Migranti e HIV: servono informazione e prevenzione

La maggior parte contrae l’infezione in Europa. “Serve maggiore informazione e un ampio piano di prevenzione. L’obiettivo può diventare quello di debellare la malattia” dichiara la prof.ssa spagnola Julia Del Amo

 HIV E MIGRANTI. Il fenomeno delle migrazioni non è di per sé causa dell’aumento delle infezioni da HIV, ma costituisce una componente che aggrava il problema dei contagi. “Nel 2015, i migranti hanno rappresentato il 39% dei nuovi casi diagnosticati di HIV in Europa. In alcuni paesi, in Svezia ad esempio, raggiungono il 75%, delle nuove diagnosi. In Italia sono il 28%” dichiara Julia Del Amo – Professoressa in scienze biomediche presso l’Istituto Sanitario Carlo III di Madrid. “È importante tuttavia sottolineare che solo una parte dei migranti arrivano in Europa affetti dalla malattia: in relazione per esempio all’Africa Sub Sahariana, una delle aree del mondo più colpite, solo la metà di coloro che giungono nel nostro continente hanno già l’HIV. È necessario dunque fare maggiore prevenzione. Per alcuni gruppi specifici, come i migranti omosessuali (MSM), la probabilità di contrarre il virus dopo la migrazione è assai elevata, arrivando al 72%. Non meno preoccupante il fenomeno che scaturisce dai contatti eterosessuali, che provocano il contagio tra gli immigrati provenienti dall’Africa Sub Sahariana in oltre il 50% dei casi”. Meno rilevante il fenomeno legato all’uso di droghe, comunque non trascurabile quando il discorso si sposta su immigrati provenienti da altri Paesi (Russia, Ucraina, Estonia). Complessivamente, non c’è abbastanza consapevolezza di ciò che accade: troppo spesso infatti si pensa che i migranti portino l’HIV dall’Africa nei nostri paesi. In realtà, in alcuni casi, come in Grecia, il 95,3% delle infezioni tra migranti avviene proprio nelle aree di accoglienza.

Serve dunque una campagna di sensibilizzazione e di informazione, che deve essere accompagnata da un’adeguata campagna di prevenzione. Oggi persiste una disparità nei trattamenti a danno dei migranti, che a causa di un ridotto accesso non possono usare strumenti di prevenzione e non riescono ad eseguire test per valutare lo stato dell’infezione. “Il messaggio deve essere di lotta alla discriminazione, al razzismo e alla xenofobia” continua la prof.ssa Del Amo. “Il rischio di trasmissione diretta di HIV dai migranti alla popolazione europea non esiste, ma resta il problema della trascuratezza nei rapporti sessuali non protetti. Ma questa è una responsabilità che deve essere condivisa: bisogna ricordare che i migranti che provengono da determinate aree geografiche come l’Africa Sub sahariana o l’America latina sono originari di regioni dove la diffusione di HIV è più elevata che in Europa, quindi c’è un maggiore rischio di contrarre il virus se si fa sesso non protetto”. La UN AIDS (Joint United Nations Programme on HIV/AIDS) ha varato norme riguardanti i diritti umani nei principi di tutela della salute pubblica per migliorare il controllo dell’HIV. “Se l’Europa riconoscesse questi diritti e migliorasse i sistemi di prevenzione si potrebbe raggiungere un obiettivo molto ambizioso, la fine dell’AIDS. Questo è il progetto che è stato proposto nei maggiori istituti sanitari del mondo. Non possiamo lasciare i migranti fuori dalla risoluzione del problema della lotta all’AIDS” conclude ancora la prof.ssa Del Amo.

 

IL CONGRESSO – Il contributo della professoressa Del Amo si è svolto all’interno della nona edizione di ICAR (Italian Conference on AIDS and Antiviral Research), dal 12 al 14 giugno 2017 a Siena. Il congresso, presieduto dai professori Maurizio Zazzi (Siena), Andrea Antinori (Roma) e Andrea De Luca (Siena), si è svolto presso l’Università degli Studi di Siena – Centro Didattico del Policlinico S. Maria alle Scotte. Presenti 1100 specialisti, tra medici e ricercatori di vari settori, coinvolti nell’assistenza e cura dell’infezione da HIV e volontari delle associazioni impegnate nella lotta contro l’AIDS. ICAR (Italian Conference on Antiviral Research) è organizzata sotto l’egida della SIMIT, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, e con il patrocinio di tutte le maggiori società scientifiche di area infettivologica e virologica.

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