Comunicato stampa Avvocato Di Majo

L’avvocato Di Majo: I sondaggi spesso sbagliano. Rimpiango la riforma costituzionale e l’Italicum. Il MoVimento 5 stelle non è democratico come vuole apparire.

 

A pochissimi giorni dal voto pare che tutti già conoscano il vincitore delle prossime elezioni.

I sondaggi proposti da istituti di ricerca, giornali, televisioni danno in vantaggio il Movimento 5 Stelle e prevedono la netta sconfitta del Partito Democratico.

Eppure, come ci ha ricordato recentemente il Prof. Ilvo Diamanti dell’Università di Urbino i sondaggi non servono a prevedere il voto che verrà, ma a fotografare gli orientamenti in atto senza presunzione di completezza e di certezza.

Qualora ‪il 5 marzo le urne dovessero dare un risultato diverso non sarebbe la prima volta (vedi il 2013…).

Diverso anche solo parzialmente, atteso che la Lega di Matteo Salvini è la vera mina vagante di questa tornata elettorale e se dovesse raggiungere risultati eclatanti diventerebbe il vero ago della bilancia di un governo espressione del centrodestra, ovvero “a trazione 5 stelle” (non si esclude una ipotesi in tal senso).

Molti escludono una vittoria netta del centrodestra, o comunque, i più non la prendono in seria considerazione.

In realtà, il meccanismo di questa legge elettorale avvantaggia proprio il centro destra.

I candidati nell’uninominale, infatti, “si appropriano” in buona sostanza, ancorché di riflesso, dei voti confluiti sui proporzionale che elegge i 2/3 dei parlamentari.

Se nella distribuzione dei seggi 1/3 è assegnato attraverso il sistema uninominale e 2/3 attraverso il sistema del proporzionale e il voto espresso sul simbolo si conteggia (semplificando) anche per il candidato della coalizione, in pratica il candidato dell’uninominale “acquista”, per così dire, i 2/3 dei voti espressi e, quindi, anche in parte quelli che confluiscono nel proporzionale.

Questo meccanismo appare maggiormente funzionale per le forze politiche coalizzate, come il centrodestra e (in misura minore) il centrosinistra.

Per questo motivo, non è improbabile che il centrodestra possa raggiungere la maggioranza assoluta e possa governare, dimostrando l’indimostrabile alla vigilia odierna.

Facciamo un esempio: 150 seggi uninominali (ragionando sulla sola Camera dei deputati) non sono fuori della portata del centro-destra, senonché una cifra intorno al 38% dei voti al livello nazionale conduce ad ottenere (sempre parlando della Camera dei deputati) circa 160 seggi.

Il centrodestra in pratica dovrebbe vincere 65 sfide uninominali su 100 e questa prospettiva non è impossibile.

Inoltre, con il 35% omogeneo su tutto il territorio si potrebbero vincere tutti i collegi uninominali: se LEU dovesse sottrarre molti voti al PD e il M5S non sfondare, il centrodestra potrebbe avere la maggioranza assoluta.

Il che vuol dire una cifra intorno al 55% dei seggi, almeno sull’esempio della Camera dei deputati.

In pratica, gli scenari proponibili sulla scorta dell’intreccio tra l’attuale legge elettorale, il sistema partitico e l’eterogeneità degli elettori spingerebbe a propendere per la soluzione del centro destra per i sostenitori della governabilità.

La governabilità, diversamente da quello che qualcuno sostiene (il Guru dei 5 stelle) è qualcosa di diverso rispetto alle tesi semplicistiche fatte circolare via web.

La governabilità non è un valore assoluto e nel caso dei sistemi elettorali va necessariamente bilanciata con la rappresentanza.

Questa apparente contraddizione era stata già sciolta con il famoso “combinato disposto” tra Italicum e riforma costituzionale del 2016, osteggiata, in primis, proprio dal Movimento 5 stelle il quale ignorava che ciò che ha fatto passare come una dichiarazione di guerra, una minaccia alla democrazia e alla sovranità popolare avrebbe permesso, nella situazione attuale, di uscire dalle urne come forza politica di maggioranza.

Sono stato tra i sostenitori della stagione delle riforme costituzionali ed elettorali e continuo ad essere fermamente convinto che l’Italicum (e, nello specifico il doppio turno) era l’unico sistema elettorale in grado di mantenere un equo bilanciamento tra esigenze di stabilità (governabilità) e rappresentanza.

Non lo dico perché, come si ostina a sostenere qualcuno, sia stato innamorato del prodotto che ho contribuito, ancorché in minima parte, a modellare durante l’esperienza al Dipartimento delle riforme della Presidenza del Consiglio dei Ministri; lo dico e lo continuo a sostenere perché gli avvenimenti mettono a nudo le falle di un sistema costituzionale ormai anacronistico e che a fatica regge le sollecitazioni provenienti da forze politiche (rectius, moVimenti) che si definiscono “democratiche”, ma che, nella realtà, non lo sono.

