Riflessione al Vangelo di domenica 7 Giugno 2020 a cura di Don Franco Galeone

7 giugno 2020  –Festa della SS. Trinità (A)

DIO SOFFRE LA SOLITUDINE

gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים  הקדושים

francescogaleone@libero.it

Prima lettura: Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia (Es 34,4). Seconda lettura: State lieti, tendete alla perfezione (2Cor 13,11). Terza lettura: Chi crede in Lui non è condannato (Gv 3,16).

1) La festa della Trinità non è una festa astratta per intelletti metafisici, né un’occasione per dispute teologiche, ma un mistero pieno di luce e con forti suggestioni per la nostra esistenza. Grandi pittori, come Benozzo Gozzoli a San Gimignano, Rubens nella Galleria Nazionale di Praga, Dello Zoppo a Santo Spirito a Firenze, e tanti altri, hanno rappresentato s. Agostino che, meditabondo lungo la spiaggia, conversa con il Bambino che giocava a travasare tutto il mare in una piccola buca nella sabbia: una bella leggenda, che la grande arte ha voluto illustrare per il suo alto simbolismo. Dio è mistero ineffabile: di Lui non sapremmo nulla, se egli stesso non si rivela in qualche modo.

Ma noi siamo anche la fotografia di Dio. Agostino ha scoperto questo documento fotografico nella interiorità dell’uomo. Per Agostino, anche l’uomo è immagine della Trinità. Fondamentale nella dottrina trinitaria in Agostino è l’analogia trinitaria che egli scopre nel creato come “vestigia” e nell’uomo come “imago” della divinità. Tutte le cose create, sia quelle materiali che quelle spirituali, sono, conoscono, amano. Anche l’uomo è uno e trino: “Esistenza, conoscenza, amore sono tre cose, e queste tre cose non sono che una”.

Trinità: Dio è incapace di bastare a se stesso

2) Chi di noi crede che Dio è povero? Eppure è così. Dio è povero perché ha dato tutto al Figlio, e non ha nulla che non desideri comunicare. Il Figlio, poi, non ha nulla di suo, non fa nulla da solo. Lo Spirito infine è totale dare e ricevere dal Padre e dal Figlio. Dio pone tutta la sua gioia in un Altro: è dono totale di sé. Noi che idea abbiamo di Dio? Adamo voleva diventare dio, ma il dio di Adamo era ricco, onnisciente, onnipotente. Era un idolo! Dio invece è povero, vive solo di amore, ed è la vita più bella. Dio ha bisogno di essere in tre Persone, di essere famiglia per essere veramente Dio. Quando eravamo bambini, somigliavamo di più a Dio, avevamo bisogno dei genitori per essere noi stessi. Oggi possiamo comprendere meglio il prefazio della Messa. Ringraziamo Dio che non vive solo, isolato, egoista. Che bello che Dio sia in tre persone e non un egoista solitario: Dio è Padre, Dio è Figlio, Dio è Amore! Tutti siamo chiamati a diventare padri o madri, cioè a generare attorno a noi vita, speranza, gioia. Generare alla vita del corpo è ben piccola cosa: quanti bambini nascono orfani! Noi, cosa generiamo sul nostro cammino? La vita, l’amore, il risentimento, la freddezza, la speranza … o l’invidia? Quando entrate in un convento di suore, voi dite “Madre”; se andate a confessarvi, voi dite “Beneditemi, Padre”. Vogliamo diventare come Dio? Dobbiamo diventare padri, madri. Non abbiamo altra carriera o religione o morale.

Il vero ateo: chi nega la paternità di Dio!

3) Quando Dio ha voluto fare l’uomo a sua immagine, non lo ha creato intellettuale, puro spirito, ricco. Lucifero è intelligente, autosufficiente, splendido. Al diavolo si domandano la ricchezza, il successo, la promozione, un buon matrimonio, un abbondante raccolto… e il diavolo concede tutte queste cose che servono a far dimenticare Dio. A Dio, a un Crocifisso, a un povero Cristo, si chiede solo l’amore. Avete letto il racconto della Genesi? Dio li creò maschio e femmina, cioè, al duale, meglio, al plurale, bisognosi di tanti altri, per diventare persone. Dio ci ha creati capaci di amare, incapaci di bastare a noi stessi. L’uomo, quindi, non si realizza in una splendida e aristocratica solitudine, ma nella comunione e nel dialogo con gli altri. Il filosofo M. Buber osserva che l’uomo è un essere “per” e “con” gli altri, e questo non è un lusso, ma appartiene alla natura ontologica e alla struttura psicologica dell’uomo. Anche E. Lévinas sostiene la stessa verità quando parla di “struttura dialogale” dell’uomo: “sono amato e perciò esisto”; ma anche: “amo e perciò esisto”.

