31 luglio 2022 – XVIII Domenica TO (C) Il denaro: la povertà dei ricchi! (A cura di Don Franco Galeone)

Prima lettura: Che profitto c’è per l’uomo in tutta la sua fatica? (Qo 1, 2). Seconda lettura: Cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo! (Col 3, 1). Terza lettura: Quello che hai preparato, di chi sarà? (Lc 12, 13).

1. La domenica “dell’uomo ricco ma stolto”. Si tratta di una pagina inquietante, come tante altre. Una pagina non facile, ma che può rendere felici; ci può togliere il sonno, ma ci farà vivere meglio. Siamo davanti a una lezione di morale, di buon senso, che in tutte le culture e religioni ha trovato molti commentatori. Ne ricordo una sola, quella di Virgilio, contenuta nell’Eneide: “Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames” (III,57).

Dalla Bibbia

2. Attorno al 220 a.C. vive a Gerusalemme un uomo saggio. Viene chiamato Qoèlet, cioè colui che riunisce l’assemblea. Vive in un tempo caratterizzato dal benessere economico. Ovunque si incontrano commercianti stranieri, che trafficano di tutto; molti ebrei si lasciano affascinare dalla possibilità di arricchire, si appassionano alle nuove mode, non pensano che al denaro e arrivano persino a rinnegare la propria fede. È un delirio collettivo, una corsa sfrenata all’accumulo dei beni. Qoèlet – saggio qual è – riflette e si chiede: ne vale la pena o è tutto un «rincorrere il vento» (Qo 2,11)? Fin dall’inizio del suo libro enuncia la risposta a questo interrogativo: «Tutto è vanità!» (v.2). E ripete questa triste e amara conclusione come un ritornello per venticinque volte. Qoèlet conosce gli avvenimenti storici accaduti un centinaio di anni prima, che hanno sconvolto il mondo. Dario, l’onnipotente re di Persia, è stato umiliato da Alessandro. Costui a sua volta, a soli 33 anni, è morto a Babilonia e il corteo funebre, che lo ha accompagnato in Occidente, ha rifatto in senso inverso la strada che l’invincibile conquistatore aveva percorso trionfalmente solo pochi anni prima. Cosa è rimasto di Alessandro e del suo regno? Che fare allora? Il Qoèlet consiglia ai suoi discepoli un sano godimento di quanto la vita offre. Lascia però sospesi gli interrogativi fondamentali sul senso della vita. La risposta non si trova nel suo libro, ma nel Vangelo.

Dal Vangelo

3. Solo con uomini liberi dalla seduzione delle ricchezze è possibile risolvere il problema della giustizia nel mondo. Oggi muoiono ogni minuto 35 bambini per fame, mentre ogni minuto si spende un miliardo per gli armamenti. Oggi la cartina del mondo si divide in due grandi aree: opulenza e fame, persone che hanno problemi di linea e persone che hanno problemi di sopravvivenza! È giusto tutto questo? La risposta che verrà data a quest’immenso problema potrebbe determinare l’avvenire del cristianesimo. L’ateismo, con il suo odio contro Dio, può essere più vicino alla fede che non l’indifferenza dell’Occidente, che non è né caldo né freddo, e che quindi verrà vomitato dalla bocca di Dio (Ap 3,15).

4. Uno dei bisogni fondamentali dell’uomo è la sicurezza; l’uomo cerca appassionatamente un fondamento su cui poggiare la vita, un punto di Archimede al quale appendere tutto e dal quale far dipendere tutto. Personalmente ho maturato la convinzione che l’uomo cerca non tanto la ‘verità’, quanto la ‘sicurezza’, la garanzia, la protezione. Ora molti scelgono, come pietra angolare, il denaro. Il denaro è tutto, si dice; il denaro è potere, anzi è il potere; senza denaro non sei nulla. Per avere denaro non c’è parentela che tenga: la divisione dell’eredità segna anche la divisione delle famiglie! Malgrado qualche bisticcio, tra fratelli, in genere, ci si vuole bene. Fino a quando? Fino al giorno in cui non si è chiamati a dividere l’eredità. Di fronte al denaro e ai beni, anche gli uomini migliori, anche i cristiani, finiscono per divenire ciechi e sordi: non vedono che il proprio ‘particulare’ e sono disposti a passare perfino sopra ai sentimenti più sacri. A volte, le parti riescono a mettersi d’accordo, altre volte, invece, l’odio si protrae per anni e i fratelli arrivano a non parlare più tra loro.

5. Ciò che più colpisce di questo ricco stolto è la sua solitudine; più che contare, lui parla con le ricchezze. Un uomo senza nome, senza volto, senza moglie, senza figli, senza amici. Solo tanta ricchezza, che invece di restare ‘un mezzo’, diventa ‘il fine’ di tutto, ma che diventa anche ‘la sua fine’, perché la ricchezza lo ha ingabbiato e intrappolato come nel celebre racconto La giara di Pirandello. È diventato un gigante cieco, come Polifemo, capace di una forza immensa ma incapace di orientarsi; come il mitico Ulisse, incatenato all’albero della sua stessa nave e impossibilitato a liberarsi. Viene definito “stolto” (φρων/Àphron) questo ricco, perché fonda la sua sicurezza sull’avere e non sull’essere, sulla quantità e non sulla qualità, sull’idolo vuoto e impotente e non su Dio salvatore e onnipotente.

