annunciava un Vangelo che nessuno prima di Lui conosceva. Cristo ha rivelato che Dio è sempre e solo tutto amore, che è venuto per amare nelle vesti di un bambino, di un operaio, di un condannato, di un risorto. Davvero tutto è capovolto! Ai peccatori annuncia una festa, alla gente “per bene” assicura l’ultimo posto, alle persone “religiose” augura di uscire dal  loro sepolcro imbiancato.

Il Vangelo inaugura una religione nuova                                                                                                  3. Questa religione “nuova” ci disorienta: l’accettiamo con gioia nei momenti di fervore e di successo, ma il terribile quotidiano ci demolisce; facciamo fatica a portare la croce; le altre croci ci sembrano preferibili, aspettiamo sempre una croce piena di nobiltà e di leggerezza. Giovanni, chiuso in prigione, sul punto di essere sgozzato per capriccio di una coppia dissoluta, si domandava: “Ma Cristo è davvero il messia? Cristo farà qualcosa per liberarmi?”. I pensieri di Dio sono diversi dai nostri, così  Giovanni rimane in prigione, e riceve la risposta che tutto va bene, che proprio così il nuovo Regno si inaugura e consolida. Allora Giovanni soffre, accetta in silenzio, e con la morte dimostra la sua fedeltà al Cristo. Anche noi, quante volte preghiamo Dio di non mandarci quella prova, di godere buona salute, di vincere quel concorso … Quante volte ci chiediamo se è proprio Dio che esige da noi quella prova, se è giusto quanto ci cade addosso, se per noi non c’è proprio nessuna speranza. Anche Paolo pregò di essere liberato da quella spina conficcata nella carne, e venne esaudito: ebbe la forza di sopportare la spina. Anche Cristo pregò il Padre: “Passi da me questo calice”, e venne esaudito: il calice non passò, ma ebbe la forza di berlo sino al fondo. Raccontiamo pure a Dio le nostre sofferenze e le nostre speranze, ma la preghiera finale sia sempre questa: “Padre, non la mia ma la tua volontà si compia. Perché nella tua volontà è la nostra pace”.  

Giovanni aspetta Cristo in  prigione e non seduto in cattedra!                                                                    4. La speranza, davvero radicata sulla fede, non si lascia scoraggiare dai fatti negativi. La speranza è più forte dei fatti, non li aggira ma li modifica. Se io credo che il mondo sarà cambiato, non è perché io intravedo nel groviglio delle passività esistenziali qualche segno positivo, qualche promessa di bene, ma perché c’è la promessa di Dio. Io mi appoggio sulla promessa immutabile di Dio. E perciò la speranza si traduce in pazienza, pazienza non in senso passivo, ma come coraggio, ottimismo, impegno. Avremo sempre più bisogno di questa pazienza, perché oggi sono crollati tanti scenari religiosi, che consolavano i credenti di ieri. Oggi i cristiani dovranno distinguersi non per l’ostinata ripetizione del “depositum fidei”, ma per la volontà di cambiare il mondo, di renderlo come Dio vuole. Per misurare se uno è cristiano o no, gli dobbiamo chiedere non “Che cosa credi?” ma “Che cosa speri?”. Un cristiano che non spera niente, che pensa solo a se stesso, che non si preoccupa delle speranze/angosce dell’umanità, è un cattivo cristiano! Le nostre inquietudini spesso sono inquietudini di gente soddisfatta (per esempio, come dimagrire); le nostre speranze sono spesso piccolo-borghesi (per esempio, come ottenere uno stipendio più alto). La nostra speranza parte, quindi, da una situazione di abuso, di benessere, di intellettualismo. Ecco perché l’Occidente cristiano è attraversato da una stanchezza mortale. Ci contentiamo delle riforme delle riforme, ma non interveniamo in radice, e perciò aumenta l’inquietudine! Per fortuna, nel mondo ci sono tanti segni di speranza! Dobbiamo guardare con simpatia questi germi di bene, dovunque appaiano, senza chiederci se sono nati nella nostra Chiesa o in un’altra. E diventare solidali con tutti gli operatori di speranza, non solo in modo sentimentale, ma attraverso un collegamento operativo. Con pazienza, compromettendosi come Giovanni il Battezzatore, che aspettava Cristo chiuso in una prigione e non seduto in una cattedra di teologia!

Lo sconcerto di Giovanni                                                                                                                              5. Quello che sconcertava Giovanni non erano le “parole” di Gesù ma le sue “opere”. Le “opere” si “vedono”, le “parole” si “ascoltano”. Negli ambienti ecclesiastici si parla molto, si predica molto … e si dicono anche cose sublimi. Perché c’è stato lo sconcerto di Giovanni? Giovanni aveva posto la sua speranza in un Messia che lottava contro il peccato. Invece Gesù ha lottato contro la sofferenza. Questo non entrava in testa a Giovanni. E soprattutto, quale prova portava Gesù di essere il messia? La prova portata da Gesù non è di carattere sacro, né spirituale, né religioso. È qualcosa di umano, molto umano: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi guariscono, i sordi odono, i morti risuscitano, i poveri ascoltano buone notizie. Coincidenza: sono sei, proprio come le sei opere buone del giudizio finale (Mt 25,35). Non ci entra in testa che la soluzione non sta nei discorsi, negli argomenti, nelle teorie e nei dogmi. Un’opera così semplice come una buona accoglienza, un sorriso, un silenzio opportuno, uno sguardo di tenerezza, una conversazione senza fretta, il riconoscere che abbiamo sbagliato … Queste “opere” sono salvezza e speranza. Il vangelo termina con le parole di Gesù: “Beato è colui che non si scandalizza di me”. Ma come è possibile che “rendere felici coloro che soffrono” sia una cosa che “scandalizza”? Perché ci sono teologi e catechisti che continuano a dire che la sofferenza è un dono divino, che la malattia ed il dolore ci avvicinano a Dio. Coloro che la pensano così, sono persuasi che la missione dei “rappresentanti di Dio” non è “dare felicità e vita”, ma “esigere obbedienza qui in terra e speranza nell’altra vita”. Per questo c’è gente che si scandalizza quando sente dire che Dio è presente nella gioia di vivere, nella felicità dell’affetto umano, nel piacere di sentirsi bene. Gesù ci avverte che bisogna stare in guardia di fronte agli “scandali” di questi insopportabili “bigotti” puritani e fanatici. BUONA VITA!

ואצּרנּה עקב   ‎ הוֹרני יהוה דּרך חקיך   (Ps 119:33)

  Insegnami, Signore, la tua volontà, e io la eseguirò!

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