AUMENTO DI CASI COVID 19

L’estate è iniziata con un significativo aumento di casi di COVID-19 in Italia e in diversi altri paesi europei, con quella che viene definita dagli esperti come una nuova ondata, causata soprattutto da BA.4 e BA.5, due sottovarianti di omicron. L’aumento osservato tramite i dati ufficiali è in realtà probabilmente ancora più marcato, visto che in questa fase della pandemia molte persone non si sottopongono più al tampone o preferiscono farne di fai-da-te, senza finire nei conteggi nazionali. 

Che i casi siano in aumento è del resto piuttosto evidente nell’esperienza di ciascuno nelle ultime settimane: si sentono più racconti del solito su persone che si ammalano o che sono state a contatto con positivi, così come si sentono amici e parenti che hanno contratto il virus con maggiore frequenza rispetto a prima. Naturalmente i “sentito dire” non sono statisticamente rilevanti, ma offrono comunque qualche elemento in più da valutare, visto che i dati ufficiali sono più incompleti e carenti di quanto fossero mesi fa.
E proprio i dati ufficiali dicono che nell’ultima settimana in media sono stati rilevati quasi 61mila nuovi casi di COVID-19 al giorno: l’aumento è stato del 149 per cento rispetto alla media delle precedenti due settimane. Le morti legate alla malattia sono aumentate nello stesso periodo del 5 per cento, ma rimangono comunque relativamente basse rispetto ad altri periodi della pandemia. Gli aumenti più rilevanti di casi positivi sono stati rilevati in Veneto, Campania, Molise, Toscana, Marche, Abruzzo, Puglia e Lombardia. Nel complesso, comunque, in tutte le regioni i nuovi casi positivi sono più che raddoppiati.

La causa di questa nuova ondata può essere ricondotta per buona parte alla sempre più ampia circolazione di BA.4 e BA.5, che secondo l’Istituto superiore di sanità (ISS) sono rispettivamente a una prevalenza dell’11,4 per cento e del 23,1 per cento. La loro diffusione è aumentata molto velocemente nelle ultime settimane, segno della loro contagiosità e della capacità di evadere (almeno in parte) l’immunità maturata in seguito alle vaccinazioni o a precedenti infezioni. L’ISS non ritiene comunque che le due sottovarianti «siano associate ad un’aumentata gravità delle manifestazioni cliniche, rispetto a quelle causate da BA.1 e BA.2».

L’andamento nelle terapie intensive sembra fornire una conferma a questa circostanza. Un aumento negli ultimi giorni c’è stato, ma è comunque contenuto e al momento nessuna regione si avvicina alla soglia di attenzione del 10 per cento stabilità dal ministero della Salute. La regione con più ricoveri in terapia intensiva è il Lazio, con un’occupazione del 5,4 per cento dei posti disponibili (qui la versione ingrandita dei grafici).
Come vi avevamo raccontato nella scorsa newsletter, le varianti BA.4 e BA.5 erano state identificate per la prima volta in Sudafrica tra gennaio e febbraio e nei mesi successivi erano diventate dominanti nel paese. A metà maggio, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), aveva definito BA.4 e BA.5 “varianti di cui preoccuparsi”, prevedendo che sarebbero diventate in breve tempo dominanti in buona parte dell’Europa con una conseguente nuova ondata di coronavirus nel continente.

In Portogallo sono stati tra i primi ad accorgersene, con un’ondata iniziata nel mese di maggio che ha portato a un marcato aumento dei ricoveri, paragonabile a quello rilevato durante la prima ondata di omicron nell’inverno. BA.5 è ormai dominante nel paese e continua a diffondersi in altre aree d’Europa. Una maggiore quantità di ricoveri in ospedale è stata segnalata negli ultimi giorni in Francia e in Germania.

