LETTERATITUDINI ED IGNAZIO SILONE – Biografia • Il coraggio della solitudine

ecco il link del video su FBhttps://www.facebook.com/matilde.maisto

Ignazio Silone, pseudonimo di Secondo Tranquilli, nacque il giorno 1 maggio 1900 a Pescina dei Marsi, comune in provincia dell’Aquila, figlio di una tessitrice e di un piccolo proprietario terriero (i quali ebbero altri cinque figli). Una tragedia segna già la vita del piccolo Ignazio, la perdita del padre e di cinque fratelli durante il terribile terremoto che scosse la Marsica nel 1915.

Rimasto dunque orfano all’età di quattordici anni, interrompe gli studi liceali e si dedica all’attività politica, che lo porterà a prendere parte attiva alle lotte contro la guerra e al movimento operaio rivoluzionario. Solo e senza famiglia, il giovane scrittore si riduce a vivere nel quartiere più povero del comune dove, fra le varie attività che conduce, bisogna annoverare anche la frequentazione del gruppo rivoluzionario “Lega dei contadini”. Silone è sempre stato un idealista e in quella congregazione di rivoluzionari trovava pane per i suoi denti assetati di giustizia e uguaglianza.

In quegli anni, intanto, l’Italia partecipa alla Prima guerra mondiale. Prende parte alle proteste contro l’entrata in guerra dell’Italia ma viene processato per aver capeggiato una violenta manifestazione. Finita la guerra, si trasferisce a Roma, dove entra a far parte della Gioventù socialista, opponendosi al fascismo.

Come rappresentante del Partito Socialista, prende parte, nel 1921, al Congresso di Lione e alla fondazione del Partito Comunista Italiano. L’anno dopo, i fascisti effettuano la marcia su Roma, mentre Silone diventa direttore del giornale romano “L’avanguardia” e redattore del giornale triestino “Il Lavoratore”. Compie varie missioni all’estero, ma a motivo delle persecuzioni fasciste, è costretto a vivere nella clandestinità, collaborando con Gramsci.

Nel 1926, dopo l’approvazione da parte del Parlamento delle leggi di difesa del regime, vengono sciolti tutti i partiti politici.

In questi anni, comincia già a profilarsi la sua personale crisi d’identità, legata alla revisione delle sue idee comuniste. Di lì a poco, il disagio interiore esplode e nel 1930 esce dal Partito Comunista. La causa scatenante è l’insopprimibile ripulsa che Silone, unico o quasi fra i comunisti dell’epoca, provava per la politica di Stalin, percepito dai più solo come padre della rivoluzione e illuminato condottiero delle avanguardie socialiste.

Invece Stalin era ben altro, in primo luogo un sanguinario dittatore, capace di rimanere indifferente di fronte ai milioni di morti causati dalle sue purghe e Silone, lucido intellettualmente come una lama affilata, lo aveva capito. Silone, per la sua abiura dell’ideologia comunista pagò un prezzo altissimo, derivato in primo luogo dalla cessazione di quasi tutte le sue amicizie (molti amici di fede comunista, non capendo e non approvando le sue scelte, rinnegarono i rapporti con lui), e dall’esclusione da tutta l’usuale rete di contatti.

Oltre alle amarezze derivate dalla politica, in questo periodo della vita dello scrittore (al momento rifugiato in Svizzera) si aggiunse un altro dramma, quello del fratello più giovane, ultimo superstite della sua già sfortunata famiglia, arrestato nel 1928 con l’accusa di appartenere al Partito Comunista illegale.

Se l’uomo Silone era deluso e amareggiato, lo scrittore Silone produsse invece numeroso materiale. Dal suo esilio svizzero pubblicò infatti scritti di emigrati, articoli e saggi di interesse sul fascismo italiano e soprattutto il suo romanzo più famoso “Fontamara“, seguito dopo pochi anni da “Vino e pane”. La lotta contro il fascismo e lo stalinismo lo portarono a una politica attiva e a dirigere il Centro estero socialista di Zurigo. La diffusione dei documenti elaborati da questo Centro socialista provocarono la reazione dei fascisti, che chiesero l’estradizione di Silone, fortunatamente non concessa dalle autorità svizzere.

Nel 1941 lo scrittore pubblica “Il seme sotto la neve” e pochi anni dopo, terminata la seconda guerra mondiale rientra in Italia, dove aderisce al Partito Socialista.

Dirige poi, “l’Avanti!”, fonda “Europa Socialista” e tenta la fusione delle forze socialiste con l’istituzione di un nuovo partito, ma ottiene solo delusioni, che lo convincono al ritiro della politica. L’anno successivo dirige la sezione italiana del Movimento internazionale per la libertà della cultura e assume la direzione della rivista “Tempo Presente”. In questi anni per Silone vi è un’intensa attività narrativa. Escono: “Una manciata di more”, “Il Segreto di Luca” e “La volpe e le camelie”.

