COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 14 NOVEMBRE 2021 A CURA DI DON FRANCO GALEONE

XXXIII domenica del tempo ordinario – 14 Novembre 2021

Il cristiano costruisce nell’oggi il domani!

Prima lettura: Vi sarà un tempo di angoscia (Dn 12,1). Seconda lettura: Cristo ora è assiso alla destra di Dio (Eb 10,11). Terza lettura: Quel giorno e quell’ora nessuno li conosce (Mc 13,24).

Dalla prima lettura

1) A partire dal II secolo a.C. si diffuse in Israele un movimento culturale, detto apocalittico, caratterizzato dall’interesse per la storia del mondo e dalla riflessione sul destino di tutti gli imperi. Gli apocalittici coltivavano la convinzione che gli eventi non volgessero al meglio, ma al peggio e che questo mondo fosse destinato, fra terribili convulsioni, alla morte. Dalle sue ceneri Dio avrebbe poi fatto sorgere un mondo nuovo che sarebbe toccato in sorte ai giusti. Sarebbe iniziata una nuova era, un regno governato direttamente dal Signore. Quest’annuncio di gioia e di speranza è comunicato dagli autori apocalittici attraverso un linguaggio misterioso in cui tutto ha valore simbolico: i numeri, i colori, le bestie, i tipi di vestiti, le parti del corpo, i personaggi. Le loro rivelazioni sono trasmesse mediante visioni, allegorie e immagini che non vanno mai prese alla lettera, ma attentamente decodificate. L’uso di questo linguaggio ebbe il suo momento culminante al tempo di Gesù: ecco perché lo ritroviamo in tutti i libri del Nuovo Testamento, non solo nell’ultimo che porta il nome di Apocalisse.

2) Il libro di Daniele, dal quale è tratto il brano di oggi, è considerato il primo degli apocalittici. E’ stato scritto in un’epoca quanto mai travagliata per Israele, quella dello scontro fra la cultura ellenistica, imposta con la forza dal re Antioco IV, e le tradizioni patrie, sostenute dal movimento dei Maccabei. Questa lotta divenne il simbolo del duello fra le forze del bene e del male. Evidenziamo due aspetti:

a) il brano esordisce con un accenno alla grande angoscia in cui il popolo si dibatte (v. 1);

b) poi c’è l’annuncio dell’intervento del grande principe, Michele (v. 1). Michele era l’angelo tutelare d’Israele ed era il simbolo delle forze del bene che lottano contro quelle del male. Nel libro di Daniele è già comparso come difensore del suo popolo in un conflitto con l’angelo tutelare della Persia (Dan 10,21). Michele significa «Chi è come Dio?». La risposta è scontata: «Nessuno!».

3) Che ne sarà di coloro che, per non tradire la loro fede, sono stati messi a morte dal persecutore? E’ questa la domanda che si pongono gli Israeliti che subiscono le vessazioni di Antioco IV. Il veggente risponde: Tutti i giusti che dormono nella polvere della terra si risveglieranno e saranno partecipi della gioia del Regno di Dio (v. 2) e coloro che hanno proclamato la verità e difeso la giustizia splenderanno come le stelle del cielo (v. 3). E’ questa la prima affermazione chiara della risurrezione che si trova nella Bibbia.

L’apocalisse: una rivelazione, non una distruzione

4) Per comprendere meglio la Parola di Gesù, vorrei partire da alcune sue espressioni:

Il cielo e la terra passeranno

Questo nostro mondo, la mia vita, quella dell’umanità … tutto è provvisorio. Quando Gesù annunciò la sua buona novella, la cultura era apocalittica; la fantasia non aveva limiti e immaginava catastrofi in cielo e sulla terra. Anche noi potremmo descrivere l’apocalisse di morte con il nostro linguaggio, e meglio degli antichi. Ma l’apocalisse di cui parla il Vangelo non ha niente a che vedere con queste fantasticherie. Perciò dobbiamo distinguere il “contenente”, cioè l’involucro culturale della professione di fede (genere letterario), e il “contenuto”, cioè il senso vero della Parola del Signore. Gesù annuncia che il Regno di Dio è già tra noi; non è ciò che verrà dopo la catastrofe, ma è già qui dentro di noi. Non dobbiamo cercare oltre, ma dobbiamo guardare attorno a noi, dentro di noi.

Quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce

Un’altra parola importante del Signore: è inutile interrogarci su quando, su come e su dove avverrà la fine; in questi duemila anni sono nate, morte, rinate comunità e movimenti e sette che hanno annunciato con esattezza luogo, giorno, mese, anno della fine del mondo; il tutto poi è stato rimandato alle calende greche!

Quando il fico mette foglie, voi sapete che lestate è vicina

E’ importante questa parola di Gesù, che invita alla vigilanza. Quando vediamo che un ramo ha messo una gemma, comprendiamo che la primavera è vicina; così il credente deve preoccuparsi non di stabilire il calendario, ma di leggere i segni dei tempi, e decifrare la gestazione del Regno di Dio.

Impegnàti nel cantiere del mondo, con serenità!

5) Un buon metodo educativo sarà quello di insegnare nelle famiglie e nelle scuole che in questo mondo è possibile morire tutti, provocare una catastrofe globale, ma che tutto questo non è iscritto nelle stelle del cielo ma nella volontà degli uomini. Dobbiamo educare giovani decisi a impedire la guerra, a non premere i fatali bottoni; abbiamo bisogno di giovani nuovi capaci di prendere in mano la terra e di impedire il germinare della violenza, di trasformare le lance di morte in falci di pace (Is 2,2). Noi non abbiamo tanto coraggio: il nostro “realismo cristiano” ci impedisce di volare alto, di credere che l’impossibile è possibile. Il cristiano deve diventare il punto d’incontro dell’ecumenismo degli uomini di buona volontà; non è il portatore in prima persona del destino del mondo, ma è colui che annuncia: “Il Regno di Dio è fra noi, e la sua vita dipende dalle nostre scelte”. Questa è la nuova etica che deve guidarci nelle nuove situazioni. La vecchia apocalisse portava alla paralisi delle coscienze; la nuova apocalisse di Gesù ci restituisce con serenità e con serietà al nostro impegno di credenti.

Sulla terra preparando il cielo

6) Dobbiamo comprendere bene la parola “Apocalisse”, che non significa catastrofe ma rivelazione. Il tempo della mietitura o della vendemmia sembra una catastrofe perché è falciare, tagliare, spremere … ma è anche il tempo del pane profumato, del vino generoso; anche la nascita del bambino, ricamato per nove mesi nel grembo della madre, è apocalisse, e, nonostante i dolori del parto, è una festa. La fine del mondo non è l’agonia che provoca la morte, ma il parto che segna la nascita; l’apocalisse è la rivelazione di quanto abbiamo voluto, amato, cercato, e che un giorno splenderà, malgrado l’apparente trionfo del male. Dio non distruggerà questo mondo, che anche Lui ha tanto amato, e non scenderà dal cielo un paradiso prefabbricato. Dio sta costruendo un mondo “diverso” in sinergia con l’uomo. Questa è la buona notizia: dare frutti finché siamo piantati nel terreno della vita. Se non ci convertiamo, la morte ce la portiamo sempre dentro, anche durante quella che noi chiamiamo vita; la morte non ci potrà rapinare di nulla, se della nostra vita abbiamo fatto un dono a Dio e un servizio ai fratelli. Non dobbiamo immaginare Gesù come un giudice che verrà nell’ultimo giorno per la resa dei conti, ma noi stessi ci giudichiamo ogni giorno: “Chi non accetta le mie parole, ha già chi lo condanna: la parola che ho annunciato, quella lo condannerà” (Gv 12,47). Il giudizio avviene ogni giorno, come la luce brilla senza interruzione, ma noi preferiamo le tenebre alla luce. Avviene ogni momento il giudizio! Il credente non crede a una vita “futura” ma a una vita “eterna”, e se è “eterna” essa è già cominciata. Quello che resterà è solo l’amore: “Le tre cose che contano sono fede, speranza, amore, ma più grande di tutte è l’amore” (1Cor 13,13). Quindi noi siamo sulla terra per arredare il nostro cielo. Il cielo sarà la continuazione di ciò che abbiamo conosciuto, fatto, amato, sulla terra: “Morire è aprirsi a ciò di cui si è vissuto sulla terra” (G. Marcel). E’ importante chiedersi: “Ho di che vivere quando vado in pensione?”. Buona vita!

השּׁרשים הקּדשים Le Sante Radici

Per contatti:francescogaleone@libero.it

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