Migrante ucciso, Mancini resta in carcere. L’addio a Emmanuel, la compagna sviene durante il funerale

Il 39enne in stato di fermo per omicidio preterintenzionale con l'aggravante dell'odio razziale mette i suoi beni a disposizione della vedova

Amedeo Mancini, l’ultrà che ha ucciso Emmanuel Chidi Nnamdi, deve restare in carcere perché potrebbe reiterare il reato. Così il Gip Marcello Caporale, secondo il quale l’italiano potrebbe aggredire ancora altri migranti o profughi presenti a Fermo. Il giudice non ha invece convalidato il fermo disposto dalla procura, perché ha ritenuto insussistente il pericolo di fuga dell’indagato

Davanti al giudice, l’ultrà ha confermato la sua versione dei fatti. Lo ha riferito il suo legale, avvocato Francesco De Minicis, parlando con i giornalisti che gli chiedevano i motivi della brevità dell’udienza di convalida, durata meno di due ore. Secondo De Minicis, Mancini ha ammesso di aver insultato la compagna di Emmanuel, chiamandola “scimmia africana”, e di essersi difeso con un pugno quando il giovane nigeriano lo ha aggredito. “Ha anche ribadito di non avere nessuna intenzione di uccidere” ha concluso l’avvocato”.

Mancini “riconosce di avere una responsabilità morale ma non giuridica” nella morte del migrante nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi, per questo “mette a disposizione tutto quello che ha, un terzo di casa colonica e un pezzettino di terra lasciatagli dal padre, a disposizione della vedova”. Lo ha detto il difensore dell’ultrà.   ”Tutti gli atti di buona volontà vanno sempre accolti, affinché ci sia la pace di tutti” replica don Vinicio Albanesi, ma l’offerta di Amedeo Mancini, pronto, annuncia il difensore, a mettere a disposizione di Chinyere Emmanuel tutto quello che ha, non è un argomento nemmeno vagamente sfiorato con la vedova di Emmanuel Chidi Nnamdi.

Addio a Emmanuel Chadi Namdi, il 36enne nigeriano morto dopo una colluttazione con un ultrà, tra i canti e i colori della sua terra africana, l’abbraccio delle istituzioni dello Stato, il pianto straziante e inconsolabile della sua compagna Chinyere. Pieno il Duomo di Fermo: oltre alla presidente della Camera Laura Boldrini, alla ministra Maria Elena Bochi al vice presidente dell’Euroaparlamento David Sassoli e all’europarlamentare Cecile Kyenge, al presidente del Consiglio regionale delle Marche Antonio Mastrovincenzo, al sindaco Paolo Calcinaro, tanti rappresentanti delle associazioni di volontariato e di assistenza migranti, ma anche gente comune. Contro le forme barocche della chiesa, spiccano i rossi e i neri degli amici del seminario arcivescovile, con fasce rosse sulla fronte in segno di lutto come si usa in varie parti dell’Africa. Abito e fazzoleto bianco per Chinyere, la 24enne giunta in Italia con Emmanuel e a lui legata da una promessa di matrimonio. Intorno a lei le piccole Sorelle Jesu Caritas, che l’assistono e le fanno aria. Ma la tensione è troppa per la giovane donna, che sviene, proprio nel momento di scambio del segno di pace e viene portata fuori: dopo qualche minuto soccorsa in una ambulanza rientra in chiesa e rimane sino alla fine della cerimonia. Il rito è quello tradizionale per i funerali della chiesa cattolica, ma arricchito alla fine da uno spazio dedicato agli amici e ai conterranei di Emmanuel. Che prima leggono in francese e in inglese passi degli Apostoli, poi li parafrasano: “nessuno uomo nasce per sé e vive per sé, tutti viviamo in dio. E’ dio che ci ha fatto bianchi e neri, siamo di colori diversi, ma nelle nostre vene scorre lo stesso sangue”. E’ il momento più commovente che molti in chiesa seguono con le guance rigate di lacrime, fino ad un applauso finale quando i ragazzi concludono “Emmanuel poteva morire nel Mediterraneo, se è morto qui 7 mesi dopo in Italia, è la volontà di Dio. Sia fatta la volontà di Dio, che Dio vi benedica”, prima di intonare canti tradizionali con tamburi e altri strumenti esotici. Poi è la volta di un gruppo di donne dagli abiti coloratissimi, alcune sono religiose. Anche loro cantano vari inni e alla fine si lanciano in una trascinante versione di “When the saints go marchin’in” che viene intonata da tutta la gente raccolta in chiesa. Una di loro legge un messaggio del presidente della Nigeria al presidente Mattarella. Infine prende la parola don Vinicio Albanesi, affiancato da Chinyere, che piange e grida in modo ritmato. “Lei – spiega il presidente della Comunità di Capodarco – mi ha chiesto ‘dove era Dio mentre mio marito moriva? Le ho risposto che era con Emmanuel, Lui che è stato schernito, deriso, umiliato e infine crocifisso”.