Il 22 agosto 1978, dopo una lunga malattia, Silone muore in una clinica di Ginevra, fulminato da un attacco celebrale. Viene sepolto a Pescina dei Marsi, ai piedi del vecchio campanile di San Bernardo.

Fontamara è il primo romanzo di Ignazio Silone, pubblicato dapprima nel 1933 in lingua tedesca in Svizzera – dopo esser stato scritto nella Confederazione elvetica tra il 1929 e il 1931 – al tempo in cui l’autore era riparato all’estero per sfuggire alle persecuzioni del Regime fascista. Nel novembre 1933 egli pubblica un’edizione in lingua italiana a proprie spese, e nel 1934 l’opera fu tradotta in inglese. Il successo del romanzo, che denunciava l’immoralità e gli inganni del partito fascista di Mussolini e dei suoi seguaci, fu straordinario, galvanizzando una parte dell’opinione pubblica internazionale dell’epoca, che fece di Fontamara un documento della propaganda antifascista fuori dall’Italia e un simbolo della resistenza al totalitarismo (Hitler era appena arrivato al potere in Germania).

Fontamara è un immaginario villaggio di montagna, nell’Abruzzo marsicano, la cui comunità soffre sotto il peso del fascismo e di sventure ataviche. Spaccato sociale di un proletariato oppresso e sfruttato sono i “cafoni“, realisticamente descritti nella loro ingenuità, e tenuti in ignoranza secolare da una classe dominante sempre più rapace e parassitaria.

Trama

Dal 1º giugno 1929 nel paese di Fontamara (nella Marsica, vicino ad Avezzano) non arriva più l’elettricità, la cui fornitura è stata interrotta perché gli abitanti del paese non pagavano le bollette. Sperando di rimediare a questa “fatalità”, ogni contadino analfabeta firma una misteriosa “carta bianca”, portata da un graduca della milizia (il cav. Pelino), la quale si scoprirà essere in realtà l’autorizzazione a togliere l’acqua per l’irrigazione per indirizzarla verso i possedimenti dell’Impresario, un imprenditore legato al regime che ha ottenuto la carica di podestà.

Scoperto l’imbroglio, le donne fontamaresi si recano a casa dell’Impresario per tentare di convincerlo a ridar loro l’acqua indispensabile per i loro campi. L’avvocato Don Circostanza si offre come mediatore di un accordo che stabilisce che «tre quarti scorrano nel nuovo letto del fiume, mentre i tre quarti del rimanente nel vecchio, cosicché ognuno abbia tre quarti»; più avanti, di fronte alla pretesa dell’Impresario di aver in usufrutto l’acqua per 50 anni, l’avvocato suggerisce di «ridurre il termine a soli 10 lustri».

Il paese è oggetto di una violenta incursione delle squadracce fasciste, inviate a Fontamara per segnalazione del cavalier Pelino, che violenta le donne e scheda ogni singolo abitante, chiedendogli brutalmente “chi evviva?” (ma nessuno tra i fontamaresi, praticamente all’oscuro dell’avvento del fascismo, “azzecca” la risposta giusta). Berardo Viola, l’uomo più forte e robusto del paese, tenta di trovare maggior fortuna fuori dal paese.

Il lavoro gli viene negato perché, in quanto fontamarese, è considerato un rivoluzionario. Muore intanto Elvira, la sua amata. Di ritorno a Fontamara, alla stazione di Roma, incontra un partigiano (l’Avezzanese), già conosciuto in Abruzzo. I due vengono arrestati per un equivoco e, nel periodo in cui sono costretti alla convivenza in cella, Berardo sviluppa una notevole maturazione politica.

Questo suo nuovo impegno morale lo porta ad autoaccusarsi di essere il “Solito Sconosciuto”, ossia un sostenitore attivo della resistenza. Torturato, Berardo subisce un’atroce morte, che sarà fatta passare per suicidio. I fontamaresi fondano il “Che fare?”, un giornale in cui denunciano i soprusi subiti e l’ingiusta morte del loro compaesano. Il regime però reprime tutto mandando una squadraccia della Milizia a Fontamara, che fa strage di abitanti.

Alcuni fontamaresi si salvano e tra loro i tre narratori della storia.

Il narratore è interno, rappresentato da una famiglia di “cafoni” i cui membri (gli zii di Elvira) sono Matalè, il marito Giuvà e il loro figlio che hanno ormai raggiunto in esilio l’autore e si alternano a raccontare, in un lungo flashback, ciascuno le proprie esperienze.

I personaggi

I “cafoni” sono i miseri poverelli contadini meridionali proprietari al massimo di un asino o di un mulo, non hanno mezzi per difendersi e vivono in una perpetua ignoranza di cui approfitta persino colui che è considerato “l’amico del popolo”, Don Circostanza, che rappresenta insieme la difesa e la rovina dei fontamaresi; la loro vita si ripete uguale di generazione in generazione segnata dal lavoro e dalla fatica. Essi sono consapevoli della disperata condizione in cui vivono, come spiegano ad un forestiero… nel brano ci sono dei personaggi insoliti.