6. I personaggi della parabola sono solo tre: Dio, l’uomo ricco e i beni. Quest’uomo – ci chiediamo – non ha famiglia, moglie, figli? Non ha vicini di casa? Non ha operai? Certo che li ha, ma non li vede. I beni sono l’idolo che gli ha creato il vuoto attorno, che ha disumanizzato tutto. Consideriamo il suo monologo: usa 59 parole, di esse ben 14 sono riferite a «io» e «mio» … Tutto è suo; esistono solo lui e i suoi beni. È stolto!

7. Ma ecco comparire improvvisamente il terzo personaggio: Dio che, in quella stessa notte, gli chiede conto della vita. Gesù lo introduce nella parabola per mostrare ai suoi ascoltatori quali sono i valori autentici su cui vale la pena puntare nella vita e quali sono invece quelli effimeri e ingannevoli. Il giudizio di Dio è pesante: chi vive per accumulare beni è un folle! Gesù non mette in guardia solo chi ha molti beni, ma chiunque accumula per sé. Si possono avere pochi soldi e avere il «cuore da ricchi». Evidenziamo qualche espressione:

> “Anima mia, riposati!”. Come se l’anima potesse trovare pace nell’abbondanza. È qui l’errore: il rovesciamento di valori, il salto mortale (mortale!) dall’avere all’essere! Credere che la nostra anima possa essere placata dal possesso. Abbiamo sistemato il nostro stomaco e il nostro Dio: lo stomaco con la quantità del cibo, la nostra anima con l’osservanza di alcune regole.

> “Stolto! Quello che hai preparato di chi sarà?”. Del figlio, naturalmente: il figlio, stupido come il padre, si trova ricco grazie all’eredità, ed è pronto a dilapidare ciò che non gli è costato nulla. Al padre è toccata la fatica di seminare, al figlio la frenesia di sciupare; al padre il sudore della fatica, al figlio la follia di bruciare. Lo confermano le cronache quotidiane: è diffusa una bramosia che spinge a volere sempre di più, in una corsa sfrenata, tallonata dal disprezzo degli affetti e del prossimo: “Per la prima volta nella storia del mondo il denaro è solo davanti a Dio. Da qui è venuta l’immensa prostituzione del mondo moderno” (C. Péguy). 7. Ma perché il denaro ha invaso ogni spazio della vita? C’è dietro alla ricchezza l’illusione di onnipotenza e di eternità. Un’illusione che anestetizza e crea una dipendenza che è, per tanti versi, peggiore di quella della droga. E poi il contrappasso. Delitto e castigo! Non siamo mai stati così soli e impotenti dinanzi alla vita e alla morte, così vulnerabili e insicuri, pur difesi da corazze d’oro! La ricchezza è dunque un male? No, Gesù non l’ha mai condannata in sé. Non è la povertà che conta ma l’amore. Il vero modo di vivere la povertà evangelica non è privarsi ma condividere. Fare a meno delle cose è ascetica pagana. Il filosofo cinico Cratete, per dimostrare la sua superiorità sulle ricchezze, con orgoglio aveva gettato in mare le sue ricchezze: “Cratete libera Cratete!”. Forse, sarebbe stato molto più saggio distribuire, condividere, fare festa insieme. L’abbondanza e il successo sono segni di benedizione, purché non diventino occasione di divisione tra gli uomini.

8. Alla fine della parabola viene indicato qual è l’errore commesso dal ricco agricoltore. Egli non è condannato perché ha prodotto molti beni, ma perché «ha accumulato per sé» e «non si è arricchito agli occhi di Dio» (v.21). Ecco i due guasti prodotti dall’accecamento dei beni:

> Il primo: arricchire da soli, accumulare beni per sé senza pensare agli altri. La ricchezza deve essere aumentata, ma per tutti, non solo per alcuni. Quando le energie di tutti gli uomini verranno impegnate per accrescere non il «mio» e il «tuo», ma il nostro, allora saranno eliminate le cause delle guerre, delle discordie, dei problemi di eredità. > Il secondo: aver escluso Dio dalla propria vita, sostituendolo con un idolo. Questa scelta porta alla «pazzia» e il sintomo più evidente è la rimozione del pensiero della morte. Chi idolatra il denaro diviene un paranoico, non vive in un mondo reale, ma in quello che si è costruito e che immagina eterno; dimentica che «solo un soffio è ogni uomo che vive, passa come ombra; è solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccoglie» (Sal 39,5-7). Buona vita!

השּׁרשים הקּדשים Le Sante Radici

Per contatti: francescogaleone@libero.it

LA PREGHIERA DEL BUONUMORE CHE RECITA PAPA FRANCESCO

Dammi, o Signore, una buona digestione

ed anche qualcosa da digerire.

Dammi la salute del corpo,

col buonumore necessario per mantenerla.

Dammi, o Signore, un’anima santa,

che faccia tesoro di quello che è buono e puro,

affinché non si spaventi del peccato,

ma trovi alla Tua presenza

la via per rimettere di nuovo le cose a posto.

Dammi un’anima che non conosca la noia,

i brontolamenti, i sospiri e i lamenti,

e non permettere che io mi crucci eccessivamente

per quella cosa troppo invadente che si chiama “io”.

Dammi, o Signore, il senso dell’umorismo,

concedimi la grazia di comprendere uno scherzo,

affinché conosca nella vita un po’ di gioia

e possa farne parte anche ad altri.

0 Comments

No comments!

There are no comments yet, but you can be first to comment this article.

Leave reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *