riflessione sul Vangelo di Domenica 9 Agosto 2020 a cura di Don franco Galeone

9 AGOSTO 2020 – XIX DOMENICA T O. (A)

SE AVREMO FEDE, IL VIAGGIO AVRÀ UN APPRODO FELICE!

gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים הקדושים

francescogaleone@libero.it

Prima lettura: Ci fu un vento impetuoso, un terremoto, un fuoco, ma non era il Signore (1Re 19,9). Seconda lettura: Vorrei essere io stesso separato da Cristo per i miei fratelli (Rm 9,1). Terza lettura: Comanda che io venga da te sulle acque (Mt 14,22).

La domenica “del Dio vicino nelle nostre tempeste”

1) Ci troviamo davanti a due scene di teofania: al profeta Elia, Dio si manifesta all’imbocco della caverna, sull’Oreb; agli apostoli, Dio si manifesta in Cristo che domina le tempeste. Dalla prima lettura, impariamo che Dio non è nei fenomeni naturali, uragani, fulmini, terremoti, dove volentieri lo ponevano i pagani; non è neppure nel fuoco, dove lo immaginava la tradizione jahvista. Dio creatore non si lascia imprigionare in nessun elemento creato. Egli è assolutamente il Diverso. La narrazione del Vangelo di Matteo, parallela a quella di Marco (6,45), illustra la condizione difficile del discepolo di Gesù: la vittoria è possibile solo nella fede, fede che è rifiuto di ogni facile entusiasmo e di ogni paura. Se la fede viene meno, siamo sconfitti. Fortunati noi se, come Pietro, grideremo: “Signore, salvaci!”.

Se tu sei… Perché hai dubitato?

2) Immaginiamo un fatto simile narrato da uno scrittore diverso da Matteo. Le parole non sarebbero bastate; invece l’evangelista Matteo racconta solo ciò che si è svolto sotto i suoi occhi. I commenti e gli sviluppi vengano dopo. Lui, Matteo, ci presenta solo il fatto, come un verbale scritto dai carabinieri. Ma va subito aggiunto che è tutto stupendo! Matteo è davvero scrittore mediocre, ma un angelo gli guida la mano. Poche frasi, ma dense di significato! Ci sono nella letteratura pagine più drammatiche di questa, in cui Matteo racconta come Gesù camminò sulle acque? Mari, fiumi, laghi, tempeste, hanno suggerito tanti

racconti, da Omero a Kipling, da Virgilio a Giulio Verne. Personaggi, scenari, gesta … ti fanno fremere o sognare per tutta la vita. Ma sono sempre un po’ prolissi, sensazionali, alla ricerca dell’effetto. Qui, invece, poche righe, che ti trasmettono subito il cortocircuito. Il primo miracolo è proprio questo. Gesù cammina sulle acque verso la barca dei suoi discepoli, che gridano impauriti:

“E’ un fantasma!”. Gesù li rassicura, ma Pietro al solito si entusiasma, e, come un bambino che voglia imitare papà, chiede anche lui di camminare sulle acque.

Gli viene concesso, e ci riesce. Uno storico poco onesto si sarebbe fermato qui; invece Matteo ci persuade con un tocco di assoluta verità. Pietro, un pescatore, comincia ad annegare e grida aiuto. Pietro doveva compiere solo un atto di fede, in coerenza con quanto aveva chiesto a Gesù: “Signore, se tu sei… comanda che io venga da te sulle acque”. Gesù sorvola sul provocatorio “Se tu sei…”, sul sospetto che egli fosse un fantasma, e gli dice: “Vieni”. Vediamo allora Pietro tentare i primi passi tra le onde, come un clown che al circo si improvvisi equilibrista su un filo. Poi, il pescatore nato affonda, non sa neppure nuotare!

Dio viene incontro all’uomo specialmente nei momenti di crisi; ma occorre pregare, gridare aiuto, con fede. La nostra fede, come quella di Pietro, a volte viene messa a dura prova. Gesù a volte ci fa camminare sulla terraferma tranquilla, ma per andare lontano, al largo. Se avremo fede, il viaggio avrà un approdo felice!

