Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi – Bertolt Brecht

di Raffaele Cardillo

Abbiamo estrapolato questa frase molto significativa, dall’opera teatrale “Vita di Galileo“ del grande drammaturgo tedesco Bertolt Brecht.
Facendo riferimento all’abiura di Galileo che rinnegò tutte le sue teorie sull’eliocentrismo, elaborate da Niccolò Copernico, per compiacere la moda dominante, che sposava l’intuizione aristotelica, ossia la teoria geocentrica, che collocava il pianeta Terra al centro dell’universo.
Un oscurantismo culturale che difendeva strenuamente questa concezione astronomica ed etichettava come eretici, chi osava criticarne la validità, mettendo in campo strumenti dissuasivi che scoraggiavano qualsiasi tentativo di delegittimazione dello status quo allora imperante.
La longa manus, il braccio armato era denominato “la Santa Inquisizione”, un organo che disponeva di poteri immensi, la cui deterrenza scompaginava le menti, lo sgomento che suscitava era destabilizzante.
A volte i malcapitati che, incappavano nella tela vischiosa di questi Tribunali Speciali, cause le torture cui erano sottoposti, ritrattavano ogni loro intendimento e, addirittura si autoaccusavano di colpe mai commesse.
Dei novelli Robespierre che instaurarono il “Terrore” macchiandosi dei più orrendi delitti.
Chi aveva l’ardire di mettere in discussione i sacri dogmi, era suscettibile di feroci reprimende, quali tormenti corporali, pene detentive e nei casi più gravi erano messi al rogo, un fuoco purificatore che metteva a tacere voci perturbatrici, portatrici di empietà e blasfemìe.
La Chiesa non poteva permettersi voci fuori dal coro, l’ordine costituito non poteva essere scalfito da stridii che, ne alteravano l’armonia e la sacralità.
Non erano consentite discussioni o avanzare dei dubbi sulle certezze dogmatiche, non vi potevano essere crepe che, alla lunga minavano la struttura di un monolite, ormai consacrato all’eternità, un atteggiamento di rigorosa intransigenza che sfociava in un integralismo retrivo, naturalmente privo di possibili dialoghi e di probabili aperture innovative.
Tutto ciò che è emanato dalla ragione, per i detentori del potere, è considerato sovversivo, poiché non disponibile a compromessi, a patteggiamenti.
La scienza ha dei percorsi che divergono dai principi della Fede, la loro coesistenza talvolta è inconciliabile per la difformità delle idee e per l’approccio al desiderio della conoscenza.
Un connubio difficile, tormentato, tanto da arrivare alla formulazione della dottrina della doppia verità, in altre parole una chiara separazione di ambiti di pertinenza, una piena autonomia dello scienziato rispetto alla fede.
In questo contesto vorticoso s’innestava la figura di Galileo che, sebbene fosse una mente eccelsa, un maestro dell’astronomia, precorritore di teorie innovative, di scoperte rivoluzionarie con invenzioni di strumentazioni che allargavano il campo dello scibile; ebbene a tutto questo non corrispondeva l’avere una schiena dritta, ossia non assumersi le responsabilità di quanto andava sostenendo, una posizione pavida, che lo fa apparire un eroe negativo, uno sconfitto, un opportunista, anche agli occhi dei suoi più stretti collaboratori e, proprio uno di questi, si lasciò andare a un’amara considerazione che così recitava: “Sventurata è la terra che non ha eroi”.
A tale lapidaria e caustica affermazione, il nostro protagonista, replicò con altrettanta incisività con l’affermare: “ Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi”.
D’altronde ribellandosi, correva il rischio di essere bruciato vivo, come già capitato a Giordano Bruno, ciononostante preferisce abiurare e, in via surrettizia, continuare a propagandare le sue intuizioni, i propri scritti.
La chiave di lettura è amara: in una società in cui la scienza ha lo spazio necessario per la diffusione del sapere, delle conoscenze per il bene collettivo, non vi è alcun bisogno di eroi.
Se ciò non avviene, la scienza non è libera, il sapere è soffocato, sottomesso e ne viene fuori “ una progenie di gnomi inventivi, pronti a farsi assoldare per qualsiasi scopo” così scriveva Brecht nel suo Galileo, all’indomani dello sgancio della prima atomica su Hiroshima.
Una dura autocritica del nostro personaggio che mostra il suo disagio nel riconoscere l’atteggiamento di sudditanza nei confronti dell’autorità costituita, un capitolare della scienza che si presta alle manipolazioni di ristretti gruppi dominanti, che la usano per operazioni certamente non nobili, svilendone il suo ruolo primigenio che è quello di essere al servizio dell’Umanità intera.

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