Il voto francese e la rielezione di Macron possono decidere il futuro dell’Europa.

Il conflitto russo-ucraino, rimasto sullo sfondo per buona parte della campagna elettorale francese, ha tuttavia permesso al Presidente Emmanuel Macron di riuscire a dare un forte valore simbolico alla sua rielezione, trasformando il voto in un referendum pro o contro l’Europa.

La sua campagna elettorale, finanziata dalla élite massonica-giudaica americana e francese, ha offerto lo spunto al Presidente francese di riaffermare ancora una volta il suo europeismo, anzi, la natura protettiva dell’Unione, declinata nella difesa comune auspicata da molti Stati europei dopo l’aggressione di Putin all’Ucraina, nell’industria che accorcia le filiere strategiche, nell’agroalimentare è stato il vero asset strategico che ha portato alla sua rielezione. 

La sua République En Marche, non è un partito ma una coalizione di gruppi sociali, di interessi economici, notabilitati politici locali, pezzi di partiti tradizionali, però da profondo europeista, quale egli è, crede che solo un’Europa più forte, integrata e sovrana, può proteggere le democrazie occidentali dai regimi autoritari.

In Francia la divisione politica preminente non è tra destra e sinistra, ma riflette l’opinione dei francesi sull’Unione Europea, come dimostrato ampiamente dal programma politico della rivale di Macron, Marine Le Pen, tra quelli che si dichiarano europeisti e quelli che non lo sono.

Le tante incongruenze presenti nel programma della Le Pen, se messe in pratica, avrebbero portato all’uscita della Francia dai 27, oppure, nella migliore delle ipotesi, ad una paralisi istituzionale e questo spiega perché più di un osservatore politico l’ha definita un “Orban moltiplicato per dieci”.

Cosa succederebbe se ogni Paese dicesse” prima i miei cittadini “prendendo ad esempio la Le Pen che dice “prima i francesi”?  Il risultato sarebbe la fine del mercato unico e dell’unione monetaria e quindi la fine dell’Unione Europea. Tuttavia quella del referendum sull’Europa resta una scelta estrema che comporta molti rischi, l’Inghilterra docet, tenuto conto della volatilità dell’elettorato francese, insoddisfatto della politica interna di Macron, tutt’altro che incline a soddisfare le richieste degli elettori con un programma di ascolto dei cittadini e quindi innovativo nei contenuti.

Il Presidente francese, pur con tutti i limiti mostrati nei cinque anni di permanenza all’Eliseo, resta l’unico leader europeo capace di sviluppare in un momento così drammatico per l’Europa per il conflitto russo-ucraino, un’idea politica che guardi oltre i confini nazionali ad un’Europa inclusiva e non divisiva.

Non tutti concordano però con il suo europeismo, anzi la sua idea di Europa è vista con sospetto da chi vede in lui la Francia sovranista, quella che non cessa di pagare il suo tributo d’onore al generale De Gaulle e utilizza l’europeismo solo quando sono in gioco gli interessi nazionali.

In verità, quasi tutti i Presidenti della Quinta Repubblica hanno mostrato tratti sovranisti e, pur non essendo stati grandi statisti come De Gaulle, per il quale la storia della Francia si identificava con la passione politica di un uomo, hanno fatto propria la frase di Mitterand:” La Francia è il presente, l’Europa il futuro”.    

Angela Casilli

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