Gli ultimi giorni della campagna Usa

L’otto novembre si vota per scegliere il nuovo presidente in un Paese sempre più polarizzato ostaggio delle divisioni e di un materialismo morale che ha impoverito i suoi sogni e le sue aspirazioni. I guai giudiziari per Hillary e Trump lasciano sconcerto negli elettori sempre più tentati dall’astensionismo

«Non vedo l’ora che questa campagna elettorale finisca». «Sono stanco di questi sondaggi che oscillano costantemente e mettono in gioco il nostro futuro di Paese». «Mi preoccupa più il 9 novembre, che l’otto. Che Paese saremo il giorno dopo?». L’umore di molti elettori Usa accusa stanchezza e talvolta esasperazione per una campagna politica giocata sempre più al ribasso. Le tv presentano immagini osannanti di sostenitori, ma la realtà vera è altra: si sta combattendo una battaglia senza esclusione di colpi tra due candidati considerati, pur per ragioni diverse, non adeguati a guidare il Paese. La disaffezione è forte.

E negli ultimi giorni, la discesa in campo dell’Fbi ha continuato a rimescolare le carte di una corsa alla presidenza in cui Hillary Clinton sembrava già vincitrice e che dopo le dichiarazioni dell’agenzia governativa ha visto Trump rientrare in gara, con aspirazioni di vittoria. Un fatto inedito nella storia del Paese, quello dell’Fbi  che, a sei giorni dalle elezioni, riapre un’inchiesta chiusa in luglio contro la candidata democratica, accusata di aver usato un server privato per spedire delle mail legate alla sua funzione di Segretario di Stato. Allora il fatto, pur grave, non era stato considerato imputabile. Ora aver ritrovato queste mail nella posta di una delle sue collaboratrici, sposata con un uomo sotto indagine, ha riaperto il caso, che comunque rimane nebuloso perché il capo dell’Fbi non ha dato spiegazioni dettagliate e anche il presidente Obama ha contestato la scelta di operare «su informazioni incomplete» e alla vigilia del voto.

Gli scheletri dell’armadio di Hillary non sono finiti perché la stessa agenzia governativa ha tirato fuori un fascicolo su Bill Clinton, datato 2002 in cui l’ex presidente perdonava un suo collaboratore truffaldino.  Donald Trump, inizialmente sotto scacco per un video volgare e offensivo verso le donne e un’inchiesta sul mancato pagamento delle tasse, grazie a queste nuove rivelazioni sta riguadagnando punti e sta mettendo seriamente a rischio la vittoria democratica in alcuni stati, determinanti per il voto.  Sulle elezioni pesa l’ombra della regolarità del processo elettorale, che Trump considera inquinato, nonostante i richiami del partito al rispetto delle istituzioni. A questo si aggiunge il timore di manifestazioni e azioni violente che i seguaci del magnate potrebbero scatenare nei diversi seggi o a conclusione del voto, qualora il verdetto fosse loro sfavorevole.

Ad uscire già sconfitto prima ancora degli esiti elettorali è quel senso di comunità e di appartenenza che ha fatto degli Stati Uniti un Paese capace di pensare al futuro e di creare il futuro. David Brooks, analista politico del New York Times e E. J. Donne, editorialista del Washington Post, in un dibattito radiofonico hanno sottolineato che dopo queste elezioni servirà «un nuovo vocabolario e un’antropologia che riscopra parole come amore, amicizia, fedeltà, solidarietà e vicinato per spingere le persone ad incontrarsi e a vincere la diffidenza e la sfiducia».

L’economia e la crisi finanziaria secondo i due analisti sono state «un ariete che si è abbattuto crudelmente sulla famiglia e i lavoratori e dall’altro lato hanno messo in crisi quel materialismo morale che ci ha governato per anni facendoci smarrire i nostri sogni e la certezza dei nostri padri fondatori di realizzare un piano di Dio su questo continente». I principi religiosi e le idealità che da sempre hanno costituito l’ossatura degli Stati Uniti sono tornate con forza nel dibattito pubblico, sfibrato da attacchi personali e scandali che hanno incattivito gli animi e smarrito un progetto per il Paese. Gli Usa stanno scontando la crisi di rappresentatività che attraversa tante democrazie occidentali e anche loro hanno cominciato a concedersi «il lusso di non interessarsi di politica, considerando sana la  loro società. E si stanno sbagliando». Astensionismo e disaffezione al voto sono i segnali più preoccupanti di questa campagna che ha diviso, e continua a dividere e chi vincerà si ritroverà a dover governare nella divisione, a meno che la società civile che in queste ultime settimane ha chiesto prepotentemente la parola con appuntamenti improntati al dialogo, al ruolo della fede, alla giustizia sociale non prenda in mano il vero scettro di governo. E intanto siamo a quattro giorni dalla fine e tutti contano i minuti che separano dall’otto novembre.

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