L’articolo 49 della Costituzione espressamente riconosce il diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

Le parole chiave della disposizione richiamata sono “diritto”, “liberamente” e “metodo democratico”

Mi chiedo, a questo punto, quali di questi concetti siano conosciuti dal Movimento 5 stelle se il diritto alla nascita e alla morte del MoVimento è in mano a pochi, se la libertà di aderire e di non aderire (o meglio, di essere espulsi) è in mano ad un non meglio definito “capo politico”, se il metodo democratico viene apparentemente garantito attraverso una piattaforma (Russeau) che non si comprende come funzioni.

La forbice tra quanto sostiene il capo politico del MoVimento e quanto è scritto nel “non-statuto” è netta.

Il MoVimento 5 stelle è un partito che, nel contesto democratico e in relazione all’impianto costituzionale, è sgrammaticato.

Anzitutto, l’inesistente distinzione tra “partito” e “movimento”.

I partiti politici sono attori politicamente rilevanti che svolgono una funzione costituzionale e, in particolare, una importante funzione elettorale.

Per la rilevanza di tale funzione si sono avute le leggi sul finanziamento pubblico dei partiti e sul rimborso delle spese dei partiti: in pratica, si riconosce che questi sono importanti artefici della funzione elettorale e della rappresentanza.

Qui viene a cadere la distinzione tra movimenti politici e partiti politici, ossia nel momento in cui anche un movimento politico, in qualche modo, partecipa alle elezioni: la distinzione tra movimento e partito sta proprio nel fatto che ad un certo punto il partito seleziona una classe parlamentare, entra nelle istituzioni e viene riconosciuto attraverso i gruppi parlamentari che rappresentano la proiezione dei partiti politici all’interno delle Istituzioni.

Nel momento in cui questi soggetti politicamente rilevanti svolgono una funzione elettorale devono essere riconosciuti per questa loro importante funzione e, conseguentemente, la loro natura giuridica non può essere semplicemente di associazioni non riconosciute perché poi alla fine accedono al finanziamento pubblico (nelle modalità ora previste fino alla eliminazione), ad un rimborso delle spese dei partiti, per cui devono essere soggetti a dei controlli particolari.

Ne consegue che gli stessi devono accettare l’idea di diventare, ad un certo punto, delle associazioni riconosciute sottoposte (magari) a registrazione, esattamente come avviene negli altri ordinamenti, come quello tedesco, spagnolo, etc.

Altrimenti è giusto che rimangano fuori dalle istituzioni.

Ancora, il partito, almeno nella sua funzione tradizionale, deve essere espressione dei rappresentati e non emanazione del leader.

La fisiologia è che là dove ci sono dei partiti (o dei movimenti) democraticamente organizzati e non partiti (o movimenti) personali, si cambia il leader perché questo soggetto è uno “strumento” del partito (o del movimento) e non il contrario, proprio per la ragione che i partiti politici sono gli strumenti dei cittadini e quindi a maggior ragione anche il leader deve essere considerato uno strumento del partito (o del movimento).

L’art. 67 Cost., cioè il divieto di mandato imperativo, ha ancora un senso rispetto a quanto qualcuno vuole far credere in nome di una disciplina di partito (rectius, di movimento).

Così come il voto segreto previsto dai regolamenti parlamentari che altro non è che il riflesso del divieto di mandato imperativo.

Il voto è segreto in alcune circostanze previste dai regolamenti parlamentari perché ammette l’esercizio della libertà di coscienza del parlamentare.

Questo è un elemento di garanzia perché è ammesso l’utilizzo del voto segreto per esprimersi su materie che sono eticamente sensibili e, per questo, sottratte alla disciplina del partito.

Il MoVimento ha i connotati del proprio leader che deve controllare i suoi parlamentari in aperto contrasto con l’art. 67 Cost.; non è costituzionalmente ammessa una rigida disciplina dettata dal suo “capo politico” che possa andare in contrasto con l’art. 67 Cost. perché altrimenti, in quel caso, ci troveremmo davanti ad un movimento o un partito personale che sostanzialmente non è regolato in modo democratico.

Apprendo dal sito del movimento 5 stelle che esiste un “non-statuto”; la dottrina costituzionalistica ha sprecato fiumi di inchiostro per sostenere che è importante avere statuti democratici, che i partiti siano registrati, che quando si registrano devono depositare uno statuto trasparente dal quale si evince la struttura, il funzionamento, le regole, la coerenza delle regole interne con i principi dell’ordinamento dei partiti e se c’è questa coerenza, eventualmente concedere anche un finanziamento pubblico ai partiti politici.

