GRAZZANISE: LONTANI I TEMPI DEL XXV APRILE, PER UNA SINISTRA INETTA

C’era ...una volta Pasquale Di Nardo, grazzanisano Presidente provinciale dell’ANPI. E da un po’ di tempo anche il 9° Stormo ‘Baracca’ non coinvolge la Comunità locale

GRAZZANISE (Raffaele Raimondo) – XXV aprile 2020? E’ inopinatamente chiaro ormai il disastro culturale e politico in cui si dibatte Grazzanise. Senza enfasi e neppure sottovalutazione, questa odierna Festa nazionale celebrativa della Resistenza (1943-1945) è obliata, senza vergogna pubblica e privata (fatta salva la pace – s’intende – di qualche autentico nostalgico appassionato di storia nazionale/locale oppure propugnatore di autentici ideali socialcomunisti o del cattolicesimo o del liberalismo illuminati. Nessuna manifestazione, a causa del Covid-19; ma neppure un manifesto di ricordo dello storico Evento (che si vide a conclusione dell’ardua e lunga lotta di Liberazione) fatto affiggere dal commissario straordinario che sta reggendo le sorti del Comune. Lontani i tempi in cui, per questa data, si mobilitava il cav. Pasquale Di Nardo, grazzanisano presidente provinciale dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), che almeno chiamava a raccolta i quattro militanti sinceri del centrosinistra attivi in paese. E smentiamo subito il nostro stesso incipit, giacché questo assurdo silenzio inopinato non è: affonda le sue marce radici nel disimpegno, via via più sgusciante, di un’intera classe politica che non ha saputo più, nel tempo, tener desta la memoria d’un passato non illustre ma quantomeno dignitoso. Oggi, purtroppo non è più così ed ad assumere l’annosa corresponsabilità del precipizio culturale e politico in cui Grazzanise è sprofondata vi sono istituzioni, partiti, associazioni e cittadinanza nel suo complesso. Solo per accenni, vanno ricordati (a dir poco) la progressiva “ritirata” (su questo fronte di irrinunciabile senso civico e storico) degli amministratori comunali, dello stesso 9° Stormo “F.Baracca” – che, nell’ultimo quinquennio, s’è chiuso a riccio perlomeno in alcune circostanze ufficiali in cui l’apertura dei cancelli alla gente (e perfino ai corrispondenti locali della stampa) costituiva “dovere etico-civile”, oltre che militare -, delle associazioni locali ad altri obiettivi intente, della societas tutta piegata dall’impasse economico-finanziario e abbindolata da superficiali e financo perfidi seminatori di egoismi e zizzania.

Questo è, purtroppo, l’attuale desolato scenario, già cliccando su una sola faccia (peraltro, la più nobile) del poliedro sulla quale l’azione della Scuola lancia acqua sul marmo inclinato e quella della Chiesa sembra ancòra alla ricerca di nuovi poderosi indispensabili varchi da percorrere finalmente. Per giunta, non si intravedono tangibili sbocchi positivi a breve e a medio periodo. Forse ci vorranno anni o decenni per poter centrare importanti bersagli nel solco che molto sinteticamente (e senza boria, ma con amarezza profonda) con queste poche righe tratteggiamo.

Il cav. Di Nardo, un tempo, teneva discorsi, per il XXV Aprile, anche alla base aerea della Nato. In un libro del 1985 (“Grazzanise, ieri e oggi: quale sviluppo?”) narrò la sua versione sulla Resistenza a Grazzanise. Il figlio Larino, nel medesimo volume, descrisse l’azione del sindacato sul territorio municipale, forse guardando ai fasti più o meno credibili del passato che agl’interventi negli (altrove) infuocati anni ’60-’70-’80. Quel libro – che adesso meriterebbe la rilettura degli uomini maturi e la prima fertile lettura dei giovani – pose un interrogativo cruciale la cui risposta, in 35 anni, non è mai venuta. E, a riparlare attualmente dello “sviluppo sostenibile” nel comprensorio del Basso Volturno (e a Grazzanise, in particolare), si misura drammaticamente tutto il ritardo storico da addebitare soprattutto in capo a coloro che nel mezzo secolo trascorso hanno gestito il potere a livello comunale: potere economico e potere politico, entrambi, per un verso, fortemente condizionati da interessi privati e ottuse chimere di risvegli cadenti dall’alto e, per l’altro, da spinte corporativistiche di mezza tacca nonché da logiche improntate al “si salvi chi può”.

