Fallisce il golpe in Burundi, adesso si temono rappresaglie

Arrestati i tre generali dissidenti che hanno tentato di prendere il potere. “Abbiamo trovato una fortissima resistenza tra i militari rimasti fedeli”, spiegano. Proseguono le manifestazioni per strada, represse dall’esercito. Il presidente Pierre Nkurunziza rientra a Bujumbura via terra, accolto da una folla in festa. Gli Usa invitano i cittadini americani a lasciare il paese: “Temiamo attacchi degli al Shabaab somali”. Almeno 150 mila rifugiati in Tanzania, Ruanda e Congo.

 BUJUMBURA – E’ fallito iltentato golpe in Burundi. Ma le manifestazioni di protesta continuano. Una folla imponente si è radunata nei quartieri periferici della città e ha eretto delle barricate. La polizia è presente in forze. Spara raffiche di colpi automatici in aria per cercare di disperdere le manifestazioni. I tre generali che hanno guidato la rivolta con un pugno di militari dissidenti si sono arresi all’alba e si sono consegnati nella mani dei soldati rimasti fedeli al presidente Pierre Nkurunziza, al potere dal 2005. “Lo ammetto”, ha annunciato nel cuore della notte il generale Cyrile Ndayirukiye, il numero due del movimento golpista, “il nostro tentativo è fallito. Ci siamo trovati davanti ad una fortissima determinazione militare per sostenere il sistema al potere”. La resa degli insorti ha avuto momenti drammatici. Sia Ndayirukiye, sia il suo portavoce, il commissario di polizia Vénon Ndabaneze, si sono prima nascosti in diverse case della capitale e poi alle prime luci dell’alba si sono consegnati nelle mani dei militari. Un terzo alto ufficiale è stato bloccato. Stessa sorte per il leader della rivolta. Il generale Godefroid Niyombare, ex capo dei servizi segreti burundesi, vecchio compagno d’armi del presidente e anche lui esponente del partito al potere, il Cndd-FDP, nato dalle ceneri del movimento armato dominato dall’etnia hutu, dopo una breve fuga è stato arrestato. Il fallimento del golpe è arrivato al termine di una durissima giornata di combattimenti tra lealisti e insorti. Lo scontro si è concentrato attorno alle radio private più ascoltate del paese (RPA, Bonesha, Insaganiroe) alla sede della tv e radio nazionale chiuse d’autorità lo scorso aprile quando sono iniziate le rivolte della gente. Il tentativo di occuparle da parte dei golpisti è stato respinto.

L’esercito, a differenza della polizia usata per reprimere le proteste, ha una formazione istituzionale: è il frutto della lenta ma costante integrazione tra le due etnie (hutu e tutsi) presenti in Burundi e nella regione dei Grandi Laghi. Integrazione fragile che può incrinarsi al primo scossone e che anche in questa vicenda ha pesato e continua a pesare. Il rientro in patria del presidente ha dato più forza alla parte militare dei lealisti. Impegnato a Dar er Salaam per un vertice tra i capi di Stato dell’Africa orientale dedicato proprio alla crisi burundese, Nkurunziza era rimasto bloccato in Tanzania. Il suo aereo non era potuto atterrare perché lo scalo di Bujumbura era stato chiuso dai golpisti. Ma giovedì pomeriggio ha deciso di tornare via terra e ha raggiunto la provincia di Ngozi dove è nato e risiede il suo clan. Da qui ha guidato la controffensiva che si è conclusa con la resa dei generali golpisti. “Abbiamo deciso di nasconderci per tutta la notte”, ha raccontato ad un giornalista dellaFrance presse, il capo dei ribelli Ndayirukiye, poche ore prima di essere preso, “per evitare di essere uccisi. Non avevamo più armi. Il tentativo è fallito”.

Il presidente è già arrivato in città, accolto da una folla entusiasta. Lungo il percorso verso il palazzo presidenziale si è vista la gente intonare dei canti e ballare. Le stesse scene di due giorni fa quando era stato annunciato il golpe. Salire sul carro del vincitore, in questi momenti, può essere un valido salvacondotto. Molti temono rappresaglie. La gente continua a protestare. Ma le manifestazioni sono represse con la forza: almeno un manifestante è stato ucciso. La sua testa presentava un largo foro di proiettile sulla fronte. I morti, a questo punto, sono 20( tra questi due soldati), oltre una quarantina di feriti: tutti uccisi dall’inizio della rivolta contro la terza candidatura del presidente, esclusa dalla Carta Costituzionale, ma giudicata legittima da una sentenza del Tribunale. Il vicepresidente dell’Alta Corte è fuggito all’estero: ha denunciato di aver subito fortissime pressioni e minacce di morte perché contrario ad un terzo mandato del presidente. Ex docente di sport, profondamente religioso, in un paese con il 98 per cento di cristiani, Pierre Nkurunziza difende la sua scelta di ricandidarsi per la terza volta perché sostiene che in realtà rappresenta solo un secondo mandato. Il primo, dal 2005 al 2010, non fu stabilito da un voto popolare ma da un incarico istituzionale nato dopo la lunga guerra civile (1993-2009) che ha provocato oltre 200 mila morti.

Dietro lo scontro tra la società civile, anima delle proteste, e il presidente Nkurunziza si agitano interessi geopolitici regionali. Preme il Congo, preme la Tanzania, preme lo stesso Kenya. Il Dipartimento di Stato Usa, ufficialmente contrario ad un terzo mandato del presidente, ha chiesto a tutti i cittadini americani presenti in Burundi di lasciare subito il paese. Voci di intelligence segnalano iniziative degli al Shabaab. Il Burundi
ha partecipato alla forza dell’Unione africana per sostenere il governo di Mogadiscio. E adesso ci potrebbero essere delle rappresaglie a Bujumbura. Almeno 150 mila persone sono fuggite verso il Ruanda, la Tanzania e il Congo, denuncia l’UnHcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati.

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