Liberazione, oh cara!

di Paolo Pozzuoli

Messi da parte stereotipi e vecchi cliché, quest’anno, nella ricorrenza del 70° anniversario della Liberazione, ci si è avviati sui sentieri luminosi e dorati del sentimentalismo, della commozione, delle emozioni. Settant’anni dopo la liberazione del nostro territorio, delle nostre case, della nostra acquisita libertà vuoi fisica che morale e intellettuale, oggi, da eredi di quei drammatici eventi, ne stiamo vivendo, senza soluzione di continuità, altrettanti simili che hanno coinvolto e continuano a coinvolgere centinaia e centinaia di nostri fratelli i quali, per fuggire dalla schiavitù, dalla fame, dalla guerra, da ogni divisione etnica e religiosa, e inseguire un sogno (libertà e felicità), finiscono per precipitare in fondo al mare assieme ai sogni ed alle speranze. Pur indignandoci, mortificandoci, soffrendo e maledicendo i promotori delle stragi dei tanti migranti, proviamo ad attualizzare e a interiorizzare commozione ed emozioni facendo tutto quanto è nelle nostre facoltà e possibilità al fine di cercare di salvare ogni vita umana e a trovare comunque soluzioni degne. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Che è tale da non consentirci – è ormai intollerabile – di continuare a subire la spavalderia, l’insolenza non solo dei trafficanti e degli scafisti ma soprattutto di chi, promuovendo i vergognosi e immorali viaggi della speranza – assolutamente da contrastare con ogni forza possibile e poi ‘fermare i trafficanti perché il Mediterraneo non diventi un cimitero’ – trae un lauto profitto. Sono viaggi che coloro i quali li hanno già vissuti in prima persona, faticano a dimenticarli. Sono viaggi molto simili a quelli ‘avventurosi’, affrontati prima della vera Liberazione: di altri ‘disperati’, parimenti effettuati su mezzi di fortuna, ma via terra, i quali, nel tentativo di raggiungere località lontane dagli incessanti e più disparati bombardamenti, si affidavano alla divina provvidenza per evitare posti di blocco pericolosi e letali. Con la Liberazione, disconosciutane la maternità, per anni consolidato appannaggio della ‘sinistra’, concordata e rivendicata una pluripaternità che ne ha unanimemente stabilito giorno, mese ed anno di nascita, è stata generata anche la seconda Unità d’Italia.
Il senso dei valori ed il culto degli ideali, per quanto sacri, inviolabili, indissolubili, radicati, riflettevano – come in uno specchio – i molti limiti che hanno favorito, meglio forse obbligato, alleanze risultate discriminanti, inconsistenti, deleterie anche per le profonde spaccature venutesi a creare nel seno delle famiglie. È uno dei tanti aspetti della caducità umana che ci faceva e voleva diversi e distanti anziché uniti, fermi, coesi per attuare una opposizione forte e decisa nei confronti di chi ebbe a pretendere un’alleanza incredibile, scellerata. E la nostra resistenza poteva nascere molti anni prima di quella attuata per liberarci da un alleato che ha provocato tragedie assurde, addirittura con combattimenti fraterni e l’accanimento di una caccia all’uomo militante sotto la bandiera diventata dei vinti. Grazie all’opera meritoria di alcuni noti giornalisti e scrittori, in occasione di questo 70° anniversario della Liberazione, è stato accantonato l’aspetto storico e ontologico della serie di eventi che si sono succeduti e messi in risalto le tante storie, gli altrettanti racconti di intere comunità (uomini, donne, bambini, contadini, casalinghe, professionisti, artigiani, militari, ecc.) che, con la loro genuina e preziosa testimonianza, ci hanno regalato uno spaccato nuovo, di inestimabile valore, della nostra Storia finora sconosciuta ai più. Non sono storie da poco. Se ne sono avute in ogni famiglia: ma, su di esse era stato messo un velo pietoso. Affascinante un loro recupero e bellissimo poter partecipare e condividere le emozioni. Tiriamole, dunque, fuori dal chiuso dello scrigno dei ricordi dov’erano state ristrette e quanto meno accenniamole. Sono storie intrise forse di sangue, pregne di umanità, velate di nostalgia che rinnovano il commovente ricordo delle meravigliose persone che non sono più tra noi ma che hanno lasciato in eredità un patrimonio incommensurabile di affetti, di valori, di stile, di amore, di cultura, di professionalità, di umiltà, di vita. Che dire, in proposito, della mancata promozione a questore dello zio Giovanni, soltanto perché, non aveva abiurato agli antichi ideali e non si era convertito – come la gran parte dei dipendenti pubblici e non – al nuovo corso? Il veto fu imposto da un noto parlamentare socialista, antifascista e partigiano, componente del consiglio di amministrazione del ministero che, indignato, sentenziò “continua a manifestare le sue idee fasciste; ne è piena la cartella; non sarà mai questore!”