DOMENICA 31 MARZO P.V.: COMMENTO AL VANGELO A CURA DI DON FRANCO GALEONE

31 marzo 2019  – IV DOMENICA DI QUARESIMA TO (C)

UN DIO PADRE … SEMPRE IN ATTESA!

a cura del Gruppo biblico ebraico-cristiano

השורשים  הקדושים

francescogaleone@libero.it

Prima lettura:  Il popolo di Dio, entrato nella terra promessa, celebra la Pasqua (Gs 5, 9). Seconda lettura:  Dio ci ha riconciliati  a sé in Cristo (2 Cor 5, 17).  Terza lettura: Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita! (Lc 15, 1).

  1. Agli scribi ed ai farisei che criticano Gesù per il suo modo di comportarsi con i peccatori (li accoglie, mangia con loro), Gesù rivolge tre parabole: la prima è quella della pecora smarrita (Lc 15, 4-7); la seconda è quella della moneta perduta (Lc 15, 8-10); la terza è quella della liturgia odierna, chiamata impropriamente del figliol prodigo (Lc 15, 11-32). In questa parabola, l’evangelista Luca raggiunge il vertice della perfezione. Mi auguro che un fremito di gioia abbia preso tutti noi, ascoltando questa pagina. E’ la parabola dell’amore paterno, un gioiello di letteratura universale, uno spaccato di vita familiare, una nuova edizione di Caino e Abele. Qualcuno nella parabola ha visto confermata la teoria di Freud circa il complesso di Edipo; qualche altro ha visto l’importanza dell’esperienza del peccato e del male per conquistare la propria libertà. Colpito da questa parabola, Papini ha detto che nessuna storia è stata detta da bocca umana più bella di questa. Lo schema è quello che regge l’altra parabola di Luca, quella del fariseo e del pubblicano (18, 9-14): Questi tornò a casa giustificato, a differenza dell’altro. Riflettiamo sui tre personaggi:
  2. Un padre aveva due figli. Questo inizio – quasi fiabesco – mi affascina. Luca vuole cambiare le nostre cattive opinioni che nutriamo su Dio. Il personaggio più sorprendente è il padre, che soffre, tace, spera, ama; sembra persino un debole, un incapace di opporsi alla scelta del figlio minore. Eppure, il figlio minore imparerà a sue spese che poteva sempre e comunque ritornare a casa, accolto dal padre. In filigrana, controluce, appare il cuore di Dio sempre generoso nel perdono; c’è la paziente bontà di ogni sacerdote che deve confessare e perdonare. Lascia an­dare il figlio anche se sa che si farà male, un figlio che gli augura la morte. Un padre che ama la libertà dei figli, la provoca, la attende, la fe­steggia, la patisce. Un padre che corre incontro al figlio, perché ha fretta di capovolgere il dolore in ab­bracci, di riempire il vuoto del cuore. Per lui perdere un figlio è una perdita infinita. Un padre che non rinfaccia, ma abbraccia; non sa che farsene delle scuse, le nostre ridicole scuse, perché il suo sguardo non vede il peccato del figlio, ma il suo ragaz­zo rovinato dalla fame. E non si accontenta di sfa­marlo, vuole una festa con il meglio che c’è in casa, vuo­le reintegrarlo in tutta la sua dignità e autorità di prima: “mettetegli l’anello al dito”! E non ci sono rimproveri, ri­morsi, rimpianti. Allora Dio è così? Così ec­cessivo, così tanto, così esa­gerato? Sì, il Dio in cui cre­diamo è così. A Lui non importa il motivo per cui ci mettiamo in viaggio. È sufficiente che compiamo un primo passo. L’uomo cammina, Dio corre. L’uomo si avvia, Dio è già arrivato. Infatti: il padre, vistolo di lontano, gli corse incontro… E lo perdona prima ancora che apra bocca. Il tempo della misericordia è l’anticipo. Si era preparato delle scuse il ragazzo continuando a non capire niente di suo padre. Niente di Dio, che perdona non con un decreto, ma con una carezza (papa Francesco). Con un abbraccio, con una festa. Senza guardare più al passato, ma creando e proclamando un futuro nuovo. Dove il mondo dice perduto, Dio dice ritrovato; dove il mondo dice spacciato, Dio dice rinato. E non ci sono rimproveri, rimorsi, rimpianti. Mettiamo in evidenza alcuni comportamenti del padre:

> Quando era ancora lontano suo padre lo vide, il figlio ha rinunciato al padre, ma il padre non ha rinunciato a suo figlio. Quindi lo attende; ha rispettato la sua libertà, ma non lo ha dimenticato.

> Ebbe compassione, il verbo greco σπλαγχνίζομαι (splagnizomai) si comprende tenendo conto che questo verbo si costruisce a partire dal so­stantivo  σπλάγχνον (splagnon), che al plurale indica gli organi interni, le viscere, dell’uomo e dell’animale. Per cui, in senso figurato, gli σπλάγχνα (splagna) sono considerati come la sede dei sentimenti. I traduttori tra­ducono questo verbo con avere misericordia, avere compassione, dispiacersi. Tutto ciò è vero, ma σπλαγχνίζομαι (splagnizomai) significa letteralmente sentire una commozione delle proprie viscere. Esprime, pertanto, una reazione viscerale. È ciò che sentì il padre per il figlio traviato quando lo vi­de ritornare a casa (Lc 15,20).

> Gli corse incontro; è strano trovare questa espressione. Nel mondo orientale il correre è disonorevole e mai un genitore corre incontro al figlio, eventualmente è il figlio che corre incontro al genitore. Ebbene qui è il padre che corre incontro al figlio; non attende, offeso, impassibile, che il figlio gli chieda perdono, ma lui gli corre incontro. Per il padre, il desiderio di restituire l’onore al figlio, è più importante del proprio onore. Il padre si disonora per restituire l’onore al figlio…

> gli si gettò al collo. Il padre non fa purificare il figlio, sappiamo che era guardiano dei porci, quindi era impuro, ma il padre contrae l’impurità del figlio abbracciandolo. Il desiderio del padre di purificare il figlio è più forte della propria purezza; il padre diventa impuro per donare la purità al figlio; questa espressione gettò le braccia al collo e lo baciò la ritroviamo nella Bibbia (Genesi 33, 4), dove Esaù riesce a perdonare il fratello Giacobbe che, con un inganno, ha rubato la sua eredità. Il bacio significa la concessione di un perdono. Quello che è clamoroso qui è che il padre perdona il figlio prima che il figlio gli chieda perdono. Ma il figlio non si fida, non si sa mai … allora prova a pronunziare quella frase che si era preparato, ma il padre non gliela fa completare. Soprattutto gli impedisce di dire la seconda: trattami come uno dei tuoi salariati.

> Ma il padre disse ai servi …  e ci sono tre azioni ben precise: a) Il vestito più bello. Perché portare il vestito più bello? Non è semplicemente un cambio d’abito, perché era sporco, e adesso si mette quello pulito. Ma l’abito bello significa autorità e dignità e ci si rifà qui alla storia di Giuseppe, che era stato messo in carcere perché calunniato, e quando il faraone scopre la sua innocenza, gli restituisce dignità e libertà. Come? Attraverso il dono di un abito bello. Quindi il padre a questo figlio, che si è disonorato, restituisce una autorità e dignità ancora più grande di quelle che aveva conosciuto; b) L’anello al dito, non è un semplice monile. E’ l’anello che contiene il sigillo del casato, cioè, in pratica, il padre lo nomina amministratore della casa, perché in questo anello c’era il sigillo del casato per poter fare gli acquisti. A questo figlio, che ha dimostrato di essere un incapace dal punto di vista amministrativo, il padre gli restituisce non la fiducia perduta, ma una fiducia ancora più grande, lo nomina capo dell’amministrazione della sua casa; c) E i sandali ai piedi. Perché i sandali? I servi nelle case andavano a piedi scalzi, erano solo i padroni che usavano i sandali. Allora a questo figlio che pensa di non meritare più di essere trattato come un figlio, ma come un servo, il padre dice: No, devi essere come un figlio. Quindi, ecco perché deve andare con i sandali, che rappresentano la libertà e non la condizione del servo.

