155 anni fa la morte di Lincoln (Frammenti di Storia)

La storia della sera in cui un giovane attore a teatro sparò a uno dei più grandi presidenti della storia americana, che morì il giorno dopo

Il 14 aprile di 155 anni fa, nel 1865, un attore americano sparò al presidente degli Stati Uniti – Abraham Lincoln – al Teatro Ford di Washington. Lincoln, che era diventato presidente il 4 marzo 1861 e che sarebbe diventato poi uno dei personaggi più importanti e famosi della storia americana, morì il giorno dopo.

Lincoln, che era Repubblicano, oggi è famoso soprattutto per aver messo fine alla schiavitù e aver vinto la Guerra di secessione, combattuta proprio durante gli anni della sua presidenza tra gli Stati dell’Unione (alcuni stati del nord) e gli Stati Confederati d’America, gli stati secessionisti del sud che soprattutto si opponevano all’abolizione della schiavitù. Durante quella guerra fu particolarmente importante la battaglia di Gettysburg, in Pennsylvania, vinta dagli stati dell’Unione. Alcuni mesi dopo quella battaglia, il 19 novembre 1863, Lincoln tenne un importante discorso – uno tra i più citati e ricordati nella storia degli Stati Uniti – sull’importanza della democrazia; un discorso in cui furono pronunciate le famose parole che facevano riferimento a un «governo del popolo, dal popolo, per il popolo».

La guerra di secessione americana si concluse ufficialmente il 9 aprile 1865 con la vittoria degli unionisti, cioè dell’esercito e degli stati fedeli a Lincoln. Cinque giorni dopo, il 14 aprile del 1865, Lincoln si trovava a Washington e decise di assistere al Teatro Ford alla rappresentazione di Our American Cousin, una commedia musicale in tre atti scritta da Tom Taylor.

Il Teatro Ford, in una fotografia del 1865

La notizia che Lincoln sarebbe andato al Teatro Ford con sua moglie si diffuse e arrivò anche a John Wilkes Booth, un attore stimato e conosciuto che apprese la notizia proprio dal fratello di John Ford, il proprietario del teatro. Booth era notoriamente un sostenitore degli Stati Confederati, quelli secessionisti e schiavisti del sud, e secondo varie fonti aveva espresso più volte in pubblico la sua disapprovazione nei confronti di Abraham Lincoln e delle sue scelte. Già nel 1864 – anno della rielezione di Lincoln – Booth aveva tentato insieme ad altri sudisti di rapire il presidente, ma non ci riuscì; e altre volte era stato vicino all’idea di rapire o assassinare Lincoln (già in un’occasione aveva recitato davanti a lui, proprio nel Teatro Ford). Saputo che il presidente si sarebbe recato al teatro, Booth decise di preparare un attentato nonostante avesse poche ore a disposizione.

John Wilkes Booth

Booth comunicò le sue intenzioni ad altri sudisti suoi amici: Lewis Powell, David Herold e Geroge Atzerodt, gli ultimi due già complici del tentato rapimento. Grazie alla sua fama di attore e alle sue precedenti esperienze al Teatro Ford, Booth riuscì a entrare nel teatro (che comunque già conosceva molto bene), fare un foro in una parete per poter spiare Lincoln e studiare un piano d’azione e una via di fuga.

Uscito dal teatro e dopo aver provveduto a posizionare un cavallo da usare per scappare, Booth recuperò le munizioni e la pistola – una Philadelphia Deringer calibro 44 – con cui poi avrebbe sparato a Lincoln. Alle 19 del 14 aprile 1865 Booth si incontrò con i suoi compagni, che quella stessa sera avrebbero dovuto uccidere anche le altre due più importanti cariche del governo degli Stati Uniti: il segretario di Stato William H. Seward e il vicepresidente Andrew Johnson (entrambi presenti a Washington, ma non al teatro). Booth aveva intenzione di uccidere anche Ulysses S. Grant, il più famoso generale dell’esercito unionista, che però declinò l’invito di Lincoln e non andò a teatro quella sera.

La sera del 14 aprile Abraham Lincoln e sua moglie Mary Todd Lincoln arrivarono al Teatro Ford con alcuni minuti di ritardo. La rappresentazione fu interrotta, l’orchestra suonò – come di consuetudine davanti a un presidente – Hail to the Chief e dopo una standing ovation del pubblico i Lincoln si sedettero e la rappresentazione di Our American Cousin riprese. A presidiare il palco presidenziale ci sarebbe dovuto essere John Frederick Parker, guardia del corpo di Lincoln che però non era sul posto quando Booth sparò a Lincoln: probabilmente era uscito per andare in una vicina taverna. Booth era però un attore conosciuto ed è plausibile che anche in presenza di Parker avrebbe potuto facilmente ottenere l’accesso al palco presidenziale.