. Eppure il curriculum era invidiabile e notevole il contributo offerto nel portare in salvo diverse vite umane, anche ebree! Lo zio Achille, docente di lettere classiche, impegnato in zone di guerra riferiva che mentre loro giovani erano al ‘fronte’ a combattere, a Roma gli alti ufficiali facevano incetta di medaglie. Lo zio Carmine, ufficiale della milizia e insegnante di educazione fisica (… aveva frequentato l’Accademia di educazione fisica della Farnesina), nonostante il cursus adamantino, specchiato, venne comunque prelevato da un sedicente partigiano (… molti anni dopo, me l’indicò; faceva il cameriere in un bar, sempre a Como, e intascava comunque la mancia che gli veniva data) nella sua dimora di Como e incarcerato (… poi liberato per la buona mediazione degli amati suoceri, genitori della straordinaria, ineguagliabile zia Luisa Ballerini); e, in udienza papale (Pontefice Pio XII), rimase estasiato (… conosco i miei limiti e la mia umiltà, forse avevo qualche riserva, ma quando ho visto accanto a me Pio XII non ho capito più niente, sono stato colpito da una visione particolare). Lo zio Raffaele, uomo di rare virtù, medico di valore, di una genuinità incredibile, da servitore dello Stato quale ufficiale medico si trovava in Sicilia quando sbarcarono i ‘nuovi’ alleati (U.S.A.); alla fine delle ostilità belliche, rischiò di essere rinviato a giudizio quando, nelle aule di un tribunale, alla domanda di un giudice ‘quale resistenza avete opposto al nemico’ aveva risposto ‘il comandante delle truppe americane,una volta a terra, si fece scortare fino alla tenda del nostro comandante e una volta al suo cospetto dopo aver pronunciato ‘da questo momento siete nostri prigionieri’ ebbe come risposta ‘il tempo di finire il pasto che sto consumando e sono vostro prigioniero’.
Ci siamo sentiti confortati dal pensiero del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che, nel corso di una straordinaria intervista, ha dichiarato: ”La Resistenza è stata una grande esperienza collettiva nazionale, un processo di altissimo valore ideale e morale, ma anche complesso e non esente da ombre; Il 25 aprile fu lo sbocco di un vero e proprio moto di popolo: la qualifica di ‘resistenti’ va estesa non solo ai partigiani, ma ai militari che rifiutarono di arruolarsi nelle brigate nere e a tutte le donne e gli uomini che, per le ragioni più diverse, rischiarono la vita per nascondere un ebreo, per aiutare un militare alleato o sostenere chi combatteva in montagna o nelle città; la Resistenza italiana mostrò al mondo la volontà di riscatto degli italiani, dopo anni di dittatura e di guerra di conquista; sono stati molti i libri e le inchieste che si sono dedicati a riportare alla luce le vendette, gli eccidi, le sopraffazioni che si compirono, anche abusando del nome della Resistenza, dopo la fine della guerra; si tratta di casi gravi, inaccettabili e che non vanno nascosti; gli atti di violenza ingiustificata, di vendetta, gli eccidi compiuti da parte di uomini legati alla Resistenza rappresentano, nella maggior parte dei casi, una deviazione grave e inaccettabile dagli ideali originari della Resistenza stessa; nel caso del nazifascismo, invece, i campi di sterminio, la caccia agli ebrei, le stragi di civili, le torture sono lo sbocco naturale di un’ideologia totalitaria e razzista; la storia italiana è passata attraverso la dittatura fascista, la guerra, la lotta di Liberazione; e un popolo vive e si nutre della sua storia e dei suoi ricordi “.

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