Meno giudizio, meno sofferenza e più felicità

Hai mai pensato quanto il tuo giudizio fosse importante per definire la tua vita? E non hai mai riflettuto su quanto possa di fatto crearci una vera e propria gabbia? Oggi approfondisco questo aspetto che nella pratica meditativa è fondamentale da considerare.

Quando intrapresi il percorso spirituale che sto continuando a percorrere, non avrei mai pensato di quanto la mia mente sarebbe potuta cambiare: in quel momento ero preso da una sorta di profonda insoddisfazione e di sofferenza.

Questa energia di cambiamento mi ha spinto fortemente verso una direzione dove tutto ciò che nel quale credevo e che avevo giudicato venisse messo in dubbio, sotto l’occhio attento dell’analisi.

Da quel dubbio è poi scaturita una scintilla che mi ha portato pian piano ad avventurarmi nei meandri della mia mente, per cercare di conoscere sempre di più come avevo configurato la mia esistenza.

Non pensavo, ingenuamente, che alla base di tutta la mia sofferenza ci fosse uno stato mentale estremamente giudicante.

Ed è di questo che voglio parlarti oggi.

Come nasce il nostro giudizio

Quando siamo nati, come una spugna abbiamo assorbito insegnamenti, modi di fare e di agire, comportamenti e giudizi che si sono via via stratificati dentro di noi, definendo poi quell’insieme di esperienze come la nostra identità, quello che ci piace e non ci piace, quello che sono i nostri sogni ed ambizioni.

Abbiamo imparato dai nostri genitori in primis e dai nostri insegnanti, amici e parenti più stretti, dall’educazione ricevuta e dalle fonti di informazione come il mondo si mostra attorno a noi o meglio come noi immaginiamo che sia.

Quindi ci abbiamo messo del nostro, la nostra interpretazione personale. Su ogni cosa che vediamo poniamo un giudizio: mi piace, non mi piace o è assolutamente neutrale.

Così come il giudizio nasce dalle nostre esperienze passate, allo stesso modo sono associate emozioni e pensieri a quelle persone, oggetti, luoghi e situazioni.

E quando andiamo a fare una nuova esperienza similare ad una che abbiamo già giudicato come piacevole, molto probabilmente la andremo a fare, proprio in virtù del giudizio che abbiamo dentro di noi.

Se fosse un’esperienza che abbiamo giudicato come spiacevole, faremo molta più fatica a ripeterla. Anzi, tenteremo di evitarla come la peste!

Portando avanti quindi queste convinzioni ed idee che abbiamo sviluppato riguardo noi stessi e tutto ciò che costituisce la nostra realtà, facciamo delle valutazioni rapidamente riguardo la nostra prossima esperienza.

Giudizio ed Esperienza

Ora ti domando: quanto incide secondo te il fatto di aver giudicato in anticipo una situazione/persona/luogo/pensiero/emozione/evento nel vivere quell’esperienza stessa?

Magari non ci hai mai pensato molto, ma se inizi a farci caso, quel modo particolare di interpretare e giudicare l’esperienza significa modificare fortemente ciò che andremo a fare.

Per dirla con altri termini: il nostro pensiero e giudizio influenzano ciò con cui interagiamo.

Questo significa prendersi responsabilità delle proprie emozioni e pensieri.

Potresti dirmi che la parola responsabilità è una parola pesante per le emozioni ed i pensieri, d’altronde non è che li posso controllare!

E’ verissimo, non le possiamo controllare.

Un’altra cosa che accade spesso è rendersi conto troppo tardi di come ci sentivamo e di come magari abbiamo reagito in modo maldestro ed esagerato nei confronti di una persona o in una situazione passata da 1 settimana, 1 mese o anche 1 anno.

In tutto questo il nostro giudizio grossolano sembra guidarci verso una strada che pare restringersi sempre di più man mano che andiamo avanti con l’età.

Prova a pensare a persone anziane (ma non necessariamente), le loro convinzioni ed idee sono così fortemente radicate in loro che difficilmente le potrai convincere o persuadere del contrario.

Questo nasce da un forte senso identitario con le proprie idee, come se, non comportandosi come si è solitamente, potrebbe succedere qualcosa dove non ci si riconosce più.

Ad esempio se pensi a come sei come persona, come carattere, personalità, comportamento, ma anche più semplicemente come lavoro, ruolo sociale, status, probabilmente hai un’idea ben chiara di te stesso.

E il nostro giudizio è affiancato a questa identità poichè la usa come metro di paragone.

Quante volte abbiamo giudicato qualcuno perchè si è comportato in modo differente da noi o dalle nostre aspettative?

Per questo l’idea di aggrapparsi a quell’identità che ci pare statica, rigida e definita, mai messa in dubbio se non in momenti critici, ci pone dei grossissimi limiti. Limiti che da un lato rappresentano una nostra definizione, ma che in base proprio al fatto che ci siamo molto attaccati a questa definizione, facciamo fatica a gestire il cambiamento.

E non solo il cambiamento: il giudizio diventa una sorta di gabbia dalla quale facciamo fatica ad allontanarci, poichè ci identifichiamo nei nostri giudizi. E’ come vediamo il mondo di fatto, però ci fa soffrire terribilmente.

Continuando a giudicare ogni cosa che abbiamo attorno, gravandola di un peso soprattutto negativo cosa accade? La nostra mente viene colorata dalla qualità del giudizio e ha una reazione di evitamento, di tensione che si viene a creare. Diventano maschere dei nostri comportamenti, zavorre da portarsi appresso in qualunque posto, senza sapere come liberarsene.

La pratica meditativa e il giudizio

Penso che chiunque sia arrivato spossato a fine giornata anche senza aver fatto molto, possa aver pensato molto in quella giornata e visto che i nostri pensieri sono ricchi di giudizi, di paragoni, di confronti con questo o quell’altro, spesso ci può portare in stati di ansia e di preoccupazione o di sensi di colpa frequenti.

Un buon modo per alleggerire il carico, mollare questi pesi e togliere maschere dal nostro vissuto è quello di fare un incontro sincero con sè stessi.

macigno-zavorra-peso

E per poterlo fare è necessario conoscere sè stessi, in questo caso quali pensieri si annidano sotto la superficie.

I pensieri che spesso abbiamo e che possiamo riconoscere facilmente sono i più grossolani.

E iniziando a praticare meditazione con costanza, questi si riducono di importanza, recedono sempre di più. La mente, trovandosi in uno stato di osservazione, si eccita e compaiono molti altri pensieri.

“Ma come, la meditazione non mi porta a svuotare la mente?”

Questo è uno dei giudizi che aleggiano attorno alla meditazione, cioè che si svuota necessariamente la mente. In realtà se non avessimo nessun pensiero, saremmo come un muro, un sasso.

Quello che succede invece è che usando il respiro, le sensazioni al corpo, o forme di visualizzazione la mente si unidireziona invece di saltare a destra e a sinistra come una scimmia impazzita.

La mente quindi si fa più quieta, meno irritata dai pensieri e dai giudizi associati ad essi. Questo avviene per un approccio di accettazione non giudicante e ad una graduale disidentificazione dai contenuti mentali.

In soldoni significa che se prima un pensiero ci arrovellava nella testa per tantissime volte, come se tornasse senza darci pace, nel tempo si toglie quel giudizio al pensiero stesso (per cui da negativo e pesante può diventare neutrale e più accomodante).

Il mio maestro usa di solito questa metafora. Immaginiamo di sederci sull’argine di un fiume ad osservare cosa passa per il fiume. Vedremo flutti, detriti, l’acqua che vortica, ecc.

Allo stesso modo quando meditiamo facciamo la stessa cosa: osserviamo i nostri pensieri scorrere uno dopo l’altro senza però infatuarcene. Li vediamo passare senza aggrapparci ad essi se sono belli, senza ripudiarli se sono brutti e senza ignorarli se non sono nè uno, nè l’altro.

Quando riconosciamo con chiarezza questo processo, quando riconosciamo tutte le volte in cui ci “tuffiamo” nel fiume perchè ci identifichiamo nei contenuti mentali, allora sorgono tensioni, stress, pesantezza mentale e fisica.

Effetti a lungo termine della pratica

Ciò che accade quando si ripete questo processo di riconoscimento dalle forme di distrazione, di disattenzione e di mancata consapevolezza, diventano una miniera d’oro, è come se ci risvegliassimo, poichè pian piano tagliamo le radici della nostra ignoranza (visione erronea) verso la realtà. Pian piano le convinzioni che ci animavano diventano qualcosa di più fluido, in evoluzione, dove il non attaccarsi all’idea che le cose debbano essere come vogliamo noi è un balsamo incredibile per la propria pace mentale.

E questo nel tempo produce meravigliosi risvolti nella nostra vita, se ci impegniamo.

Provate a fare mente locale quando magari avete praticato assieme a qualcuno. L’ambiente, le persone negli ambiti meditativi è spesso privo di quella sottile e palpabile tensione che nasce dal giudizio. Un giudizio che anche noi ci portiamo appresso

Ma anche voi stessi agli occhi delle altre persone sentirete il giudizio essere mutato, più leggero, meno ingombrante, meno importante, non così personale.

Ed è una prospettiva che rappresenta una rivoluzione interiore ENORME!

Per concludere: dedicate anche 5-10 minuti al giorno nella pratica, vi sarà di enorme beneficio, soprattutto nel praticare assieme ad altre persone o meglio ancora seguendo un maestro, confrontandosi lungo le svariate difficoltà che sorgono.

Abituare la mente ad essere meno avvinghiata al giudizio è un toccasana che rivoluziona il modo in cui viviamo, poichè diventa più aperta e libera.

 

Fonte: Essere e divenire  – http://danielezanini.it/2018/06/17/meno-giudizio-meno-sofferenza-piu-felicita/

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