L’attentato a Abraham Lincoln, 150 anni fa

Booth non insospettì nessuno dirigendosi verso il palco occupato da Lincoln e una volta avvicinatosi – e dopo aver controllato dallo spioncino preparato in giornata la posizione del presidente – aprì l’ultima porta che lo separava da lui: lo fece in un momento in cui sapeva che la rappresentazione – che lui conosceva molto bene – avrebbe scatenato le risate del pubblico. Risate che credeva e sperava avrebbero coperto il colpo di pistola con cui intendeva uccidere Lincoln.

Booth sparò a Lincoln alla testa, da breve distanza, mentre lui – come previsto – rideva per una battuta della commedia. Henry Reed Rathbone, allora sindaco di Washington, si trovava vicino a Lincoln e cercò di fermare Booth, che riuscì a ferirlo e fuggire. Si dice che dopo aver sparato a Lincoln e prima di fuggire Booth urlò la frase latina “Sic semper tyrannis”: la frase – che significa “così sempre ai tiranni” – secondo la tradizione fu detta da Bruto uccidendo Giulio Cesare ed è il motto dello stato della Virginia. Non esistono prove certe sul fatto che Booth pronunciò davvero questa frase. Secondo alcune ricostruzioni, anche qui è però impossibile averne la certezza, Booth urlò anche “libertà” e aggiunse “il sud è vendicato”.

Booth riuscì a uscire dal teatro e fuggire sul cavallo che aveva lasciato lì fuori alcune ore prima. Nel frattempo i suoi complici fallirono i rispettivi attentati al vicepresidente e al segretario di stato. Powell e Atzerodt furono arrestati e in seguito condannati a morte. Un quarto congiurato – David Herold, che la sera del 14 aprile accompagnò Lewis presso la casa del segretario di Stato – riuscì a unirsi a Booth e insieme fuggirono arrivando fino in Virginia, dove si nascosero in un granaio. Lì vennero scoperti il 26 aprile, undici giorni dopo l’attentato: Herold si arrese, fu arrestato e poi condannato a morte. Booth scelse di non arrendersi e venne ucciso. Aveva 26 anni. Insieme a Powell, Herold e Atzerodt, fu condannata a morte e uccisa il 7 luglio 1865 anche Mary Surrat, accusata di essere stata complice di Booth.

Subito dopo l’attentato – Associated Press ha pubblicato le parole con cui raccontò l’evento 155 anni fa – Lincoln fu invece portato in una casa dall’altra parte della strada, la Petersen House, e li morì la mattina del 15 aprile dopo alcune ore di coma. Aveva 56 anni. Lincoln fu il primo presidente degli Stati Uniti a essere ucciso (dopo di lui furono uccisi James Garfield, William McKinley e John F. Kennedy). Il corpo di Lincoln fu portato alla Casa Bianca e il 21 aprile partì da Washington un treno funebre che dopo aver attraversato sette stati degli Stati Uniti arrivò a Springfield, Illinois, la città natale di Lincoln (e quella in cui nel 2007 Barack Obama annunciò la sua candidatura agli Stati Uniti). E lì Lincoln fu sepolto, nel cimitero di Oak Ridge.

L’attentato a Abraham Lincoln, 150 anni fa

Alla morte di Lincoln divenne presidente il suo vice, Andrew Johnson, che restò in carica fino al 1869 cercando – senza però averne il carisma – di proseguire il piano di pacificazione di Lincoln. A Johnson succedette Ulysses Simpson Grant, il generale unionista che sarebbe dovuto andare al Teatro Ford con Lincoln e che restò al potere per due mandati.

Nel 1867 il Congresso degli Stati Uniti creò la Lincoln Monument Association, un ente il cui ruolo sarebbe stato decidere e supervisionare la costruzione di un monumento commemorativo di Lincoln. Il Lincoln Memorial di Washington D.C. fu costruito tra il 1914 e il 1922 ed è tutt’ora uno dei luoghi più visitati degli Stati Uniti.

L’attentato a Abraham Lincoln, 150 anni fa

 

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