GABRIELE D’ANNUNZIO “FAVOLE DI NATALE”

Gabriele D’Annunzio
FAVOLE DI NATALE
Presentazione di Lucio D’Arcangelo

 

Non c’è stato movimento letterario che D’Annunzio non abbia toccato o precorso, a cominciare dal verismo per finire con la prosa d’arte. E non si può neppure trascurare ciò che di romantico in senso nazional-popolare persiste in lui.
Il contatto con le tradizioni popolari e con la poesia dialettale, maestro Cesare De Titta, segna in modo indelebile gli esordi del D’Annunzio narratore, come testimoniano Terra Vergine e le Novelle della Pescara, dove, al di là dell’impianto naturalistico, l’autore solidarizza intimamente con quell’immaginario collettivo svelato da Antonio De Nino e Gennaro Finamore nelle sue Tradizioni popolari abruzzesi.
Rare volte questo D’Annunzio ha toccato le corde del fantastico o, per meglio dire, del meraviglioso puro, e perciò queste Favole di Natale, tratte da Parabole e novelle, edite nel 1916 dall’editore Bideri di Napoli, rappresentano un unicum nella sua produzione.
Se si fa eccezione per Un albero in Russia, tutte le “favole” della raccolta attingono a quel patrimonio di fiabe popolari che dopo tanti anni e in un clima letterario tanto mutato furono sottratte all’oblio da Italo Calvino. Si tratta, in particolare, di leggende popolari abruzzesi o rielaborate in terra d’Abruzzi, alcune delle quali conosciute di prima mano.
Ma la trascrizione che ne fa D’Annunzio è una ri-creazione. Le sue “favole” recepiscono pienamente la vaghezza della fonte (orale) e sono nello stesso tempo inconfondibilmente dannunziane.

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