«In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo.
Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch’è finito.»
(da “Fontamara”)

Il nome Fontamara racchiude in sé già un destino di sventure e sofferenze, inventato appunto dall’autore per rispecchiare meglio la realtà del paese. Quasi tutti i nomi dei personaggi del romanzo non sono casuali: Don Circostanza, infatti si adegua alle diverse situazioni tenendo prima la parte dei contadini, quindi quella degli agiati cittadini, cercando sempre un tornaconto personale; Don Abbacchio il prete, richiama il verbo “abbacchiare” infatti egli non farà altro che deprimere i poveri abitanti della Marsica, ignorando persino il suicidio di Teofilo, sacrestano della chiesa di Fontamara; Don Carlo Magna è il ricco proprietario terriero; l’Impresario, il podestà abile a speculare su alcuni terreni acquistati da don Carlo Magna a poco prezzo e sui quali farà deviare l’acqua del ruscello di Fontamara riducendo alla miseria i cafoni; Innocenzo La Legge, il messo incaricato di portare i nuovi ordinamenti dalla città.

Berardo Viola, protagonista maschile del romanzo, è l’eroe del paese, violento ma altruista è il primo a sacrificarsi tra i cafoni per il bene della collettività: i cafoni infatti erano stati raggirati di continuo ed ogni appello ai notabili del paese risultava inutile poiché questi difendevano sempre gli interessi del ricco podestà, si ritrovavano così sempre più poveri ma ognuno non aveva pensato che al proprio appezzamento di terra, a sé stesso. Attraverso il suo personaggio Silone sembra sottolineare il bisogno che qualcuno muova all’azione, ponga fine alla totale indifferenza dei “cafoni”, sempre più sfruttati e tenuti nell’ignoranza dal nuovo regime che li induce lavorare in modo duro ed estenuante.

I cafoni non avevano mai rappresentato una vera minaccia per i gerarchi della potente città, da cui erano sempre stati osteggiati grazie alla cultura ed all’ingegno ma, nel momento in cui provano anche questi ad avvicinarsi al mondo scritto, sentiti come una forte minaccia vengono rapidamente fatti scomparire.

Lo stile

Si noti che Silone scrive in maniera molto leggibile, narrando l’azione in maniera umile, questo perché, come teorizza Dante Alighieri, lo stile deve adattarsi all’argomento, e se si parla del mondo agricolo, allora anche la forma sarà umile.

Sul piano linguistico prevale una costruzione paratattica del periodo con un linguaggio piuttosto semplice e colloquiale che rispecchia l’ignoranza in cui vivono i contadini, mentre i cittadini più istruiti ed importanti si esprimono in una forma più ricercata e arricchita anche da citazioni e vocaboli latini.

Una sottile ironia diffusa attenua, talvolta, la tragicità di alcuni momenti. Ciò avviene ad esempio quando si riportano le riflessioni dei Fontamaresi, gli scherzi, gli abusi, che evidenziano l’ingenuità dei protagonisti.

Rispetto a Il segreto di Luca la denuncia nei confronti dell’ingiustizia diventa più ampia, da un singolo individuo ad un intero paese, alle ingiustizie che i suoi abitanti sono costretti a subire.

Vicende editoriali

A causa del contenuto sgradito al regime fascista, Fontamara non fu pubblicato in Italia fino al 1945. La prima pubblicazione avvenne in Svizzera in lingua tedesca, tradotto da Nettie Sutro, nel 1933.  La prima edizione in italiano apparve nel 1934, pubblicata a spese dell’autore a Parigi, sotto la sigla fittizia di N.E.I. (Nuove edizioni italiane, Zurigo-Parigi). Sempre nel 1934 venne pubblicata la prima versione in inglese. Nel 1935 Fontamara fu pubblicato in Unione Sovietica nella traduzione in russo di E. A. Chanevskoj per la casa editrice statale Chudožestvennaja Literatura (Letteratura d’Arte).  Nel 1945 il romanzo fu pubblicato dapprima a puntate, con parecchi errori e refusi, su una rivista italiana, dove Silone operò ingenti modifiche e correzioni. Nel 1947 uscì, con altre importanti modifiche, la prima edizione in volume, dall’Editore Faro di Roma. Ancora una volta insoddisfatto del testo, Silone si rivolse a Mondadori, che stampò il libro con ulteriori modifiche, e che da allora divenne il suo editore storico. Avvenne quindi che il testo di Fontamara approntato per i lettori italiani fu sensibilmente differente rispetto al testo diffuso negli anni Trenta. L’edizione in esperanto venne pubblicata nel 1939 nei Paesi Bassi.

0 Comments

No comments!

There are no comments yet, but you can be first to comment this article.

Leave reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *