All’alba del Novecento decine di voci vibravano per le strade di Milano

All’alba del Novecento, e anche dopo, decine di voci vibravano per le strade di Milano. Voci sonore, cavernose, tonanti: dello spazzacamino; del venditore di uccelli imbalsamati, che grazie alla pubblicità avevano il potere di sconfiggere le tarme; dell’ombrellaio; dell’arrotino; della donna che commerciava in segatura; della banda musicale del Tirazza,  in scena in via Passerella quando non nelle bettole; dei pattee, rigattieri, che nel Medio Evo avevano i depositi in via Pattari, alle spalle del  Duomo; dello strillone, che urlava le notizie del giorno: “La ‘figlia di Jorio’ di D’Annunzio è rappresentata a Milano dalla Compagnia Talli con grande successo!!!”. “Lo sciopero generale si estende rapidamente da Milano a Monza, a Genova, a Torino… per protestare contro la determinazione delle forze dell’ordine nelle manifestazioni popolari!!!”. “Inaugurato il traforo del Sempione, il più lungo del mondo con i suoi 19,825 metri”… Nel ’60 questa voce si era già spenta. “La Notte”, quotidiano del pomeriggio, che usciva a mezzogiorno, sistemava le copie sul pavimento dell’entrata da piazza della Scala della Galleria Vittorio Emanuele e i lettori si servivano lasciando il denaro. E non c’era il furbo che approfittasse dell’assenza di sorveglianti. Gridava il gelataio che girava con il suo carrettino a forma di rapace, assorbendo le storielle che lì attorno si snocciolavano assottigliando la zuccherosa cupola multicolori.  Stando a una fi queste, la giovanissima e affascinante contessa russa Giulia Samoyloff, patita di cavalli e altri animali, in un carnevale organizzò un corteo di gatti e vendeva sottobanco a un ben frequentato Caffè dell’epoca, noto per i suoi sorbetti, il latte d’asina in cui s’immergeva ogni giorno nella propria casa di via Borgonuovo 20. Davanti ai Magazzini Bocconi un vecchietto si sgolava per reclamizzare una sua invenzione: l’anello che consentiva di chiudere l’ombrello con maggiore facilità.

Fra le tante voci che s’incrociavano a Milano non si udiva mai quella di Teresina Bardi, che gestiva un banchetto di fiori tra le vie Verdi e Manzoni, a un passo dal Teatro alla Scala. Aspettava pazientemente gli avventori; e quando questi arrivavano architettava con abilità e gusto i suoi mazzetti di rose rosse o gialle o di orchidee che i signori per simpatia pagavano mettendo i soldi in una busta chiusa… Questo era un mestiere diffuso, tanto da ispirare una canzone: “…la va girand, pass a pass/ neij anni anca lèe la sfioriss…me on fior pass…”. Il testo era dedicato ad ambulanti, sprovviste di postazioni stabili. Altri versi vennero composti per Teresina, che aveva dimestichezza anche con orchestrali e cantanti, fra cui Angelica Pandolfini, Mimì nella “Bohème” scaligera del 1897. Teresina era rispettata, considerata quasi una prima donna. Un brutto giorno uno spasimante, rampollo di una famiglia d’alto rango, la ferì sfregiandola. Il processo, che provocò grande interesse e curiosità in tutta la città, e non solo, concluse la drammatica pagina con l’assoluzione, suscitando la rabbia di quanti avevano seguito con commozione la vicenda. Passarono gli anni, i decenni, e Teresina Bardi non entrò nell’oblio. Ancora oggi qualcuno la ricorda. Fino a poco tempo fa i meneghini diretti alla Banca Commerciale attraversando piazza della Scala, si fermavano, davano uno sguardo al vecchio banchetto di Teresina e mandavano un saluto a quella bella e dignitosa signora che vendeva “gilji”, “margaritt”, “dali”… con garbo e discrezione. Altre fioraie comparvero laddove aveva avuto  il posto Teresina: offrendo “bouquet” facevano la ronda da un angolo di strada all’altro. ma per quanto ce la mettessero tutta, non riuscirono ad entrare nel cuore dei milanesi come Teresina, che alimentò anche il repertorio del Barbapedana, figura del teatro meneghino portata sulle scene da Enrico Molaschi. Accompagnandosi con la chitarra cantava filastrocche e ballate in dialetto e in estate portava l’allegria esibendosi all’aperto proponendo un almanacco che si pubblicava nel 1635. Con i suoi emuli, considerati gli antesignani dei cantastorie, nell’ultimo dopoguerra tenevano banco anche nei “trani”, aperti dagli immigrati provenienti dalla città pugliese. Oggi i vecchi milanesi usano la parola “tranatt” per indicare i clienti più assidui di questi luoghi, mentre ai tempi del Porta il termine in uso era “boeucc”, (buca), da cui prende il nome un famoso ed elegante ristorante di piazza Belgioioso (oltre 600 anni attività: data di nascita 1696). Per anni gli storici ebbero il sospetto che la volontà dei meneghini d’insorgere contro gli austriaci fosse maturata più nei locali eleganti che nei salotti della contessa Clara Maffei o della marchesa Trivulzio.

E a proposito di menestrelli, sono in tanti a Milano ad avere nostalgia di Franco Trincale, e si augurano che quanto prima ritorni alla ribalta. Nato nel ’35 a Militello in Val di Catania, il cantastorie siciliano salì nel ’56 a Milano, dove pizzicando le corde della sua chitarra ha sciorinato le sue ballate prima in piazza Duomo e poi, dal ’92, in piazza San Babila. I suoi temi: “Mani pulite”, le lotte degli operai, a volte irritando il potere; i fatti clamorosi che hanno avuto risonanza nazionale. Si ricordano la scomparsa, il 31 gennaio del ’69 a Viareggio, del dodicenne Ermanno Lavorini, poi scoperto da un cane sepolto sotto la sabbia nella Pineta di Vecchiano, dopo tante affannose ricerche (si ricorse anche a una sensitiva). Franco Trincale tra l’altro incise un 45 giri, esortando i rapitori a restituire il bambino alla famiglia. Raccontò il sequestro di Milena Sutter, avvenuto il 16 maggio del ’71 (la ragazza non rientrò mai più a casa); e la fine delle tre bambine di Marsala, sparite il 10 ottobre dello stesso anno e trovate morte successivamente; l’assassinio a Dallas di Jhon Kennedy…

 Nel 2002 un’ordinanza comunale del 19 luglio, che vietava l’uso di amplificatori per evitare molestia alla cittadinanza e disturbo alle attività, suscitò polemiche e proteste perché ritenuta un fulmine contro il cantastorie contestatore, che se la prendeva con la politica, il malcostume, la corruzione, la sonnolenza della burocrazia…. Ne parlarono anche i giornali: Francesco Merlo, sempre garbato e dallo stile signorile e avvincente, scrisse sul “Corriere” che Milano senza Franco Trincale sarebbe più povera. Poi il sindaco Albertini spiegò che il provvedimento non aveva l’intenzione di zittire Trincale, e Merlo aggiunse che sarebbe stato un peccato se al menestrello siciliano, noto anche oltreconfine (l’”Herald Tribune” a suo tempo gli aveva riservato una pagina), fosse stato impedito di esprimersi. Nel gennaio del 2005 un personaggio molto in vista si credette insultato dai versi di Trincale e un giornalista osservò che chi ama Gaber non può sentirsi diffamato da un artista di strada che di Gaber è il gemello povero.

Uomo intelligente, dinamico, artista di notevoli qualità, Trincale, con il suo cartellone alle spalle e le sue corde, è l’ultimo menestrello di Milano, e non solo. Lo rivedremo, non importa se in uno dei suoi antichi prosceni? Non credo che uno come lui voglia solo godersi il vitalizio previsto dalla legge Bacchelli che nel gennaio del 2008 ha ottenuto dal governo Prodi, la Medaglia d’Oro di benemerenza civica che Il 7 dicembre successivo il Comune di Milano gli ha consegnato, oltre ai tanti successi conseguiti. Nel ’69 gli operai dell’Alfa Romeo in lotta gli regalarono una chitarra, che il cantastorie considera storica.

Ci sarebbe tanto altro da dire su questo menestrello, che ha una biografia lunga quanto l’autostrada Milano-Taranto e un archivio che la sua abitazione forse non riesce più a contenere. Eletto “Trovatore d’Italia” nel ’67 e nel ‘68”, è uno degli ultimi rappresentanti dei cantastorie siciliani.

Sono in molti ad avere nostalgia della sua voce. Trincale, uomo combattivo, non può rimanere in pantofole. Con tutto quello che ha ancora da dire sugli scandali, i femminicidi, i politici saltimbanchi e parolai, le lotte intestine nei partiti, le defenestrazioni  degli avversari…

Il Barbapedana, gli strilloni, i venditori di ogni sorta di mercanzia… sono soltanto un ricordo che resiste in chi è appassionato della storia di Milano. Franco Trincale, un artista autentico che prende nota di ciò che accade ogni giorno e lo racconta, ha tutta l’energia necessaria per riprendere il suo ruolo.

 

Franco Presicci

 

5

 

 

0 Comments

No comments!

There are no comments yet, but you can be first to comment this article.

Leave reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *