Destrieri del Mare. La Vita degli Ippocampi nel Mediterraneo

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Un pesce tra i più singolari, una delle creature più bizzarre che si possono trovare in mare, forse il pesce più affascinante, è certamente il cavalluccio marino.

La bellezza e la tenerezza, l’aspetto unico e inconfondibile nel mondo animale così come il suo stile di vita, che lo porta a frequentare i fondali poco profondi e più prossimi agli ambienti costieri da sempre popolati dall’uomo, rende questa intrigante creatura tra i più noti animali del mare, fin dall’antichità. Plinio il Vecchio descrisse forse per primo il cavalluccio marino (23-79 d. C.) attribuendogli il nome di “hippus”, dal quale deriva l’odierna denominazione. Il nome greco nasce dalla fusione di Hippos (cavallo) e kampos (mostro di mare). Naturalisti d’altri tempi riferiscono che la polvere ottenuta dai suoi resti era usata in farmacopea. Si parla di cavallucci arrostiti e applicati sulle ferite, della sua polvere miscelata con l’aceto o col miele per creare miracolose pomate, e di molti altri usi davvero strani. Ma l’ippocampo, spiegava Eliano, poteva risultare al contempo tossico o persino velenoso; si narra infatti che lo stomaco del cavalluccio sciolto nel vino diventasse uno straordinario veleno letale. In realtà, non sarebbe lo stomaco del pesce la causa dell’avvelenamento, ma un’alga rarissima di cui egli si nutre e che sarebbe quindi responsabile delle malefiche proprietà.

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Secondo Plinio le ceneri di questo pesce, unite a olio di maggiorana o mescolate alla pece, sarebbero servite come cura per le eruzioni cutanee, la calvizie e il morso dei cani idrofobi. Anche Aristotele ne parla nella sua Riproduzione degli Animali, probabilmente affascinato dalle particolarità riproduttive di questa singolare specie.

Ancora oggi, alcuni continuano a sostenere che gli ippocampi abbiano il potere di allontanare le malattie. Fino ad alcuni anni addietro, per questo motivo, a Venezia e nella laguna veneta si usava appenderli a gruppi di tre nelle case.

Per i poeti greci l’ippocampo era invece una creatura mitica; gli dei se ne servivano per attraversare i mari e le scene mitologiche lo rappresentano a volte come un cavallo con la parte inferiore di pesce o delfino. Secondo i greci, il carro di Poseidone era trainato proprio da quattro ippocampi, circondati da una scorta di tritoni e nereidi. Una scena, con un po’ di fantasia, a dir poco grandiosa: ve lo immaginate Poseidone, il Dio del Mare, che si sposta veloce in fondo al mare su una quadriga trainata da ippocampi, circondato da figure incredibili come nereidi, sirene del mare, e tritoni, metà pesci e metà uomini?

Molti artisti di epoche passate sognarono e, con maestria, riprodussero la scena a volte in modo molto coinvolgente, tanto da trascinare l’osservatore in un mondo magico, densamente popolato da forme animali e vegetali poco note o sconosciute, frutto spesso della fantasia! E come si potrebbe definire un animale somigliante a un cavallo, che traina il carro di Nettuno, se non “destriero del mare”?

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Animali di un mondo parallelo, gli ippocampi del carro di Nettuno hanno assunto l’aspetto di cavalli terrestri adattati al mondo acquatico; molte sculture testimoniano questo fatto e gli esempi non sono pochi. Basti pensare alle tante fontane di Nettuno sparse nelle città italiane, quasi sempre adornate da cavalli di mare; come quella di Firenze, in Piazza della Signoria, in prossimità dell’angolo di Palazzo Vecchio, opera di Bartolomeo Ammannati (1563-1565) e di alcuni suoi allievi. La figura di Nettuno si erge su un piedistallo decorato con le statue di Scilla e Cariddi al centro di una vasca ottagonale, dove le statue sembrano mosse da cavalli marini, satiri danzanti e divinità fluviali. Ma anche a Roma, in Piazza Navona, vi è una Fontana del Nettuno, del 1873, e anche in questo caso cavalli marini, sirene e putti giocano con i delfini in un armonia che rende quasi viva la pietra lavorata. Scultori e pittori aggiunsero a volte all’ippocampo due ali come Pegaso, probabilmente ispirati al rapido movimento della pinna dorsale che somiglia vagamente alle ali di una farfalla.

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Il cavalluccio marino è anche simbolo apotropaico; in passato piccole immagini di ippocampi erano utilizzate contro il malocchio, tanto che questi animali si vedono riprodotti in molte pitture, come in quelle trovate a Pompei. Essi erano dipinti, ad esempio, sui muri esterni delle case, per difendere gli inquilini dalla sfortuna o ancora sulle fiancate delle imbarcazioni, a tutela dei pescatori e della pesca.

In alcune tradizioni mediterranee il cavalluccio era considerato il nocchiero del battello dei morti verso l’aldilà. Altre volte, al pari del delfino, l’ippocampo era un salvatore caritatevole. Il pesciolino si trova ancora raffigurato, con o senza ali, nelle decorazioni delle catacombe e successivamente nell’arte cristiana.

Durante il Medioevo l’ippocamppo è stato utilizzato in araldica, dove simboleggiava solitamente una lodevole azione compiuta in mare o anche sullo stemma di un porto, dove invece alludeva al commercio in partenza da quel luogo.

Passando dalla mitologia alla scienza, sappiamo che i primi biologi e naturalisti che studiarono i cavallucci rimasero estremamente perplessi nell’osservare le loro caratteristiche. La struttura e la forma dei “destrieri” del mondo sommerso nascono infatti come da un insieme di porzioni di animali diversi: il capo è molto simile a quello di un cavallo, la coda prensile e allungata somiglia a quella di una scimmia, il marsupio di cui son dotati i maschi ricalca un po’ le sembianze di quello di un canguro, e gli occhi, sporgenti, che si muovono indipendentemente l’uno dall’altro, sembrano quelli di un camaleonte. Si stima che in natura esistano circa 33 specie di cavallucci marini, che vivono tra le aree tropicali e quelle temperate del pianeta azzurro.

Volendo tracciare una sua “carta d’identità” possiamo subito identificare questi pesci come appartenenti alla famiglia Singnatidae. Delle 33 specie conosciute, il maggior numero di essi vive nella regione Indo Pacifica, l’Australia ha circa 14 specie e il Giappone sette. Nelle acque temperate del Mediterraneo e dell’Atlantico del nord troviamo solo due specie, entrambe comuni: Hippocampus hippocampus (Linneo, 1758) – cavalluccio marino camuso, e Hippocampus ramulosus (Leach, 1814) – cavalluccio marino. Essi vivono nelle baie e nelle insenature vicino alle coste, fino a circa 30 metri di profondità, e la loro casa è costituita dalle folte praterie di vegetazione marina (soprattutto praterie di posidonia), ma non solo.

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Gli ippocampi sono pesci di taglia piccola, sottili, allungati, col corpo protetto da una serie di anelli e di placche ossee. Il loro corpo è molto compresso ai lati, ed è ricco di asperità dovute ai numerosi anelli cutanei, a volte spinosi a volte no secondo la specie; gli anelli sono particolarmente evidenti e in numero variabile da 10 a 12 nel tronco e da 34 a 39 nella coda. Le placche ossee, che nell’insieme formano una vera e propria corazza, sono unite in corrispondenza degli anelli (corrispondenti praticamente alle vertebre), giunture funzionali che assicurano una certa mobilità al corpo dell’animale. Carene, granulazioni e tubercoli sono variamente distribuiti sulle placche e sugli anelli, costituendo caratteri diagnostici utili per l’identificazione delle diverse specie. La presenza della corazza spiega la facilità con cui questi animali possono essere conservati senza particolari accorgimenti, lasciandoli al sole fino ad ottenere l’essiccamento completo. Sul dorso e sul capo sono presenti sovente numerose appendici dermiche, che possono essere semplici o ramificate. Degni di nota in tutte le specie di cavallucci sono gli occhi, dotati di movimenti indipendenti che consentono di osservare simultaneamente in direzioni diverse. Per quanto riguarda le pinne, troviamo una bella pinna dorsale a forma di ventaglio, che si estende sui due anelli dorsali terminali del tronco; una piccola pinna anale inserita sul primo anello caudale; due pettorali impiantate dietro gli opercoli e anch’esse piuttosto ridotte; nessuna pinna ventrale né caudale. La coda è prensile ed è totalmente diversa da una pinna caudale classica. Se provate a tenere delicatamente tra le nude dita della mano, ovviamente sott’acqua, un cavalluccio marino, potrete apprezzare quella strana sensazione che la coda prensile trasmette quando si attorciglia al dito, stringendolo come fa la mano di un bimbo appena nato quando gli si mette un dito al centro.

Subito dopo l’apertura anale si trova la borsa incubatrice (o marsupio), tipica tasca sacciforme chiusa per quasi tutta la sua lunghezza; questa presenta solo una piccola apertura che permette l’introduzione delle uova e la successiva nascita dei piccoli. In tutti i singnatidi è la femmina che depone le uova nella tasca incubatrice del maschio, che poi le cova per un periodo minimo di otto-dieci giorni. La durata dell’incubazione dipende dalla temperatura dell’acqua e dalla specie.

Altra caratteristica distintiva del cavalluccio è quella di avere le mascelle fuse assieme in una bocca a tubo, caratteristica a cui la famiglia deve il nome; Singnatidae nasce infatti dall’unione delle parole greche sun, insieme, e gnathos, mascella. Allungata, con apertura terminale rivolta all’insù e senza denti, l’apertura boccale è molto piccola e consente una dieta alimentare estremamente selezionata. Non avendo una vera e propria dentatura, i cavallucci sono costretti ad aspirare il cibo, che consiste in piccoli crostacei e vari animaletti dello zooplancton. Nutrendosi di prede vive, gli ippocampi hanno dovuto sviluppare tecniche di caccia molto sofisticate, essendo per natura pigri nei movimenti e non potendo inseguire le prede. Una vera e propria corrente aspirante, abbinata ad un fulmineo scatto della bocca e del capo in avanti, porta le piccole prede a finire nella pancia del cavalluccio in modo così rapido da non essere percepito dall’occhio umano. L’animale, dotato di occhi indipendenti, ha la capacità di seguire ogni minimo spostamento della sua preda senza muovere il capo, sfruttando le sue capacità mimetiche legate, tra l’altro, anche all’immobilità; in tal modo fa scattare il suo meccanismo “perfetto” di aspirazione al momento opportuno: la mandibola si abbassa, la cavità orale si allarga di conseguenza e il risucchio che risulta dal coordinamento di tali movimenti porta la preda direttamente in bocca, con una tale forza che a volte le piccole prede vengono frantumate all’impatto!

Nonostante sembrino timidi e tranquilli, questi pesci sono quindi voracissimi: i giovani sono capaci di mangiare anche dieci ore al giorno, periodo durante il quale riescono a ingurgitare fino a 3000 larve di crostacei. Tanto che a due mesi di età possono superare i cinque centimetri di lunghezza.

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I cavallucci stazionano in posizione eretta, con il capo piegato in avanti posto a formare un angolo retto con l’asse del corpo. Il mantenimento della posizione è garantito dalla spinta ascensionale della vescica natatoria, le cui variazione di volume sono d’aiuto negli spostamenti verticali. La posizione verticale è abbandonata solo in caso di pericolo. Durante il nuoto, la testa è usata per decidere una direzione: cambiando infatti la posizione del capo, si sposta il centro di gravità dell’animale e si altera il rapporto tra pinne pettorali e pinna dorsale, che comunque di regola sono sincronizzate con lo stesso ritmo vibratorio. Quando gli ippocampi si muovono rapidamente, cioè nei casi di estrema necessità, le pinne possono compier fino a trentacinque vibrazioni al secondo. In questi casi sono di solito in posizione orizzontale, testa in avanti e coda distesa parallela al fondale; gli spostamenti lenti vengono compiuti in posizione eretta o diagonale rispetto al fondo e, in questo caso, la lunga coda è ripiegata su se stessa e presenta l’estremità a forma di ricciolo. Da pessimi nuotatori, non si muovono comunque quasi mai e preferiscono usare la coda prensile per ancorarsi alle foglie nastriformi della posidonia o di qualsiasi alga o substrato adatto, reperibile in prossimità del fondo.

La colorazione degli ippocampi può variare dal nero-bruno con punti bianchi, al rosso, arancio, bruno e fino al giallo, con vari inserti a macchie o strisce di colori diversi; la livrea può variare anche in funzione dell’ambiente di vita e, per esempio nel Mediterraneo, troviamo differenze di colore tra cavallucci dell’Adriatico, del Tirreno e dello Ionio, oltre che differenze tra la due specie che in questo mare si rinvengono. la lunghezza delle diverse specie è compresa tra 15 e 30 cm.

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Per quanto riguarda la riproduzione, nei cavallucci marini, anomalia del regno animale, sono i maschi a mettere al mondo i piccoli. Essi sono gli unici esseri viventi al mondo dove proprio il maschio è responsabile della nascita delle larve. I cavallucci, inoltre, sono in alcuni casi anche monogami, cioè durante la loro vita mantengono un solo compagno/a; e anche questa è una caratteristica unica fra la maggior parte delle specie viventi nel mare.

Il Cavalluccio maschio è chiaramente riconoscibile per la presenza del marsupio, mentre la femmina ha un addome arrotondato privo di marsupio. La maggior parte dei cavallucci marini è sessualmente attiva già dai primi 6/8 mesi di vita. In primavera, quando l’acqua inizia a riscaldarsi, per i cavallucci inizia la stagione degli amori. Uniti in coppie che possono rimanere unite anche per tutta la vita, i cavallucci iniziano a compiere movimenti inusuali e di straordinaria eleganza: iniziano, cioè, a corteggiarsi.

Dopo alcuni giorni di corteggiamento gli ippocampi si accoppiano. La femmina, in alcuni casi intrecciando la coda con quella del maschio prima del contatto, in altri portando semplicemente il proprio addome a contatto con quello del compagno, emette le uova, che vengono opportunamente trasferite nel marsupio del maschio, che nel frattempo si era preparato a riceverle e che, simultaneamente, rilascia gli spermatozoi.

Il momento cruciale, quando la femmina deposita le uova nella tasca del maschio, richiede una perfetta sincronizzazione e spesso accade che, magari per inesperienza della coppia, l’operazione non vada a buon fine. Le uova, del diametro di un paio di millimetri, aderiscono alle pareti interne del ventre del “papà”, ricevendo da esse le sostanze nutritive necessarie durante la gestazione. Il maschio porta avanti la “gravidanza” in un tempo che varia da alcuni giorni ad alcune settimane.

Al momento del parto il cavalluccio si ancora con la coda a un supporto adatto e inizia ad espellere i piccoli con contrazioni molto simili a quelle di una partoriente umana. Alla nascita i piccoli ippocampi misurano pochi millimetri e sono totalmente formati, una riproduzione in miniatura dell’adulto. Sarà sempre il maschio a prendersi cura della prole; in media le uova deposte variano in numero da un minimo di 5 a oltre 1200: tutto dipende dalla specie e dalla grandezza dei genitori.

I piccoli, appena nati, hanno una misura che varia da 8 a 18 millimetri a seconda della specie e sono subito pronti a nutrirsi a ritmi serrati. Una delle complicazioni più frequenti nel parto di un cavalluccio deriva dal fatto che parte della prole può morire all’interno della tasca incubatrice, prima ancora della schiusa, e ciò determina immeritatamente la formazione di gas; il maschio potrebbe gonfiarsi come un pallone e salire verso la superficie, diventando così preda di altri pesci più grandi (sono stati trovati cavallucci nello stomaco di tonni e altre specie di pesci carnivori). In natura è molto raro osservare le contorsioni del maschio durante la nascita dei piccoli ed ancora più improbabile osservare l’atto della deposizione delle uova nella tasca incubatrice da parte della femmina. In alcune specie di cavallucci tale attività sembra svolgersi soltanto di notte.

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Oggi dobbiamo tener presente che tutte le specie di cavallucci esistenti sono, purtroppo, catalogate nella Lista Rossa degli Animali a Rischio di Estinzione (IUCN), poiché particolarmente soggette all’azione devastatrice che il genere umano sta compiendo, non solo nei loro confronti. Secondo alcune stime sono oltre 42 milioni i cavallucci marini che vengono venduti ogni anno nel mercato della Medicina Tradizionale Cinese. Tale domanda di cavallucci, unitamente alla distruzione del loro habitat naturale, sta determinando l’attuale “situazione critica”.

Tempi duri, quindi, per i cavallucci, pescati anche per rifornire gli acquari di tutto il mondo. Nei primi anni ’90 solo in Asia sono stati “consumati” quasi 16 milioni di esemplari l’anno. Il basso tasso di natalità e il breve arco di vita deve spingere i Governi ad aumentare i livelli di protezione per queste specie particolarmente delicata.

I cavallucci sono infatti particolarmente esposti al problema del loro sovra-sfruttamento a causa del proprio comportamento e dello stato dell’ambiente. La loro scarsa mobilità e la loro ridotta capacità di vivere in ambienti diversi da quelli costieri fa di questi animali facile preda di pescatori subacquei e, soprattutto, di coloro che pescano a strascico o con reti da posta. L’estrema fedeltà coniugale delle coppie da luogo ad una struttura sociale facilmente minacciata in caso della mancanza di un partner, con conseguente diminuzione della possibilità di riproduzione. La lunghezza delle cure parentali, associata con le piccole dimensioni delle larve, limitano quindi il tasso di riproduzione della specie. Catturando un maschio “incinto” si prelevando anche le larve che porta con se e una nuova generazione è in un colpo annientata. La popolazione di cavallucci marini ha fatto registrare, nei diversi ambienti naturali, una diminuzione che oggi oscilla tra il 10% e il 70%. Per rendere l’idea sulla loro preziosità commerciale, bisogna ricordare che la loro quotazione supera di gran lunga quella dell’argento, toccando a volte il prezzo per chilo dell’oro. Alla Convention on International Trade in Endangered (CITES), tenutasi a Santiago del Cile nel 2002, è stato finalmente deciso di rendere protette tutte le 33 specie conosciute di cavallucci marini, che non potranno così più essere commercializzati liberamente come si è fatto finora. Questa decisione non esclude il loro commercio, ma impone a tutti gli stati un maggiore e più severo controllo. Le imposizioni prevedono che ogni nazione, con il supporto del CITES, certifichi la regolarità di tutte le catture e soprattutto controlli le vendite. Le nazioni che ospitano cavallucci marini nelle proprie acque sono 105, e 69 nazioni li commerciano ufficialmente; tra queste il Brasile, le Filippine e l’Indonesia rappresentano i maggiori esportatori. Mentre gli Usa e l’Europa occidentale figurano tra i maggiori importatori. I maggiori esportatori di cavallucci marini secchi sono invece l’India, la Thailandia, le Filippine e il Messico, mentre la Cina e Hong Kong sono i maggiori importatori.

Le priorità da considerare per la conservazione della specie sono il mantenimento degli habitat naturali costieri e lo sviluppo di una comunità internazionale specifica, formata dai pescatori e dagli allevatori di cavallucci marini. Se no si interviene nel breve periodo si rischia che ulteriori tardivi interventi possano poi risultare vani.

Solo l’impegno di tutti e una piena consapevolezza dei meccanismi in atto potrà rallentare questa frenetica corsa dell’uomo verso il nulla…

 

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