Ci sono comunque indicatori che sembrano segnalare un rallentamento nell’aumento delle persone ricoverate in Portogallo, dove la fase più acuta della nuova ondata pare essere passata. La sua durata relativamente breve sta facendo sperare diversi altri paesi, compreso il nostro, sulla possibilità di superare velocemente il picco delle infezioni, riducendo l’impatto della nuova ondata sui mesi estivi, i primi dopo due anni per una forte ripresa del turismo.
Mondo e vaccini
L’aumento dei casi positivi non sta riguardando solamente l’Europa, ma è comune a un numero crescente di paesi. Di recente l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha rilevato contagi in aumento in almeno 110 paesi. L’OMS ha ricordato l’importanza di proseguire nelle campagne vaccinali, soprattutto nei paesi dove si è ancora vaccinato poco, spesso nelle aree più povere del mondo. Nell’ultimo anno e mezzo sono stati distribuiti oltre 12 miliardi di vaccini e il 75 per cento del personale sanitario e delle persone con più di 60 anni è stato vaccinato in tutto il mondo. Uno studio ha stimato che almeno 20 milioni di morti siano state finora evitate grazie ai vaccini contro il coronavirus.

Mascherine
Il nuovo aumento dei casi positivi sta avvenendo in una fase in cui in Italia, come in molti altri paesi, sono state rimosse quasi tutte le limitazioni adottate negli ultimi due anni per ridurre la diffusione dei contagi. In particolare, da metà giugno l’obbligo di indossare le mascherine nel nostro paese è rimasto solamente per i trasporti pubblici, le strutture sanitarie e le residenze sanitarie e socio-sanitarie assistenziali (RSA). Non è più obbligatorio indossare le mascherine per proteggersi dal coronavirus a scuola, nei cinema e nei teatri al chiuso, o durante gli eventi sportivi nei palazzetti.

Con la nuova ondata si è tornato a discutere sull’opportunità di reintrodurre l’obbligo di mascherina in vari luoghi pubblici, ma al momento il governo non sembra essere intenzionato a rivedere le regole. Sui posti di lavoro le parti coinvolte, come aziende e sindacati, stanno lavorando per definire le regole per i prossimi mesi, con indicazioni sull’impiego delle mascherine nei contesti a maggior rischio.

Chi sì chi no
La fine dell’obbligo sulle mascherine naturalmente non implica che sia scomparso il rischio di essere contagiati, e per questo molte persone continuano a indossare la mascherina nei luoghi pubblici, anche se ormai appaiono più come un’eccezione che la norma. Lo fa per esempio chi è più a rischio come anziani, non vaccinati a causa di altri problemi di salute e persone con problemi al sistema immunitario, dunque più esposte a eventuali effetti del coronavirus. Ma ci sono anche persone vaccinate e in salute che preferiscono tenere la mascherina in particolari circostanze, per esempio quando si trovano in luoghi affollati, con scarso ricambio d’aria o prima di fare visita a persone fragili.

Vivere con la mascherina quando quasi tutto il resto del mondo non la usa porta inevitabilmente a farsi qualche domanda, soprattutto sull’efficacia del sistema per ridurre comunque il rischio di essere contagiati. 

Le mascherine sono efficaci nel ridurre i contagi nel momento in cui tutte le persone le indossano, mentre il rischio aumenta nel momento in cui alcuni ne sono sprovvisti. Molto dipende comunque dal tipo di mascherina indossata: quelle di tessuto fanno poco per filtrare le particelle virali sospese nell’aria – emesse da una persona contagiosa quando parla, tossisce o semplicemente respira – quelle chirurgiche filtrano un po’ meglio, mentre le FFP2 si sono mostrate più affidabili.

Le ricerche condotte prima della pandemia e i numerosi studi realizzati dopo il 2020 hanno evidenziato come in varie circostanze indossare una FFP2 offra comunque una importante protezione, anche se gli altri non stanno indossando una mascherina. Molto dipende però da come viene indossata e da numerose altre variabili, se per esempio si è al chiuso e in un ambiente scarsamente aerato. 

È difficile fare stime e valutazioni sui rischi in particolari ambienti, come i supermercati e in generale i negozi. Molto dipende dal livello di affollamento e dalla grandezza degli ambienti. Considerato il tempo medio di permanenza in un supermercato e i locali solitamente grandi, il rischio sembra essere comunque contenuto. Zero casi
Sabato scorso (25 giugno), per la prima volta da marzo a Shanghai non sono stati segnalati nuovi casi di COVID-19 nell’ultimo rapporto giornaliero, un segnale importante sulla fine dell’ondata che aveva interessato la città spingendo le autorità cinesi a imporre un lockdown molto severo. 

Il lockdown a Shanghai imposto progressivamente a partire da marzo – e che vi avevamo ampiamente raccontato – aveva interessato buona parte dei quasi 26 milioni di abitanti della città con enormi disagi, era stato interrotto all’inizio di giugno, anche se in alcuni quartieri erano rimaste limitazioni legate ai nuovi contagi. Un altro breve lockdown era stato imposto un paio di settimane fa per consentire alle autorità di condurre nuovi test di massa.

Olimpici
Restiamo ancora in Cina. Il governo ha convertito in strutture di isolamento per la quarantena i tre villaggi olimpici costruiti per le Olimpiadi invernali dello scorso febbraio: le strutture si trovano a Pechino, Yanqing e Zhangjiakou. Sono usati per isolare le persone che sono risultate positive al coronavirus, così come i loro contatti stretti. Non si sa di preciso quante persone siano state portate all’interno dei villaggi, ma si parla di centinaia per ciascuno. 

Giappone
Venerdì 24 giugno il Giappone ha riaperto i confini ai turisti di un centinaio di paesi e territori dopo una chiusura di oltre due anni che aveva impedito alla gran parte delle persone straniere di raggiungere il paese. Organizzare un viaggio non sarà comunque semplicissimo.

Per poter visitare il Giappone è obbligatorio essere accompagnati da una guida turistica durante tutto il viaggio; bisogna avere un apposito visto, un’assicurazione medica e indossare quasi sempre la mascherina, anche quando ci si trova all’aperto. L’Agenzia del turismo giapponese ha raccomandato che le guide turistiche seguano i gruppi di visitatori dal momento del loro «ingresso nel paese fino alla partenza», e che ricordino di frequente le misure di prevenzione per limitare i contagi durante tutto il tour. In particolare, viene raccomandato di evitare gli spazi chiusi, i posti affollati e le situazioni in cui potrebbero esserci contatti stretti con altre persone.

Secondo i dati dell’Agenzia del turismo, nel 2019 il Giappone era stato visitato da più di 31 milioni di turisti stranieri, un record: l’anno scorso invece gli stranieri che erano arrivati nel paese erano stati meno di 250mila.  Basta tamponi
Dallo scorso 12 giugno per andare negli Stati Uniti dall’estero in aereo non sarà più necessario il tampone con risultato negativo fatto il giorno prima della partenza. Gli operatori turistici facevano da tempo forti pressioni per l’abolizione di questa limitazione, sostenendo che stesse danneggiando fortemente la ripresa economica del settore. La decisione sarà nuovamente valutata dalle autorità sanitarie statunitensi tra 90 giorni. Resta invece obbligatorio presentare il certificato che attesta la vaccinazione.

Cancellazioni
Nelle prime settimane di giugno varie compagnie aeree di tutto il mondo hanno cancellato numerosi voli che avevano in programma, e in alcuni casi hanno anticipato che nei prossimi mesi saranno costrette a cancellarne altri. Tali decisioni hanno già causato disagi per i viaggiatori, soprattutto in Europa dove al momento si è concentrata la maggior parte dei voli cancellati, ma situazioni simili si sono verificate anche negli Stati Uniti. Le cancellazioni hanno tutte grossomodo una motivazione comune: la mancanza di personale.

Per via della pandemia e delle restrizioni agli spostamenti, molte compagnie aeree avevano deciso di tagliare parte dei posti, licenziando innanzitutto parte del personale di terra, considerato non essenziale nel momento in cui i viaggiatori erano nettamente diminuiti, e in alcuni casi anche piloti e assistenti di volo.

Ora che però le restrizioni ai viaggi internazionali sono sempre meno e che le persone hanno ricominciato a viaggiare in aereo, molte compagnie si sono trovate impreparate e non sono riuscite a trovare personale che subentrasse a quello che era stato licenziato. Questo ha già causato diversi problemi e si pensa che ne possa creare di maggiori nel corso dell’estate, quando si prevede un notevole aumento del numero di persone che viaggeranno per motivi turistici.

Non dire gatto
Un gruppo di ricerca in Thailandia dice di avere raccolto dati e prove convincenti su un primo caso di contagio da coronavirus avvenuto da gatto a essere umano. Nella loro ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Emerging Infectious Diseases, hanno ricostruito il caso del contagio, piuttosto particolare.

La scorsa estate un ragazzino e suo padre erano stati messi in isolamento in un centro medico in seguito a una infezione da coronavirus. Il personale sanitario aveva poi sottoposto a tampone anche il loro gatto, che durante la procedura aveva starnutito in faccia alla veterinaria che se ne stava occupando indossando guanti e mascherina, ma non una protezione per gli occhi. Tre giorni dopo la veterinaria era risultata positiva al coronavirus, benché nessuno dei propri contatti più stretti fosse risultato positivo. Una successiva analisi aveva confermato che la variante che aveva contagiato la veterinaria era la stessa del gatto. 

Che il coronavirus possa passare tra specie diverse era noto da tempo, ma finora non era stato rilevato un caso di passaggio gatto-umani. Il rischio di contagio è comunque considerato basso, anche perché i gatti non hanno una carica virale molto alta. In ritardo
Ultimamente tra i contagiati c’è chi si è accorto di una stranezza rispetto ai primi periodi della pandemia: in alcuni casi si iniziano ad avere sintomi prima di risultare positivi ai test, e in particolare a quelli antigenici. Medici ed esperti stanno provando a capire quali possano essere le cause, anche se la dimensione del fenomeno è difficile da stimare.

Un’ipotesi è che i sintomi precedano il risultato positivo ai test non tanto perché il coronavirus sia diventato “a scoppio ritardato”, ma semplicemente perché la malattia inizia prima o, per dirla meglio, il sistema immunitario si attiva molto più velocemente contro il virus. Con molte malattie respiratorie, la comparsa dei primi sintomi – come naso che cola, dolori muscolari, spossatezza e un po’ di febbre – deriva dall’attivazione del sistema immunitario, la cui risposta iniziale e meno mirata consiste di solito nel causare un’infiammazione, in modo da rendere il nostro organismo meno ospitale a una minaccia da poco rilevata, come appunto un virus.

La maggior parte della popolazione è ormai vaccinata o è stata comunque esposta direttamente al coronavirus, di conseguenza la reazione immunitaria avviene più rapidamente e può portare a casi in cui si hanno sintomi, ma non si risulta positivi a un test antigenico, magari perché la carica virale non è ancora sufficiente rispetto alla sensibilità del test (con i test molecolari il problema si presenta meno di frequente perché sono più sensibili).

Un’altra ipotesi è che le sottovarianti di omicron sfuggano più facilmente ai test antigenici nelle fasi iniziali della malattia. Alcuni studi hanno rilevato un minore accumulo delle particelle virali nelle cellule del naso, rispetto ad altre varianti come delta, e questo potrebbe rendere più probabili i falsi negativi perché durante il prelievo con tampone non si raccoglie una quantità sufficiente per risultare positivi al test.

È stata inoltre rilevata una riduzione nel periodo di incubazione, con la comparsa dei sintomi anche solo dopo tre giorni dall’esposizione a omicron, un tempo inferiore rispetto ai cinque-sei giorni delle varianti in circolazione all’inizio della pandemia. Non è però ancora chiaro se questa accelerazione derivi solamente dalle diverse caratteristiche di omicron o da diverse modalità di reazione del sistema immunitario.

Podcast
Ci vuole una scienza“, il podcast sulla scienza del Post esiste ormai da due mesi e mezzo e ha da poco realizzato la sua prima puntata speciale, interamente dedicata alle creme solari. Avete la certezza di metterne abbastanza? E che cosa c’è dentro alle creme solari? Quanto durano e come fanno a proteggerci? Beatrice Mautino ed Emanuele Menietti rispondono a queste e molte altre domande, sfatando anche qualche mito sull’abbronzatura.
“Ci vuole una scienza” esce ogni venerdì e lo potete ascoltare su Spotify e sulle altre piattaforme, oppure direttamente dall’app del Post

Inoltre, è da poco uscito “La bomba“, che racconta la crisi degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica italiana. 

Venerdì 1 luglio uscirà invece una nuova storia del podcast “Indagini“, che racconta le storie di cronaca, le indagini e come i fatti sono stati esposti sui giornali e gli altri mezzi di comunicazione.

Noi ci sentiamo il prossimo ultimo giovedì del mese: il 28 luglio.

Ciao!

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