L’autonomia di iniziativa pubblica o erga omnes qui, a Grazzanise, non è stata nemmeno concepita sulla carta (altrimenti non si capirebbe la mancanza perdurante del Puc, di un’area/mercato, di una villetta comunale, della lotta senza quartiere all’evasione fiscale, di un campo sportivo comunale e di palestre scolastiche agibili; altrimenti non si spiegherebbe la viabilità provinciale da terzo mondo, un trasporto pubblico medievale, la permanenza di scale a chiocciola in sostituzione di rassicuranti scale antincendio, beni comunali negletti, illuminazione cittadina su pali cadenti, l’indisponibilità di fatto di loculi cimiteriali pur essendo stato costruito da almeno 10 anni un nuovo camposanto, un ponte sul Volturno traballante, la biblioteca comunale congelata, la pianta organica tremendamente dissestata e compagnia cantando …il de profundis grazzanisano; altrimenti non si comprenderebbe il dissanguamento della popolazione per inarrestabili emigrazioni giovanili, il visibilissimo scollamento fra autoctoni ed immigrati, la risibile presenza in loco dei sindacati e delle sezioni locali di associazioni di categoria incardinate in un tessuto nazionale, la biblica lentezza nell’utilizzazione dei fondi agricoli confiscati e così via…).

Certo l’inversione di tendenza non può che partire dal basso, dall’a-b-c della convivenza civile e democratica, dall’assunzione di responsabilità dei 30-40-50enni qui ancora domiciliati e culturalmente strutturati, da un’azione finalmente olistica, sinergica ed incisiva delle più diverse componenti riconoscibili nella “comunità sociale e civica”. Ma occorrono incoraggiamenti provenienti dall’esterno (Governo, Regione, Provincia, Prefettura, quadri provinciali di partiti, sindacati, associazioni): soltanto così si può, utilmente e a vantaggio di tutti, metter mano alla filiera bufalina, al recupero dell’ambiente a partire dalla bonifica del fiume, al raccordo interistituzionale Comune-Aeroporto militare. E servono disperatamente scatti d’orgoglio delle persone di cultura residenti (uomini -e soprattutto donne- che finora non hanno molto brillato per intraprendenza o spirito d’impresa) e dei ventenni (oltre che delle fasce sociali meno abbienti) onde rivendicare con fermezza diritti (a cominciare da un futuro vivibile) e, se necessario, a manifestare “coram populo” lo sdegno contro l’inerzia diffusa. Un onere ancor più vistoso dovrebbe essere assunto  da quanti professano, in un modo o nell’altro, una visione democratica di centrosinistra, in un Comune nelle cui viscere cola tuttora nostalgia del fascismo; ma probabilmente stiamo parlando di fantasmi, considerata la “sinistra inetta” che per tanti e tanti lustri a Grazzanise avrà dato brutta prova di sé, lasciando sistematicamente il governo municipale ad “insalate” (lèggi “liste civiche”) in cui hanno abbondato esponenti di destra che, dopotutto, rifiutano persino di sentirsi anche al minimo “infelici protagonisti” dello sfascio verificatosi al tramonto (quasi 70 anni fa) dell’antica civiltà contadina del posto e all’alba di un rigonfiamento del terziario minore (tradottosi nello sciagurato  “paese dei bidelli”).

Auspicando la fine, più rapida possibile, del contagio da coronavirus che tuttora sta flagellando il

mondo, le accennate questioni ed altre, per di più, dovranno inevitabilmente tornare a Grazzanise  sui tavoli di discussione e di confronto, ma non nelle case private bensì alla luce del sole. Chissà quando poi qui si tornerà a festeggiare consapevolmente e con legittima fierezza il XXV Aprile?!

 

 

 

 

 

 

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