Buon Sabato

Buona Giornata con Pietrapertosa. (Basilicata).
Tra le rocce e il cielo.

Il nome

La grande massa rocciosa che si trova all’ingresso del paese, sfondata da parte a parte, ha dato al luogo il nome di Pietra perciata (poi divenuto pertosa), ossia pietra forata.­

La storia

VIII sec. a.C., il primo insediamento è probabilmente dovuto ai Pelasgi, che costruirono le loro abitazioni nella parte bassa, innalzando sulle rocce dei posti di vedetta fatti di blocchi contrapposti; la successiva presenza dei Greci, che dalla costa si spinsero verso l’interno, è testimoniata dalla forma ad anfiteatro dell’abitato.
III sec. a.C., con la conquista romana, la curtis di Pietrapertosa entra a far parte, come tutta la Lucania, della III Regio.
V-IX sec. d.C., i secoli delle invasioni barbariche accentuano la decadenza della regione, occupata dai Goti, dai Longobardi e dai Bizantini, finché un capo bizantino di stanza a Pietrapertosa, ribellatosi al suo governatore, si convertì all’islam e chiamò in aiuto gli Arabi, che rimasero padroni del territorio per una ventina d’anni, a partire dall’838; arrivarono poi i Normanni, che costruirono il castello, e quindi gli Svevi.
1269, nel periodo angioino il feudo di Pietrapertosa passa di signore in signore fino alla sua cessione, da parte del re Ferdinando d’Aragona, ai Gozzuti e ai Grappini, dai quali arriva poi, tramite incroci familiari, alla casa Carafa, alla metà del XVI sec.
1647, i contadini manifestano contro le gabelle imposte dal feudatario; la repressione dei moti dà origine al fenomeno del banditismo.
1820, il paese, governato da un consiglio comunale liberale durante il regno di Gioacchino Murat, partecipa ai moti carbonari contro la restaurazione borbonica e all’insurrezione del 1848 contro Ferdinando II di Borbone.
1857, Pietrapertosa è colpita da un forte terremoto; dopo l’Unità d’Italia esplode il fenomeno del brigantaggio; nei primi anni del Novecento il paese subisce lo spopolamento causato dall’emigrazione verso gli Stati Uniti.

La natura si è sbizzarrita in questo angolo profondo di meridione. Il paese è lassù, alla fine di ripidi tornanti che richiamano un paesaggio dolomitico di guglie frastagliate e aguzze, rocce inclinate, massi posti di sghimbescio, creste inchiodate al cielo. Siamo all’interno del Parco di Gallipoli Cognato e delle Dolomiti Lucane, caratterizzato dalle fantastiche forme delle rocce arenarie. All’imbocco del borgo c’è la forca caudina di un masso da attraversare per entrare nell’abitato, che si presenta a forma di anfiteatro protetto da rocce, contro le quali si infrangono i venti del nord. Pietrapertosa non presenta edifici civili di particolare pregio, grandi dimore feudali o rinascimentali. Piuttosto, accosta vecchie case signorili dagli splendidi portali a casette a uno o due piani, fin che si giunge al suo cuore segreto, il quartiere arabo. L’Arabata da lontano sembra una colata lavica di casette tra pareti rocciose, una piccola casbah accudita in un grembo di arenaria. Gli arabi si annidarono qui portati dal principe Bomar, vivendo a diretto contatto con la rupe, in abitazioni di pietra e coperte di lastre di pietra, collegate da stradine ripide e tortuose. Non se ne conservano più esempi, a parte qualche rudere, ma – nonostante i fiori alle finestre – l’Arabata non ha perso l’atmosfera severa del tempo in cui c’era l’asino ad arrampicarsi su per i vicoli. Il borgo è stretto tra la chiesa matrice e il convento francescano, che sono le due emergenze più importanti del percorso storico-religioso. Dedicata a San Giacomo Maggiore, la chiesa Madre sorge nella parte alta e si presenta oggi a due navate, frutto di molti rimaneggiamenti a partire dalla sua costruzione nel XV secolo. Da vedere le due tele di Antonio Ferro, datate 1606, il coro ligneo, l’organo del Carelli e gli affreschi della prima navata. Ancora più ricchi d’arte sono la chiesa e il Convento di San Francesco. La chiesa sorge a ridosso del lato occidentale del convento, fondato nel 1474, e custodisce opere interessanti come le tele, che ornano gli altari laterali, di Filiberto Guma (L’Immacolata, 1628) e del Pietrafesa (1631) e, nel presbiterio, lo stupendo polittico d’inizio Cinquecento di Giovanni Luce da Eboli che richiama lo stile gotico internazionale. Dello stesso autore sono gli affreschi sulle pareti laterali del presbiterio. Nella chiesa si ammira anche il coro trecentesco in legno, intagliato con scene dell’Apocalisse, e due tondi, sulle spalliere di due seggi, che rappresentano Papa Bonifacio VIII e Dante Alighieri. Sempre nel presbiterio, si notano le due lastre sepolcrali di ignoto scultore del XV secolo. Il convento è organizzato intorno a un chiostro quadrato con al centro una cisterna.
Nel borgo ci sono diverse cappelle che testimoniano i sentimenti religiosi di questa società contadina: quelle della Madonna del Rosario, di San Rocco, del Purgatorio e il piccolo edificio di mattoni rossi di San Cataldo, ai piedi del castello. Il castello, di epoca normanno-sveva, è ridotto a rudere ma merita assolutamente una visita per l’incomparabile panorama di rocce, cielo e tetti che si gode dalla sua sommità. Il luogo, poi, è suggestivo di per sé, perché pieno di memorie: come quelle di Costanza d’Altavilla, madre di Federico II, che si sarebbe seduta sul “trono della regina”, scavato nella roccia. Quale emozione, salire i gradini che forse anche lei ha percorso! Passeggiando nel silenzio di Pietrapertosa, lungo via Garibaldi, il viaggiatore avrà notato molti bei portali: sono quelli delle antiche dimore signorili, che rinnovano i loro fasti ogni volta che qualcuno passa davanti a un bugnato (Casa Zottarelli) o a un mascherone (Casa Verri).

Il Piatto del Borgo: Possiamo cominciare con i piatti delle sagre: a Carnevale la rafanata (sorta di frittata a base di uova, rafano e formaggio), a ottobre le castagne, a Santa Lucia la cuccìa, un misto di grano, ceci, fave lessati e conditi con poco sale. A Pietrapertosa sono ottimi gli insaccati di maiale e nelle locande si trovano sempre prelibatezze come le paste fresche (da non perdere i cavatelli con la mollica e il pasticcio), l’agnello arrostito alla brace e le verdure selvatiche, spesso cucinate con il cotechino.

Il Prodotto del Borgo: Anche qui è sempre più raro trovare i prodotti dell’antica tradizione artigianale. Tuttavia, resiste ancora qualche esperto intagliatore che produce piccoli utensili di legno, magari con la decorazione di un galletto o un cavalluccio in cima al manico.

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