Piccolo Bellini, serata stampa 16 dicembre “Some Girl(s)”

di Neil LaBute

traduzione e adattamento
Gianluca Ficca e Marcello Cotugno

cast in o.a
Martina Galletta, Laura Graziosi, Bianca Nappi,
Gabriele Russo, Roberta Spagnuolo

scene Luigi Ferrigno
costumi Annapaola Brancia D’Apricena

regia Marcello Cotugno

Personaggi e interpreti
Sam – Laura Graziosi
Guy – Gabriele Russo
Tyler – Bianca Nappi
Lindsay – Roberta Spagnuolo
Bobbi – Martina Galletta

Episodio on line: Reggie – Rachele Minelli
http://www.youtube.com/watch?v=pYnGjhWxpus&feature=youtu.be
Il problema vero è non fermarsi alla rappresentazione della vita, bensì andare a cercarla dove nasce veramente, nelle chiacchiere dei ragazzi, nei brividi del cuore, nel formarsi di un’idea.
Eric Rohmer

Le reti di legami umani, un tempo radure ben protette e isolate nella giungla […], si trasformano in zone di frontiera in cui occorre ingaggiare interminabili scontri quotidiani per il riconoscimento. […] Complessivamente i rapporti cessano di essere àmbiti di certezza, tranquillità e benessere spirituale, per diventare una fonte prolifica di ansie.

Zygmunt Baumann

Note di regia

Some Girl(s) è una commedia intrigante e acuta, nata dalla penna di uno degli autori americani più acclamati della generazione post-Mamet, Neil LaBute.
Un giovane uomo, insegnante e aspirante scrittore, prima di sposarsi decide di fare un viaggio à rebours nella propria vita, mettendosi in cerca delle proprie ex per provare – in un paradossale tentativo di espiare gli errori delle vite precedenti – a sistemare, come dice lo stesso autore, “il casino che ha combinato nella sua vita sentimentale lungo la strada verso la propria maturità”.
Ne emerge il tragicomico ritratto, in bilico tra Rohmer e Voltaire, di un uomo-bambino: un adultescente che barcolla tra paura di impegnarsi, senso di colpa e una spietata ambizione che lo spinge, un po’ per cinismo un po’ per incoscienza, a consumare e manipolare le donne della sua vita.
Simpaticamente sconfitto su tutti i fronti, alla fine sarà capace di rialzarsi, nonostante i lividi, senza pensarci troppo su. E con la stessa leggerezza, o superficialità di sempre, ricomincerà a macinare la propria vita tra un danno e un altro.
Quattro donne si alterneranno in scena con il protagonista, e una quinta sarà interprete di un insolito contenuto extra. La messinscena, infatti, si contamina con una multimedialità che supera i confini teatrali: grazie a un link gli spettatori avranno la possibilità di assistere a un quinto episodio della storia che, visibile solo online, li condurrà ancora più in profondità in quest’indagine sulle complessità delle relazioni uomo-donna.
Guy è un uomo bambino o è anche lui un naufrago alla deriva nella liquidità dell’amore? Sam è una ragazza abbandonata o una provinciale inghiottita dalle sue stesse aspettative piccolo borghesi? Tyler ha fatto dell’indipendenza un motivo d’orgoglio e della seduzione un’arma, oppure è una donna fragile che teme di abbandonarsi alla speranza? Lindsay è affamata di vendetta o è semplicemente scissa tra noia e perversioni intellettuali? E chi è in realtà Bobbi? Una donna emancipata dalla trappola delle relazioni o è anche lei in cerca della sua parte di rivalsa? E infine Reggie (la quinta donna presente nell’extra online) non è altro che una ragazzina curiosa o è la nemesi che finalmente si abbatte sull’uomo?
La regia esalta, nella sua direzione minimale, queste ambiguità facendo perno sulle capacità interpretative degli attori. D’altra parte Some Girl(s) è dedicato a Eric Rohmer, uno dei padri della Nouvelle Vague. E come nel cinema di Rohmer, la recitazione ha il registro di un naturalismo quasi documentario.
Luci e scenografia contrastano con il realismo che suggerirebbe la scena (una stanza d’albergo sempre più o meno uguale) e sconfinano nel terreno di un teatro simbolista à la Maeterlinck.
Le musiche accompagnano, senza mai sottolinearne gli eventi, questa commedia brillante ma allo stesso tempo amara, spaziando dalle tristi note di Karen Dalton al tema della serie TV Utopia di Cristobal Tapia de Veer, dalle note del piano di Nils Frahm al country malinconico di Conor Oberst e Gillian Welch.
Tutto confluisce nell’idea di un teatro indie-pop: un teatro che, con la stessa capacità di intercettare tensioni e passioni che ha la più illuminata musica contemporanea, ingaggi lo spettatore in un processo di identificazione non rassicurante, in una riflessione sulla liquidità delle esistenze e dei legami, in una condivisione profonda delle emozioni. Un rito di catarsi collettiva che, senza esaurirsi nel tempo della messa in scena, lascia delle domande aperte che accompagnano il pubblico fuori dalla sala.

Marcello Cotugno

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