Onnipotenza ma di amore

4) Il vero cristiano non crede in “Dio-onnipotente”, ma crede in “Dio-padre-onnipotente”: non separa mai la paternità dall’onnipotenza. Credere in Dio-padre-onnipotente significa credere che Dio può sempre suscitare o risuscitare in me un figlio che gli somigli. Tutte le Maddalene possono diventare santa Maddalena; tutti i figli prodighi possono servire il Padre abbandonato con maggiore affetto; tutte le nostre colpe possono diventare delle felici colpe. C’è, infatti, una gioia

che è concessa solo a chi ha peccato. Il vero ateo non è colui che dice “Dio non esiste”, ma colui che dice che Dio non lo cambierà più, che ha tentato troppe volte, che è troppo tardi. Costui nega il primo articolo della fede, nega l’onnipotente paternità di Dio. Cristo ha rivelato Dio come impotenza di forza e onnipotenza di amore. Cessiamo di parlare in termini di volontà di potenza, per parlare di volontà di amore. Diventeremo adulti nella fede quando ci convincerà più un gesto di amore, che un segno di forza.

La Trinità: “mistero” e non “problema”

5) L’esistenzialista G. Marcel ci insegna la distinzione tra problema e mistero: il problema è qualcosa che non conosciamo, ma che, con l’affinamento della ragione e lo sviluppo della scienza, potremo conoscere; il mistero è invece qualcosa che mai comprenderemo, perché Lui comprende noi. Ignoramus et ignorabimus! Il rischio è di parlare “della” Trinità come di un oggetto complicato, di un rompicapo mentale, di un crampo metafisico. La Trinità non è quel famoso occhio che ci spia nel triangolo; non significa che 1=3, ma che Dio è uno nella natura (monoteismo) e trino nelle persone (trinità): 1x1x1=1. La Trinità non è un problema ma un mistero, e mistero significa non assurdità ma verità superiore, luce accecante. Cosa c’è di più luminoso del sole, eppure per poterlo guardare con i nostri occhi abbiamo bisogno di uno schermo oscuro!

Credo in Dio…

6) Non basta! Bisogna verificare in quale Dio crediamo. I musulmani credono in Allah, il creatore del cielo e della terra, ma non credono che egli si abbassi al nostro livello (incarnazione). In alcune tribù africane si invoca Dio solo in tempo di siccità perché la pioggia dipende da Lui; per altri bisogni si ricorre agli antenati. E’ questo il nostro Dio? Certamente no ma è molto diffusa un’altra idea, quella del Dio-giudice e taumaturgo. A chi ricorriamo nei momenti difficili? Dobbiamo ammetterlo: adoriamo un Dio che conserva ancora molti tratti delle divinità pagane. La festa di oggi – introdotta solo nel 1350 nel calendario liturgico – ci offre la possibilità di purificare la nostra immagine di Dio, di riscoprire i lineamenti davvero belli del suo volto. Proviamo a riflettere su due grandi rivelazioni:

> In Esodo, Dio si rivela misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco di grazia e di fedeltà (Es 34,6). Nella Bibbia vengono spesso riferite le parole di Dio. Già in Genesi Dio parla con Adamo ma bisogna aspettare la fine del libro di Esodo per trovare il suo biglietto da visita. Un giorno Mosè chiede a Dio di farsi vedere e si sente questa risposta: Tu non puoi, nessuno può vedere il mio volto e restare vivo” (Es 33,18). Il desiderio di Mosè è l’anelito di ogni uomo. Dio conserva il suo favore per migliaia di generazioni (‘migliaia’ dice il testo ebraico, non ‘mille’ come impropriamente viene tradotto).

Notare ancora: Dio castiga fino alla terza e quarta generazione ma la sua bontà la estende per migliaia di generazioni (Es 34,7). I popoli pagani immaginavano un Dio terribile o onnipotente, e invece egli si rivela a Mosè con un volto buono e in Gesù si manifesta debole come un bimbo, indifeso come un crocifisso, buono come il pane. La prima caratteristica la misericordia: il termine ebraico qui indicato significa le viscere, è quello che prova una madre nei confronti del figlio che porta in grembo. Verità che Dio ripete a Gerusalemme, che teme di essere rifiutata a causa dei suoi peccati: “Può una donna dimenticarsi del suo bambino, cessare di avere compassione del figlio delle sue viscere? Anche se esse (le viscere) si dimenticassero, io non ti dimenticherò mai” (Is 49,15). Con un audace antropomorfismo anche Osea pone sulla bocca di Dio questa dichiarazione d’amore per la sposa infedele (Israel): “Il mio cuore si commuove dentro di me, le mie viscere fremono di compassione” (Os 11,8). Conclusione: quando la Bibbia parla di castighi, usa il linguaggio arcaico del tempo. Le punizioni di Dio altro non sono che le conseguenze del peccato dell’uomo. Peccato deriva da ‘peccus’ che indica una persona dal piede difettoso, che cammina male, prende slogature. Dio non punisce chi sbaglia, sarebbe aggiungere altro male; interviene per riparare i guasti prodotti dall’uomo. Anche il nome con cui ha voluto essere chiamato Gesù è salvatore perché “salverà il suo popolo” (Mt 1,21). Abbiamo compreso che Dio è ricco di misericordia?

> “Dio ha tanto amato il mondo da darci il suo Figlio” (Gv 3,16). Questo versetto può essere considerato il vertice della rivelazione. L’idea che Dio ama l’uomo ha faticato a imporsi in Israel. Abbiamo dovuto aspettare il profeta Osea (VIII sec. a.C.). Questa resistenza era dovuta al fatto che, nelle religioni pagane, il rapporto di amore con la divinità aveva della connotazioni equivoche, di carattere sessuale (cfr. la prostituzione sacra). Uno degli articoli fondamentali della fede giudaica era il Dio giudice. Lo stesso troviamo anche in numerosi testi del NT. Il Battista annunciava l’incombente giudizio (Mt 3,7). Paolo predica “il giorno dell’ira” (Rm 2,5) e lo stesso Gesù usa a volte la metafora del tribunale/giudice (Mt 7,23). Sembrano testi opposti, in realtà la verità è sempre una: non è una sentenza pronunciata al termine della vita, ma l’avvertimento a fare scelte giuste e buone. Il giudizio non viene pronunciato da Dio alla fine dei tempi, ma è attuale. Ecco la bella notizia (Vangelo): Dio non giudica ma giustifica!”. Dio non punisce i cattivi ma li trasforma in buoni! Nel Vangelo è scritto: Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo” (Gv 3,17). Dio è Padre. Volete che un Padre giudichi, condanni per l’eternità i suoi figli? Neppure il Figlio giudica: “Io non giudico nessuno. Non sono venuto per giudicare il mondo ma per salvarlo” (Gv 8,8). Ma allora come e da chi saremo giudicati? Lo dice sempre Gesù: La Parola che io ho detto: ecco chi lo condannerà nell’ultimo giorno” (Gv 12,48). Ognuno di noi si giudica da sé, accogliendo o rifiutando la sua parola.

7) L’assurdità di una condanna divina è espressa da Paolo con una serie di domande retoriche:“Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,39). Al termine della vita, Dio accoglierà tutti fra le sue braccia, anche se qualcuno dovrà riconoscere di avere fatto opere sbagliate. Le sue opere – scrive Paolo – finiranno bruciate: anch’egli si salverà, però come uno che passa attraverso il fuoco” (1Cor 3,15). Mi piace concludere con papa Francesco: alla domanda su come immagina il giudizio ultimo, così si esprime: “Non lo so… perché non ho partecipato alla prova del giudizio universale… Se devo pensare a come sarà il giudizio, mi viene in mente… un abbraccio. Il Signore mi stringerà e mi dirà: qui sei stato fedele, qui non molto, ma vieni, facciamo festa perché sei arrivato. Egli perdonerà gli sbagli che ho commesso – ne sono sicuro – perché ha un ‘difetto’; Dio è difettoso, zoppica, non può non perdonare. È la ‘malattia’ della misericordia” (Io credo, noi crediamo, Rizzoli 2020). A tutti con affetto e l’augurio di BUONA VITA!

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