Nepal, migliaia di persone in fuga da Kathmandu. Sono scesi a tre gli italiani ancora irreperibili

Corsa per gli aiuti umanitari. Nella capitale scarseggiano acqua, cibo e medicine. Domattina i primi rientri dei nostri connazionali

Sono scesi a tre gli italiani che la Farnesina non riesce ancora a contattare a cinque giorni dal devastante terremoto che ha causato migliaia di morti in Nepal.

La situazione a Kathmandu si fa sempre più disperata per la mancanza di acqua e cibo e per una situazione sanitaria al collasso che – è l’allarme dell’Oms – alimenta il rischio di epidemie.

Oggi migliaia di persone in fuga hanno preso d’assalto le stazioni degli autobus per tornare nei loro villaggi di origine. Nel “Bus Park” di Gongabu in mattinata si sono verificati disordini per la ressa ed è dovuta intervenire la polizia. I veicoli partono stracarichi, con decine di passeggeri anche sul tetto.

Chi resta protesta per la lentezza degli aiuti: circa 200 persone hanno bloccato il traffico accusando il governo di non fare abbastanza e ci sono stati scontri con le forze dell’ordine. Mentre il capo del distretto nepalese di Sindhupalchowk, il più colpito con quasi 1500 morti, è dovuto “fuggire” dal suo ufficio dopo le proteste dei senzatetto che reclamavano aiuti.

Intanto l’incubo di un gruppo di una ventina di italiani scampati al terremoto è finalmente finito stasera quando sono saliti su un volo commerciale organizzato dalla Farnesina per il rimpatrio. Alcuni di loro hanno visto la morte da vicino, altri sono stati isolati per giorni sui sentieri dei trekking, altri ancora si lamentano per l’estenuante attesa dell’aereo militare italiano che avrebbe dovuto riportarli in Italia ieri ma che è stato bloccato a New Delhi in attesa di autorizzazione all’atterraggio. Il C130 arriverà in nottata.

«Non vedo l’ora che finisca questo delirio», dice Roberta, 28 anni, che è arrivata per prima all’aeroporto internazionale Tribhuvan di Kathmandu, ancora intasato di turisti di tutto il mondo in fuga dal Paese himalayano. Al momento del sisma era nella “Kathmandu Guesthouse”, dove è stata contattata ieri dal team dell’Unità di Crisi arrivato lunedì sera. «Per fortuna l’albergo non è stato danneggiato – dice – ma sono stata isolata per giorni. Poi mia sorella ha chiamato la Farnesina e sono venuti a prendermi».

Ognuno ha un dramma personale da raccontare. Come quello incredibile di Iacopo, bergamasco di 24 anni, che si è salvato perché aveva dovuto interrompere un trekking a Tamang con la fidanzata per una brutta infezione. È stato operato venerdì sera in una clinica. «Molto probabilmente adesso saremmo dispersi sotto una frana – dice – se fossimo rimasti tra le montagne». Può camminare, ma a fatica.

Anche Antonello Grossi, dentista romano, è sofferente per una spalla rotta e si deve operare al più presto. «Con amici stavo facendo il trekking dell’Annapurna – racconta – quando una forte scossa di terremoto mi ha fatto perdere l’equilibrio e sono rotolato giù nel sentiero». I compagni hanno proseguito la vacanza, ma lui è tornato a Pokhara e poi in aereo a Kathmandu.

Altri italiani lamentano invece disorganizzazione e ritardi nelle operazioni di rimpatrio rispetto ad altri Paesi, con qualcuno che punta il dito contro il consolato di Kathmandu che nelle prime ore non rispondeva a telefonate e mail. A differenza di altri Paesi tuttavia – si fa notare – l’Italia a Kathmandu ha solo un consolato onorario e non una struttura diplomatica di dimensioni tali da consentire una risposta logistica rapidissima di fronte ad un disastro del genere.

Un giovane trekker di Milano, che era nella regione dell’Everest, e che preferisce non rivelare l’identità, la pensa però diversamente. «Siamo salvi e questa è la cosa più importante – dice -. Chi si lamenta vuol dire che non conosce questo Paese».

Allo scalo nepalese, in attesa di partire, c’è anche un team di tre agronomi impegnati in un progetto della cooperazione italiana sullo sviluppo dell’olivicoltura. Sono Stefano Valle, Lorenzo Travero e Marco Focacci, e si trovavano nel rione turistico di Thamel al momento del sisma. «La guesthouse confinante con la nostra è crollata su se stessa – ha detto Traverso, studente dell’università della Tuscia – e quindi ci è andata bene. Ma quando ho visto che c’era della gente sotto la guesthouse mi sono messo a scavare insieme ad altri». Ha tirato fuori dalle macerie tre donne e poi ha creato un varco tra le lastre di cemento che ha permesso a un ragazzo di sopravvivere fino all’arrivo dell’esercito.

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