Egitto, condannati a morte due giornalisti di Al Jazeera

Pena capitale per altri sei imputati nel processo sullo spionaggio in favore del Qatar. I due reporter giudicati in contumacia. Sentenza rinviata per l'ex presidente Morsi

IL CAIRO – La giustizia egiziana mostra ancora una volta il pugno di ferro nei confronti dell’informazione. Nello stesso giorno in cui si tiene un’udienza molto tesa sul consulente della famiglia Regeni, sei persone, tra le quali due giornalisti di Al Jazeera, sono state condannate a morte al Cairo per spionaggio in favore del Qatar. La vicenda è la stessa per cui è sotto processo l’ex presidente Mohamed Morsi, per il quale la sentenza è stata rimandata al 18 giugno: si tratta del secondo rinvio, il che fa ritenere che i giudici non siano orientati a comminare la massima pena all’ex capo dello Stato. Morsi è già stato condannato a morte per l’evasione di massa da un carcere nel 2011, all’ergastolo per “spionaggio per Hamas” e a 20 anni di reclusione per le violenze del dicembre 2012 al palazzo presidenziale. In tutti e tre i casi ha fatto ricorso ed è in attesa del giudizio d’appello.

Nel processo per lo spionaggio in favore del Qatar l’ex presidente e altri dieci imputati sono accusati di aver passato a Doha documenti della sicurezza nazionale egiziana riguardanti i servizi segreti e l’esercito. Fra i sei condannati a morte ci sono Ibrahim Hilal, direttore giornalistico della tv panaraba di Al Jazeera, e Alaa Sablane. Entrambi sono stati processati in contumacia. Gli altri sono esponenti dei Fratelli musulmani, il partito di Morsi. Sulle sei condanne alla pena capitale dovrà ora esprimersi il Gran Muftì, massima autorità religiosa del paese e responsabile della revisione delle condanne a morte, il cui parere è segreto e in ogni caso non vincolante.

Sul proprio sito internet, Al Jazeera “respinge le accuse di collaborazione con il governo di Morsi” sottolineando che “Morsi è stato spodestato dai militari nel 2013 dopo essere stato democraticamente eletto”.

Tre giornalisti del network televisivo qatariota erano già stati al centro di un lungo e clamoroso caso giudiziario imperniato sull’appoggio mediatico alla Fratellanza musulmana, messa al bando dopo le proteste e le violenze seguite alla destituzione di Morsi. Il protagonista di quella vicenda giudiziaria fu l’australiano Peter Greste, giornalista dal prestigioso curriculum condannato a sette anni di reclusione, graziato nel febbraio dell’anno scorso e ricondannato in contumacia per diffusione di notizie false e altri reati commessi in favore dei Fratelli musulmani. La clemenza del presidente Abdel Fattah

Al Sisi cancellò condanne simili inflitte al giornalista egiziano-canadese Mohamed Fahmy e al producer egiziano Baher Mohamed, poi scarcerati nel settembre scorso.

In evidenza: L’ex presidente Morsi durante il processo (ansa)

http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=20687

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