Non deve far paura la tempesta ma la mancanza di fede

3) Una premessa utile è ricordare che Pietro aveva già ricevuto l’investitura da Cristo, era già stato nominato capo della Chiesa. Bene, credere in Cristo significa camminare sulle acque, non affidarsi alle astuzie della ragion di stato o di Chiesa. Fede è andare contro le leggi della natura che, in questo caso, sono le leggi del potere, gli accordi con i potenti, la simbiosi con la cultura egemone, la partecipazione al profitto. Questi sono peccati, che provocano l’affondamento della Chiesa, anche sotto l’apparente splendore. Il rifiuto di Dio oggi può

essere anche attribuito a uomini di Chiesa che credono più alle tante forme di “previdenza” che non alla “provvidenza”. È noto l’episodio raccontato dallo stesso papa Giovanni: gli enormi problemi gli stavano togliendo il sonno, e allora si è detto: “Giovanni, chi porta la Chiesa? Sei tu o lo Spirito Santo? È lo Spirito Santo. E allora dormi tranquillo”. Occorre vigilare perché il giuridicismo, il diritto canonico, la burocrazia … non prendano il posto della fede e del Vangelo.

4) Dobbiamo ricordare alcuni principi di ermeneutica per decifrare questo racconto, scritto in codice; eviteremo così di insegnare una religione che seduce a dieci anni, e che rende atei a venti! La “tempesta sedata” non è uno spettacolo di magia sacra, ma una necessità di vita, una esperienza di fede. Solo se riusciamo ad “attualizzare” (Dio parla a me oggi) e a “interiorizzare” (Dio vuole non lo spettacolo ma la conversione), cresceremo nella fede, passeremo dalla “religione” alla “fede”. Il “mare”, le grandi acque abitate da mostri marini, sono simbolo delle difficoltà della vita; l’uomo vive in una valle di lacrime, in un mare di

problemi, la sua esistenza fa acqua da tutte le parti; a volte sembra di non farcela. “Signore, salvami!”: è l’esperienza della fragilità, ma anche l’esperienza di Dio: “Uomo di poca fede!”. Pietro, il primo papa, un uomo di poca fede, un pescatore che non sa nuotare! Si diverte l’evangelista Matteo nel sottolineare le debolezze di Pietro. Non deve preoccupare la tempesta, ma la mancanza di fede!

La tempesta di Pietro e le nostre!

5) Pietro che cammina, meglio, che non cammina sulle acque, ha ispirato molti pittori, da Caravaggio a De Chirico, e molti miniaturisti. Anche queste opere d’arte possono, devono aiutarci a comprendere questo episodio. Parlando di Pietro, parliamo di noi: le sue paure, il suo grido, la sua avventura ci riguardano molto da vicino. Proviamo a fare qualche esempio. Il matrimonio, per esempio: quanti sposi, oggi, dopo pochi anni o mesi cominciano ad affondare in un mutismo che sopprime prima il dialogo della parola e poi quello dei gesti;

incatenati, ringhiosi sotto il “giogo” (che brutta parola!) matrimoniale, per “dovere” (che brutta parola!) gli sposi compiono così quei gesti delicati dell’amore nella violenza o nell’ipocrisia; e se non si ha il coraggio di separarsi, si sopravvive recitando la parte della famiglia per bene.

I sentimenti: ecco un altro mare tempestoso: quante volte abbiamo sentito fiorire dolcemente o esplodere come un temporale estivo l’amore; ma si trattava della persona sbagliata, quindi un amore impossibile, difficile, violento, che ti squassava la vita in una tensione che ti bruciava e ti consumava. La fredda ragione calcolante comprende che tutto è sbagliato, che non è giusto, ma il “cuore” ha delle ragioni che la fredda “ragione” non può comprendere. Sono solo alcune espressioni di fragilità esistenziale, ma la vita nella sua totalità è un cammino, un esodo, un passaggio verso l’altra sponda.

