“Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino

Il sentiero dei nidi di ragno esce nel 1947. Il protagonista è il bambino Pin, del Carrugio Lungo. Il libro è ambientato in una città ligure, con ogni probabilità Sanremo, città in cui Calvino ha vissuto nella sua giovinezza, dopo essere nato a Santiago de l’Avana, cioè a Cuba, dove il padre e la madre, due agronomi, si trovavano a vivere e a lavorare.

Cosa racconta questo libro? Ci racconta una storia partigiana, la storia di un accampamento partigiano scalcagnato a cui Pin aderisce. Pin è come una sorta di senex puer, di personaggio che circola nel racconto e costruisce una serie di relazioni: il rapporto con la sorella che si prostituisce, con i soldati tedeschi che occupano la città e con il cugino, un altro personaggio importante del libro poiché rappresenta una sorta di fratello-padre, fratello maggiore. Pin è infatti un orfano, un senza padre che cerca questa paternità; ha bisogno di trovare un uomo adulto a cui far riferimento. Ci sono anche altri personaggi come Lupo Rosso, una sorta di alter ego, cioè un fratello maggiore che è diventato un partigiano molto abile e capace nella lotta contro i tedeschi.

È sostanzialmente una fiaba che tuttavia ci racconta le cose della realtà: il sesso, la guerra, la morte, l’amicizia, il desiderio, la passione. Ci racconta le storie quotidiane su uno sfondo fiabesco dato dalla guerra stessa. Calvino è un ex partigiano, ha finito da poco tempo di partecipare alla resistenza, cioè nell’aprile 1945, e il libro esce solo due anni dopo.

Che cos’è questo libro? Ce lo dice anche il titolo: esistono i nidi di ragno? No, i nidi di ragno non esistono; non ci sono questi luoghi dove Pin cerca i nidi. Questo sentiero è inesistente, immaginario; è il sentiero dell’immaginazione del personaggio e al tempo stesso di Calvino. C’è un oggetto importante, principale che cambia di mano, di luogo, di situazione nel libro: una rivoltella, una pistola. Pin la ruba dalla camera della sorella mentre sta facendo l’amore con un soldato tedesco e diventerà l’oggetto topico dell’intero racconto. È un racconto sul vedere, sulla visione. Basta leggere come comincia questo libro:

Per arrivare fino in fondo al vicolo, i raggi del sole devono scendere diritti rasente le pareti fredde, tenute discoste a forza d’arcate che traversano la striscia di cielo azzurro carico.

È un’immagine. Calvino è uno scrittore visivo; a rivelarlo fin dalle prime righe del suo libro, questa visività, questo elemento ottico, coloristico. Non c’è solo la visione, ma ci sono anche gli odori (“l’orina dei muli”), la forma delle case, la forma del vicolo: sono tutti elementi che poi ritorneranno di nuovo in un grande tema calviniano che attraversa tutta la sua opera, cioè quello della città. Esiste un libro che si chiama Le città invisibili, dove le immagini presenti in questo libro di esordio sono nuovamente riproposte al lettore. È una città stretta, una città di vicoli a cui si contrappongono il sentiero, la montagna, i luoghi che stanno intorno a Sanremo, cioè spazi aperti. Calvino lavora sempre con delle coppieaperto-chiusochiaro-oscuro. È quindi uno scrittore di antitesi, uno scrittore che non crea mai delle sintesi, ma sempre dei continui contrasti. Lo stesso fa con i personaggi principali: un bambino e i suoi alter ego che sono degli adulti. Gli adulti hanno tante facce diverse: ostili-amichevoli, favorevoli-negative. Ripeto, è un libro sull’antitesi.

Tradizionalmente Il sentiero dei nidi di ragno viene considerato un romanzo neorealista; e a ragione. L’anno d’uscita (il 1947), l’ambientazione partigiana e l’esperienza personale dell’autore a monte della storia raccontata sono caratteri che testimoniano un’indubbia appartenenza ad una famiglia letteraria. Come Calvino stesso riconobbe, nella celebre Prefazione del 1964 alla nuova edizione del romanzo, lui come tanti suoi coetanei avvertiva la responsabilità che un evento d’importanza storica come la guerra affidava all’uomo di lettere, protagonista e allo stesso tempo interprete di quegli avvenimenti. Tuttavia l’immagine della Resistenza che emerge dalla storia di Pin e della scalcagnata brigata del Dritto non è certo quella eroica e vincente che si è soliti associare alle narrazioni neorealiste, che spesso erano incentrate su una rappresentazione stereotipata ed edulcorante dei drammatici avvenimenti che avevano scandito la “guerra civile” combattuta tra partigiani e nazifascisti tra il 1943 e il 1945. Il romanzo di Calvino si colloca infatti in quella schiera di opere che, tra la fine della Seconda guerra mondiale e la metà degli anni Cinquanta, s’incaricarono di raccontare la storia recente mostrandone le contraddizioni, gli errori, i risvolti più problematici.

Il sentiero dei nidi di ragno racconta una storia della Resistenza attraverso gli occhi di un bambino. Quella di Pin, protagonista del romanzo, è una prospettiva abbassata e straniante, che presenta cioè un mondo cui siamo quotidianamente abituati sotto una lente che lo deforma, e ne sottolinea così aspetti inediti ed originali. Lo sguardo di Pin sulle cose è quello di chi non conosce il mondo, non ne ha ancora fatto esperienza e non può quindi riconoscerne tutti i significati sottintesi. Pin prende alla lettera tutto quello che vede e gli viene raccontato: è così che le vicende degli adulti intorno a lui appaiono a chi legge sotto una nuova luce. Attraverso questa prospettiva allucinata, affascinata dai colori e dagli inaspettati fenomeni che la natura disvela, la realtà acquista una dimensione fiabesca, quasi astratta, in notevole dissonanza rispetto agli avvenimenti tragici che riporta. Quando osserva e non comprende i problematici rapporti tra gli adulti – gli amori e le gelosie, ma anche i tradimenti e le violenze efferate – l’occhio di Pin si dimostra tanto acuto quanto ingenuo. Privo di qualsiasi sovrastruttura concettuale o ideologica, il suo sguardo traduce quei comportamenti nei termini della sua coscienza di bambino, rivelandone così un impensabile carattere infantile. Allo stesso tempo, però, si dimostra anche involontariamente spietato nel marcare le debolezze, le meschinità e le contraddizioni di un’umanità partigiana che appare come un perfetto contro-modello rispetto a quel che ha tramandato la Storia.

A bilanciare la prospettiva di Pin, interviene – in quel nono capitolo del Sentiero dei nidi di ragno che più di un commentatore ha considerato didascalico e spurio – il comandante Kim, giovane studente di medicina e “responsabile” dell’eterogenea composizione del distaccamento del Dritto. È lui a portare nel romanzo un punto di vista “politico” e a rappresentare le posizioni di Calvino di fronte all’esperienza della guerra e alle sue ripercussioni sulla società. Nelle sue parole, intrise di razionalità e umanistica fiducia, anche la vicenda di quella scalcagnata brigata partigiana acquista un significato positivo: nella prospettiva lunga di un corso storico giusto e progressivo, la guerra combattuta dagli uomini che la società relega ai margini, sui quali nessun pensiero rivoluzionario potrà mai attecchire, ha un valore indiscutibile perché avviene dalla parte giusta, dalla parte che la Storia premierà:

Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta al riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni 1.

Il sentiero dei nidi di ragno si presenta allora come il romanzo di un intellettuale che nell’esperienza partigiana ha maturato una notevole consapevolezza politica e che vuole sfruttare le strategie retoriche e narrative per dar vita a un racconto problematico e coinvolgente. Così Calvino, da un lato prova a guardare i fatti appena accaduti da una prospettiva inusuale, che permetta di rivelare contraddizioni e miserie, ma anche eroismi e umanità di una vicenda storica troppo spesso ridotta ai minimi termini della retorica celebrativa. Allo stesso tempo, però, come rivelerà nella già citata Prefazione, confidente nelle possibilità che la Liberazione apre al futuro di libertà e democrazia, egli orienta la narrazione verso un complesso ma indiscutibile ottimismo, proprio di chi crede nel progresso della Storia, che saprà riscattare le sofferenze di ognuno e assegnare a tutti il proprio ruolo nella costruzione della società. Una posizione, questa, che Calvino ridiscuterà nel corso degli anni, anche in virtù di un rapporto sempre più complicato con quel depositario politico dell’ideologia marxista in Italia che era il PCI (fino all’abbandono del partito stesso nel 1957, dopo i fatti di Ungheria).

Oltre alla consapevolezza politica, inoltre, Calvino eredita dall’esperienza bellica, anche una vocazione al narrare che contraddistinguerà sempre la sua scrittura. È una «smania di raccontare», di trasformare in racconto quella mole di esperienze e di vite che la guerra aveva messo a contatto degli intellettuali. Questa smania trova appagamento con la vicenda di Pin, ma soprattutto con le tante che abitano i racconti di ambientazione neorealistica che confluiranno nella raccolta Ultimo viene il corvo (1949) – come Andato al comando, l’omonimo Ultimo viene il corvo, oppure Paura sul sentiero – e, successivamente, nel più ampio volume dei Racconti (1958). Nella misura breve e brevissima del racconto Calvino riesce a condensare figure e situazioni che rimangono scolpite nella memoria del lettore, che riuscirà così, attraverso tante piccole tessere, a ricomporre le tante e diverse facce di un periodo così importante per la storia italiana.

 

Bibliografia essenziale:

 

M. Belpoliti, L’occhio di Calvino, Torino, Einaudi, 2006.
B. Falcetto, Storia della narrativa neorealista, Milano, Mursia, 1992.
S. Perrella, Calvino, Roma-Bari, Laterza, 1999.
F. Serra, Calvino, Roma, Salerno, 2006.
V. Spinazzola, La modernità letteraria, Milano, Il Saggiatore, 2001.

1 I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Mondadori, Milano 2010, p. 112.

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