Arcivescovo di Fermo, noi i disperati – “Bisogna alimentare la speranza di chi tra mille peripezie arriva tra noi. E mi dà fatidio quando sento i media definirli disperati. Ma dove? Ma quando? Semmai noi lo siamo con la nostra vita inutile e insensata”. E’ il monito dell’arcivescovo di Fermo mons. Luigi Conti, pronunciato nell’omelia durante il funerale in Duomo di Emmanuel Chidi Nnamdi, il migrante nigeriano morto dopo una colluttazione con un ultrà, a cui si era ribellato per gli insulti razzisti rivolti alla compagna. Mons. Conti riprende il monito pronunciato oggi all’Angelus dal Papa – “Dio è nel migrante che tanti vogliono cacciare” – invita a recuperare il senso delle proporzioni e l’unione della comunità. Si rivolge alla platea della politica: in chiesa ci sono la presidente della Camera Laura Boldrini, il ministro Maria Elena Boschi, il vice presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, l’europarlamentare Cecile Kyenge, tutti lì a testimoniare solidarietà alla giovane e affranta compagna di Emmanuel e a dire no al “virus del razzismo” e alla tentazione di derubricare la morte del giovane migrante ad incidente. Il vice presidente del Senato Roberto Calderoli (Lega) cavalca la polemica auspicando che “lo Stato sia presente con la Boldrini e i ministri a ogni funerale di ogni cittadino ucciso in risse stradali o episodi di delinquenza,a prescindere dal colore della pelle o della nazionalità sia della vittima sia di chi uccide”. E a proposito di funerali dice: “Perché lo Stato non ha partecipato a quelli delle vittime della strage di Dacca”?. Analoghi argomenti da parte dell’altro vice presidente Maurizio Gasparri (Fi), che invita la presidente della Camera a essere “antirazzista sempre”. Lei però rimanda tutto al mittente: “dire scimmia a una donna non è una battuta”. Ma ora è il momento di costruire ponti: “Fermo non è una città razzista” dice Boldrini, rassicura gli italiani affermando che “non permetteremo che la nostra società sia inquinata dal razzismo” e invita tutti, in particolare “chi ha responsabilità pubbliche” a “non diffondere odio”. Mons. Conti parla al suo gregge fermano: una comunità divisa, che ha reagito con ambivalenza alla tragedia. C’è chi si è indignato e è venuto al funerale, “per testimoniare che quello che è successo è ingiusto”, c’è chi minimizza, come dimostra una conversazione colta oggi al volo nella centralissima piazza del Popolo: “è stata una giornata no” per tutti i due, cioè per Emmanuel, il migrante venuto in Italia a cercare la pace, per Amedeo Mancini, il 39enne ultrà, secondo molti con simpatie di destra, aggressivo e attaccabrighe, come se dare della scimmia ad una donna e del cornuto ad un tifoso avversario fossero la stessa cosa. Una dicotomia, che si ritrova, – ma è inevitabile – nel procedimento giudiziario: per il difensore di Mancini, lui ha agito per legittima difesa, per i rappresentanti della parte offesa (la compagna e la Fondazione Caritas in Veritate), Emmanuel è stato ammazzato a forza di botte. Se ne saprà di più con il prosieguo dell’inchiesta: domani è in programma l’udienza di convalida per Mancini. Annuncia battaglia don Vinicio Albanesi, che si è costituito parte civile per la Fondazione Caritas in veritate: “Emmanuel ha difeso la dignità della sua compagna e sulla dignità non si media”.

 

http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2016/07/10/fermo.-papa-dio-e-nel-migrante-che-tanti-vogliono-cacciare_4088e5c1-656b-4ac7-bf28-999727813997.html

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