Recensione: Campania Mortis

Il libro di Ivan Zippo, Campania Mortis,è un testo che in maniera romanzata,quasi visionaria, affronta una tematica, purtroppo, tutt’altro che fantastica: quello dello smaltimento illegale di rifiuti e, nel caso specifico, di rifiuti altamente pericolosi come rifiuti tossici e scarti di laboratorio.

Già dal titolo, Campania Mortis, è intuibile lo scenario apocalittico che a poco a poco si delinea nel corso del romanzo;tuttavia il riferimento nostalgico ad una Campania Felix appare inevitabile.
Il territorio campano, che originariamente fu uno dei più vasti se confrontato con le città italiche del periodo romano e preromano, si meritò l’ appellativo di Felix, che sta per “ prospero”, proprio grazie alla fertilità dei suoi terreni dovuti anche alla presenza del fiume Volturno.
Il passaggio però da una Campania Felix ad una Campania Mortis è tutt’altro che visionario;in realtà è la triste storia di una regione avvelenata , che da terra prospera( felix), è diventata terra dei fuochi (Mortis), che ovviamente non è una traduzione letterale, ma un richiamo alle evidenti conseguenze di cotanto avvelenamento.
In maniera quasi antropomorfizzata,infatti, la morte all’ interno del romanzo prende la forma di essere viventi che però non sono ne umani ne viventi, sono in realtà dei morti che camminano, che sono mossi da una primitiva fame cannibalica, ancestrale desiderio di rivalsa e di sopravvivenza, che qui si concretizza con una vera e propria sete di sangue.
Il romanzo è ambientato in un paese del casertano, Castel Volturno, e già dalle prime pagine riesce ad instaurare, attraverso i vari personaggi che si alternano, un legame empatico con il lettore: i primi due personaggi ad esempio,una reporter ed il suo informatore, sembrano in realtà dar voce a quel flusso di pensieri che spesso, troppo spesso, ha assillato la nostra mente, quasi come se due personalità si alternassero in una medesima persona: quella che lotta o vorrebbe lottare per salvare il suo paese, la sua terra, e quella invece che vuole scappare, nell’ utopica speranza di una terra promessa che sia in grado di offrirgli quelle speranze che si è visto strappar via.
Ma ancora il legame con il lettore e con la realtà stessa,è tenuto ben stretto da tutti gli altri personaggi che via via si affacciano e si delineano con una chiarezza tale, con una minuziosità dei dettagli, da far nascere quasi un’ affezione nei loro confronti, dettata proprio dalla spiccata capacità del’ autore di vestire contemporaneamente i panni di personaggi tanto diversi: uomo e donna, carabiniere e assassina, giornalista e macellaio e altri ancora.
L’ ausilio del dialetto da parte di alcuni personaggi, inoltre, si presta proprio come un ottimo stratagemma atto al completamento di uno scenario pseudo realistico, che coinvolge il lettore sotto tutti i punti di vista. Le stesse scene, inoltre, narrate da più personaggi, è come se dessero una descrizione tridimensionale degli avvenimenti, come più telecamere puntate da diverse angolazioni. La descrizione del paese, delle strade, dei vicoli addirittura,è così ricca di dettagli che anche per chi non conosce quel posto, ma soprattutto per chi lo conosce, sembra di essere lì con il personaggio di turno.
Gli stessi personaggi, inoltre, sono in grado di dar voce anche a profonde riflessioni, a molte delle nostre riflessioni, che cariche di sarcasmo, avvilimento, ma anche scivolamenti deliranti, si intrecciano, di volta in volta, con episodi reali o romanzati, quasi come ad intessere un filo tra realtà e fantasia. Un filo che intreccia questioni delicate come denaro, potere e giochi economici, nonchè riflessioni esistenziali, risultato della difficile situazione che vede noi stessi come protagonisti, nel romanzo della nostra stessa vita.
Giovanna Traetto

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