Si misero a gridare dalla paura

6) È nel cuore di tanti un sentimento di paura verso il presente e il futuro. La paura non è un’esperienza nuova per il credente; essa è una realtà ben conosciuta dai credenti lungo tutta la storia. Gli uomini e le donne della Bibbia hanno avuto paura. La Bibbia, in contesti diversi tra loro, è perciò piena di inviti a “non avere paura”. Dio ha parlato lungo i secoli a questa umanità spaventata. Questo episodio del Vangelo di Matteo ne è una forte testimonianza. Gesù afferra la mano di Pietro e lo salva: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Dio non ha paura del peccato dell’uomo, non teme le tempeste della storia umana. Gli uomini e le donne hanno paura, la paura manifesta la debolezza della condizione

umana. Anche Gesù, durante la sua passione, “cominciò a sentire paura e angoscia” (Mc 14,33). Perciò nelle Scritture ricorre l’invito a essere forti. “Comportatevi da uomini, siate forti” (1Cor 16,13). C’è una forza del Vangelo comunicata a uomini che non sono forti; è una forza debole, ma è una forza: “Imparate da me che sono mite. Metti la spada nel fodero!”, dice Gesù nel Vangelo, e Paolo commenta: “Tutto posso in colui che mi incoraggia. Quando sono debole, è allora che mi sento forte!”. I cristiani oggi, malgrado tutta la loro debolezza, sono chiamati a prendere coscienza di questa “forza umile”.

Amare fino a desiderare di essere “anàtema”

7) Il fatto che il profeta Elia scorga la presenza di Dio non nell’uragano o nel terremoto, ma nel vento leggero è denso di significato. Dio viene ricondotto dentro le misure del vivere quotidiano. Non dobbiamo cercare Dio nei segni potenti. Egli viene a noi sotto i segni della ferialità e della quotidianità. A volte, anche noi abbiamo ceduto alla tentazione di visitare santuari e santoni, nella ricerca del miracoloso. È stato un bene se siamo rimasti delusi! Quante semplici creature ci hanno fatto sentire Dio! Quanti momenti di silenzio si sono improvvisamente riempiti della presenza di Dio! Anche il Vangelo presenta Dio nelle nostre esperienze quotidiane; gli incontri di Dio con l’uomo avvengono sempre nel tessuto del quotidiano. Questo comportamento di Dio è un rimprovero alla nostra presunzione intellettuale, alla nostra “vana curiositas”, che cerca Dio sui pinnacoli dei ragionamenti o nell’oscurità delle superstizioni. Il vero modo di incontrare Dio è la passione per l’uomo. Ce lo insegna Paolo nella seconda lettura: egli ama tanto i suoi fratelli ebrei, soffre tanto perché non hanno riconosciuto Gesù, da desiderare egli stesso di essere “anàtema”, cioè un separato e uno scomunicato da Cristo; questo suo amore è tanto profondo da annullare in lui persino il desiderio del paradiso. Davvero l’amore per i fratelli viene prima dell’amore di Dio, e prima della nostra felicità.

8) Un amore di Dio, separato dalla premura per i fratelli, è certamente falso! Anche Simone Weil, ebrea come Paolo: arrivata alle soglie della conversione, non volle alla fine ricevere il battesimo per solidarietà con i suoi fratelli ebrei, allora sterminati nei lager. Per amore dei fratelli non fece un passo che noi, nella nostra ambizione apologetica, avremmo fortemente voluto. Ma Simone Weil

è rimasta sulla soglia, perché non voleva rompere la solidarietà con i fratelli perseguitati da cristiani, che pure in quegli anni di terrore continuavano a parlare di Dio nelle loro liturgie oscene. Anche Charles de Foucauld: convertitosi alla contemplazione come trappista a Nazareth, udì un giorno, vicino alla cella dove egli pregava, un pianto insistente. Si recò nella stanza vicina e trovò un mussulmano in agonia, circondato da una famiglia povera: “Che diritto ho io di starmene separato con Dio, mentre accanto a me la gente disperata piange?”. E subito decise di abbandonare la trappa, e di vivere in una tribù del Sahara, isolato dal mondo cristiano, in mezzo ai Tuareg, per essere totalmente come loro. Anche lui “anàtema”, come l’apostolo Paolo! BUONA VITA!

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