Ma una volta eliminato il finanziamento pubblico, anche il finanziamento dei privati va disciplinato: anzi, forse ancora di più il finanziamento dei privati e molto meglio di quanto è oggi disciplinato dalla legge 28 dicembre 2013, n. 149.

Ora, se non si vara una seria legge sulla disciplina dei partiti, questi non possono essere finanziati né dai privati né dal pubblico perché è un presupposto capire come questi partiti vengono finanziati, da chi vengono finanziati, il loro bilancio, chi controlla il loro bilancio, perché non è che eliminando il finanziamento pubblico dei partiti il problema non vi sia; se lo ammettiamo soltanto tramite i privati il problema vi è ugualmente: quali sono i privati che finanziano i partiti? Si può finanziare un partito al di sotto di una certa soglia oppure io posso finanziare un partito liberamente se do come cittadino 100 euro oppure come grande imprenditore 2 milioni di euro?

Queste sono domande che vanno poste e dimostrano la necessità di una legge sui partiti (o sui movimenti) in grado di bloccare anche il fenomeno dei rimborsi fantasma e delle donazioni incontrollate.

Ancora ed infine, la “democrazia digitale” e la “democrazia dei referendum” sono, ad oggi, favole irrealizzabili se non inserite in un contesto diverso.

Non siamo in presenza di una società fluida che potrà avere soltanto una democrazia diretta e forme di partecipazione che possano del tutto escludere l’organizzazione in partiti e quindi la rappresentanza politica; io credo che le due cose non siano assolutamente in contrasto, anche se abbiamo bisogno dell’una e dell’altra: di partiti solidi e di riattivare e di rivedere gli istituti di democrazia partecipativa.

La democrazia digitale non è un’alternativa a partiti democraticamente organizzati e a partiti solidi, perché quando i grillini candidati al Parlamento nazionale vengono scelti con 25 voti in via telematica, ognuno, allora, può decidere di candidare un soggetto che prende molto più di 25 voti scarsi.

Si poteva essere d’accordo o meno sul nome di Rodotà come Capo dello Stato, ad esempio. Ma davvero, diciamola, tutta, è un grande esempio di democrazia la scelta di un Presidente della Repubblica attraverso 4000 voti di preferenza che avrebbe dovuto rappresentare più di 60 milioni di italiani? Francamente nutro seri dubbi: si può affermare che la persona merita, ma non si può certo sostenere che grazie alla democrazia digitale l’unico candidato possibile non poteva che essere Stefano Rodotà; se questa è la motivazione io non sono d’accordo.

Se poi vogliamo dire, come è vero, che Rodotà sia stato un eccellente giurista e questo poteva aprire altri scenari, possiamo anche farlo, ma rimangono mere considerazioni politiche.

La “democrazia digitale” non va enfatizzata.

Nel sistema democratico costituzionale io voglio sapere: quanti hanno votato?

Chi controlla questi processi?

Chi è il proprietario di questo sito?

La sede del partito è il sito?

Il non statuto che cos’è?

Cosa si intende per capo politico?

Chi prende le decisioni finali?

In parte il Garante per la protezione dei dati personali, recentemente, ha già risposto.

Secondo il Garante per la protezione dei dati personali, (doc. web n. ‪7400401/2017), l’espressione del voto da parte degli iscritti, in occasione della scelta di candidati da includere nelle liste elettorali del Movimento o per orientare altre scelte di rilevanza politica, viene registrata in forma elettronica mantenendo uno stretto legame, per ciascun voto espresso, con i dati identificativi riferiti ai votanti.

Nello schema del database risulta infatti che ciascun voto espresso sia effettivamente associato a un numero telefonico corrispondente (come del resto confermato dal dottor Casaleggio in sede ispettiva, cfr. verbale 5 ottobre 2017) al rispettivo iscritto-votante.

Tale riferimento sarebbe mantenuto nel database per asserite esigenze di sicurezza, comportando, tuttavia, la concreta possibilità di associare, in ogni momento successivo alla votazione, oltre che durante le operazioni di voto, i voti espressi ai rispettivi votanti.

La possibilità di tracciare a ritroso il voto espresso dagli interessati non risulta neppure bilanciata, per esempio, da un robusto sistema di log degli accessi e delle operazioni svolte da persone dotate dei privilegi di amministratore della piattaforma che consenta, almeno, di condurre a posteriori azioni di auditing sulla liceità dei trattamenti attuati dal detentore dell’archivio elettronico

Tutto quanto premesso per dire che ognuno di noi, prima ancora di scegliere, deve porsi questi interrogativi affinchè si presentino a governare partiti (o movimenti) organizzati democraticamente e in grado di svolgere una funzione costituzionale in coerenza con i principi dell’ordinamento democratico.

 

Luca Di Majo – Avvocato e Dottore di ricerca in diritto costituzionale nell’Università di Bologna

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