> Incominciarono a far festa. L’evangelista ci vuole dire che l’incontro di Dio con il peccatore non è quello avvilente e umiliante dell’elenco delle proprie colpe, ma quello sempre esaltante della ricchezza dell’amore di Dio. Questo messaggio, però, non sarà accolto dagli scribi e dai farisei e, nella seconda parte della parabola, l’evangelista mostrerà l’atteggiamento del figlio maggiore, che ha sempre servito e obbedito al padre, ma non ne ha mai percepito la grandezza dell’amore.

  1. Nel figlio ribelle ci siamo tutti noi con le nostre illusioni, le nostre folli esperienze. La casa non gli basta, il padre e il fratello non gli bastano. Il figlio minore pensa che la vita sia uno sballo, è un ado­lescente nel cuore. Cerca la felicità nel principio del pia­cere. Se ne va, un gior­no, in cerca di se stesso, in cerca di felicità. Non a mani vuote, però, perché pretende l’eredità: co­me se il padre fosse già mor­to per lui. Probabilmente non ne ha una grande opi­nione, forse gli appare un debole, forse un avaro, o un vecchio un po’ fuori dal mondo. Ma i ribelli in fondo chiedo­no solo di essere amati. Quante volte i ribelli in realtà ci chiedono solo amore! Cercano la felicità nelle cose, ma si accorgono che le cose hanno un fondo e che il fondo delle cose è vuoto. Lo sciagurato si ritrova un giorno a pascolare i porci: il libero ribelle è diventato un servo, a disputarsi il cibo con le bestie. Allora ritorna in sé, dice il racconto, chiamato da un sogno di pane (la casa di mio padre profuma di pane…). Non torna per amore, torna per fame. Non torna perché pentito, ma perché ha paura e sente la morte addosso. Non perché ama il padre, ma perché gli conviene. E si prepara la scusa per essere accolto: Avevi ragione tu, so­no stato uno stupido, ho sbagliato… Continua a non capire nulla di suo padre. Questo figlio agisce sempre, soltanto e unicamente per interesse. Per interesse ha lasciato la casa del padre e adesso per interesse, non per rimorso, vuole ritornarci. Ma si prepara quello che potremmo definire l’atto di dolore, e quindi si prepara la frase per essere accolto: Non son più degno di essere trattato come un figlio, perché, secondo l’ordinamento giuridico, non poteva più esserlo perché aveva sperperato tutta la sua parte di eredità, Trattami come uno dei tuoi salariati.
  2. Fissiamo la nostra attenzione sul maggiore. Un giovane senza grilli per la testa, ma anche senza fantasia e soprattutto senza cuore. La sua bandiera è uno straccio incolore, il suo Dio è secondo le sue misure, è diventato l’uomo dell’ordine, è un giovane già invecchiato. Se riflettiamo, è più difficile da recuperare il fratello per bene. Il minore ha sciupato il denaro, ma il maggiore ha perso ogni ideale, ha raggiunto la saggezza dei vecchi: il pessimismo! Non comprende che vi possono essere colpe felici come virtù stupide. Ecco perché il padre gli deve spiegare tutto, perché è giusto fare festa. Lui, da solo, non ci arriva. Appartiene alla categoria ottusa e arrogante dei super-credenti; per costoro la religione è come una medaglia da mettere sul petto e da ostentare, è un’onorificenza che autorizza a giudicare gli altri. Il suo ingresso gela l’atmosfera della festa; le sue parole sono una pioggia acida; non conosce perdono. La sua durezza nasce dalla consapevolezza della propria perfezione: Io ti servo da tanti anni, e non ho mai trasgredito un tuo comando. Nel figlio maggiore c’è il nostro rigorismo, il nostro perbenismo, il nostro orgoglio. Il fratello maggiore è tutto casa e lavoro, però il suo cuo­re è altrove, è assente. Lo ri­vela la contestazione finale al padre: Io sempre qui a dir­ti di sì, mai una piccola soddisfazione per me e i miei a­mici. Neanche lui ha una grande opinione di suo pa­dre: un padre padrone, che si può o si deve ubbidire, ma che non si può amare. E’ lui il vero colpevole! Egli si indigna, e condanna il padre di essere debole ed ingiusto: Per lui hai ammazzato il vitello grasso … Non sai fare il tuo mestiere di padre! Ma la sua collera è fomentata dai servi che lo aggiornano su quanto avviene in famiglia: E’ tornato tuo fratello e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso. E forse spiano il volto del maggiore (non sarà egli il loro nuovo padrone?) per vedere di nascosto l’effetto che fa. Quante volte la nostra indignazione è stata accarezzata da cosiddetti amici e parenti, con insinuazioni ed accuse! Servi, vil razza dannata, il cui comportamento non denunceremo mai abbastanza, perché ci impediscono di partecipare alla festa! E paghiamo care queste confidenze sussurrate: il fratello maggiore non riesce a chiamare fratello il fratello (Questo tuo figlio), e non comprende che è solo lui, il maggiore, a perdere il fratello. E il Padre? Una pazienza incredibile: quasi gli si getta ai piedi e lo prega di entrare in casa; gli offre tutto se stesso (Tutto ciò che è mio è tuo), e alla fine gli spiega il motivo della festa (Questo tuo fratello è stato ritrovato). Il Padre infine esce a pregare il figlio maggiore, alle prese con l’infelicità che deriva da un cuore non sincero, un cuore di servo e non di figlio, e tenta di spiegare e farsi capire, e alla fine non si sa se ci sia riuscito. Un padre che non è giusto, perché è di più: è amore, esclusivamente amore. Allora Dio è così? Così eccessivo, così tanto, così esagerato? Sì, il Dio in cui crediamo è così. Immensa rivelazione per cui Gesù darà la sua vita.
  3. Siamo invitati a porre atti di perdono, tutti, soprattutto i padri, che in questo Vangelo hanno un esempio di quanto e come si debbano amare i figli! Siamo capaci di accettare i gesti del padre, o ci sembra una esagerazione, peggio, una debolezza senile? Questa densa parabola del Padre buono ci terrebbe legati giorni interi alla meditazione. Gesù, il figlio, ci descrive Dio, il Padre. Non un ritratto statico ma mobile, perché il Padre è colui che si muove verso i figli, il maggiore ed il minore, e a quest’ultimo porta una notizia sconvolgente: Tutto quello che è mio e anche tuo. Ma lui e noi non la comprendiamo. Uomini di dura cervice! Davvero il cuore ha delle ragioni che la ragione non comprende! Quale la conclusione? Semplice: c’è più gioia nel perdonare e nel farsi perdonare, che non avere nulla di cui chiedere perdono. Apologia di peccato? No, ma apologia del pentimento e del perdono, di cui abbiamo sempre tutti necessità. Apologia dell’età adulta, dell’uscita dall’infanzia, di assunzione di responsabilità, che significa poter sbagliare ma anche poter imparare dagli errori. Quante verità nei nostri errori! La convinzione che Dio perdona, sempre, ci deve trasmettere gioia. La gioia di avere un padre che ci ama tanto che non bada al nostro passato sbagliato, perché sa che in ogni uomo c’è sempre più futuro che passato! Dio non è giusto, è di più: è amore, esclusivamente a­more. La parabola resta sospesa; ignoriamo se il fratello sia entrato o no in casa. Dal contesto sembra di no. Il figlio minore entra in casa, il maggiore ne esce, e per il Padre ricomincia il tempo dell’attesa! Buona vita!

 

הוֹרני יהוה דרך חקיךָ ואצרנה עקב׃ (Ps.119,33)

Insegnami, Signore, la tua volontà, e io la eseguirò!

 

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