Vangelo di domenica 17 Maggio 2015

Dal Vangelo secondo Marco

Mc 16,15-20

In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

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Ascensione del Signore
Il Cielo è Qualcuno!
“Commento di don Franco Galeone”
(francescogaleone@libero.it)

L’evangelista Luca ci racconta due volte l’Ascensione di Gesù, ma con sfumature diverse: nel vangelo, il racconto descrive il finale glorioso della vita pubblica di Gesù; negli Atti, invece, l’Ascensione è presentata come il punto di partenza dell’espansione missionaria della chiesa. La chiesa è chiamata a continuare la predicazione di Gesù; per questo, gli angeli invitano gli apostoli a non stare a guardare il cielo. Quei due imperativi “Andate… predicate” dicono agli apostoli che devono continuare la missione e la predicazione di Gesù, senza attardarsi a guardare il cielo. Come a loro, anche a noi è chiesto di non restare a guardare il cielo, ma di preparare il ritorno glorioso del Signore risorto. La contemplazione cristiana si immerge nel divenire. Il suo vero luogo non è il cielo immutabile, le stelle fisse, la candida rosa, ma la terra degli uomini in cammino. Occorre andare, camminare, secondo le parole dell’angelo: “Perché state a guardare il cielo?”. Gli eremiti ci sono sempre stati, prima di Cristo e fuori del cristianesimo. Il desiderio della solitudine è un profondo anelito dello spirito umano, ma è un anelito che non può salvare se diventa fine a se stesso, aristocratica solitudine, splendido isolamento; può diventare una forma di autobiografia spirituale, in cui forse si nasconde del narcisismo religioso. “Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra!” è il grido del lucido pazzo di Roecken, e in parte ha ragione. Dobbiamo quindi tenere unite attività e contemplazione, visibile e invisibile, fede e opere. Il cristiano deve essere proprio come un albero alla rovescia: le sue radici in alto e i suoi frutti sulla terra!

L’ascensione è proprio una festa?
Davvero possiamo rallegrarci della scomparsa di Gesù? Dobbiamo sforzarci di capire, perché le verità del cristianesimo non si ingoiano subito e tutte con il sale del battesimo o con le risposte del catechismo: ma, esse si assimilano lentamente con il trascorrere del tempo e soprattutto in compagnia del dolore. Se una madre si ritrova il figlio morto tra le braccia, con maggiore facilità potrà comprendere il dolore di Maria ai piedi della croce; se un amico ha fatto l’esperienza di sentirsi tradito e abbandonato dagli amici, con maggiore facilità potrà comprendere il dolore di Gesù abbandonato e tradito da Giuda. Cerchiamo di capire perché le verità di fede si comprendono lentamente, in compagnia del dolore e della preghiera. In una interpretazione letterale, Gesù parte, scompare nel cielo, i credenti restano orfani; anche il cero pasquale viene spento, come se la luce di Cristo non brillasse più tra noi! Eppure Gesù dice il contrario: “Non vi lascio orfani. Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”. E allora? L’Ascensione non è uno spostamento astrofisico verso l’alto, ma una estensione in potenza, in qualità, in efficacia, di Gesù, “per riempire ogni cosa” (Ef 4,10). Gesù è asceso al cielo, ma non in senso spaziale; il cielo è, in tutte le culture, il segno del divino, ma Dio è in cielo, in terra, in ogni luogo: è onnipresente. Quindi, non si tratta di un moto ascensionale in cielo, ma di una estensione in amore. Proprio perché Gesù è “asceso”, può ora raggiungere tutti e salvare ognuno. Ecco perché l’Ascensione è una festa: mentre prima Gesù-uomo poteva essere presente solo in Israele, parlare a pochi, ora invece Gesù-risorto può raggiungere e salvare tutti, grazie alla sua ubiquitante capacità salvifica.

Quanta “presenza” in questa “assenza” di Cristo!
Dal momento dell’ascensione, gli apostoli scoprivano che la terra mai era stata così piena di divino, da quando Gesù l’aveva abbandonata; non lo avevano mai sentito così presente, così potente, così amico, nonostante il dolore del distacco; ovunque andassero, Gesù era con loro, confermava le loro parole con i miracoli. Comprendevano insomma che Gesù, come non aveva cessato di essere Dio facendosi uomo, così non si era allontanato dagli uomini, anche ritornando al Padre. Quando credevano di averlo perduto, lo ricevevano veramente e, per la prima volta, lo riconoscevano. Ecco l’esperienza che dobbiamo fare lentamente; il pericolo maggiore è la fretta; i nostri dogmi, le nostre liturgie ci fanno godere il frutto della ricerca di 20 secoli! Dobbiamo anche noi rifare il percorso, dire a Gesù la nostra tristezza nel vederlo partire, la nostra nostalgia in un regno dove poter vivere insieme a Lui; quando avremo partecipato alla debolezza degli apostoli, potremo partecipare anche alla loro esperienza beatificante. In questa novena dello Spirito Santo, sforziamoci di abbandonare l’idea che il tempo prima dell’ascensione era l’età dell’oro del cristianesimo, tempo felice in cui Dio abitava tra gli uomini, che gli angeli andavano e venivano, che lo Spirito era una ingenua colomba, che il Padre era una voce di tuono tra nubi luminose, che il Figlio era un taumaturgo da cui uscivano virtù e miracoli. Diventiamo credenti adulti! Gesù è molto più presente in questa sua “assenza”, e ci minaccia per il bene, molto più del diavolo per il male!

Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo
Notate che Gesù non dice: “Chi sarà battezzato sarà salvo”. La salvezza non è automatica: i sacramenti sono riti magici; non è il battesimo che salva, ma la fede che il battesimo esprime e vivifica. Noi abbiamo creduto troppo all’azione automatica dei sacramenti (ex opere operato), senza preoccuparci abbastanza delle disposizioni interiori (ex opere operantis) di chi li amministra e di chi li riceve. Il sacramento è certo sorgente di grazia, ma a condizione che sia anche un atto umano di fede, di amore, di conversione. Cosa è meglio: la fede senza il battesimo o il battesimo senza la fede? L’amore senza il matrimonio o il matrimonio senza l’amore? La comunità senza la messa o la messa senza la comunità? Tutto lo sforzo della pastorale moderna è quello di unire realmente le due realtà: la fede e la vita.

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