DIVENTA STABILE LA SCUOLA DI GIORNALISMO INVESTIGATIVO A CASAL DI PRINCIPE

LA SUMMER SCHOOL UCSI- AGRORINASCE DIVENTA UN APPUNTAMENTO STABILE

La Summer School organizzata da Ucsi Caserta e Agrorinasce termina la sua fase sperimentale e diventa non solo un appuntamento stabile ma un progetto concreto che coinvolgerà giornalisti, scuole e associazioni del territorio. La quarta edizione si terrà il prossimo anno dal 14 al 16 settembre 2018. Lo hanno annunciato il direttore della scuola Luigi Ferraiuolo e l’amministratore delegato del consorzio di Comuni Agrorinasce Giovanni Allucci. “L’Idea è quella di creare una struttura ad hoc che si stabilisca a Casal di Principe e coinvolga anche il territorio. Abbiamo pensato a un Comitato scientifico dell’Ucsi, per il quale abbiamo raccolto già adesioni e immaginiamo anche di lavorare alla produzione di docufilm. Una delle priorità sarà coinvolgere anche associazioni professionali internazionali, colleghi stranieri e freelance” ha spiegato Ferraiuolo. “Rendere stabile la Summer school di giornalismo investigativo in luoghi bonificati e sottratti alla malavita è un obiettivo importante – ha affermato l’Ad di Agrorinasce Allucci – che si incastona perfettamente nel progetto ben più ampio che Agrorinasce porta avanti da venti anni. Non dimentichiamo che l’informazione è stata parte di un percorso di rinnovamento, a Casal di Principe e nei Comuni limitrofi. E che di corretta informazione si ha sempre bisogno. Le fondamenta ci sono ed è importante continuare, perché il lavoro non è ancora terminato”.

Summer School Ucsi 2017

La tre giorni iniziata venerdì scorso si è conclusa, domenica, con una sessione di approfondimento dedicata a Don Peppe Diana, parroco ucciso il 19 marzo del 1994, giorno del suo onomastico, anima di un movimento crescente di resistenza anticamorra. Augusto Di Meo, testimone dell’omicidio ha raccontato dell’omicidio, i cinque colpi esplosi contro il volto di Don Diana, da un uomo che era stato accompagnato in sacristia. Lui era lì, chinato a terra per allacciarsi una scarpa. Di Meo ha testimoniato al processo ed è l’unico dei presenti che ha avuto il coraggio di parlare, ma dopo oltre 23 anni non gli è stato riconosciuto lo status di testimone di giustizia con i relativi benefici di legge. Rosaria Capacchione, oggi senatrice, da sempre giornalista, e Raffaele Sardo giornalista di Repubblica hanno, raccontato il contesto è il clima in cui si lavorava all’epoca. Un periodo in cui si sparava di continuo, nessun luogo era inviolabile e nessuno pronunciava il temine camorra. L’informazione è stata parte integrante della “resistenza anticamorra” realizzata a Casal di Principe ma allo stesso tempo strumento di depistaggi e calunnie, per raccontare un movente passionale inesistente. “Raccontare Casal di Principe all’epoca significava fare la ricostruzione di piccoli fatti in apparenza irrilevanti” – ha spiegato Rosaria Capacchione ricordando che “la storia di questa terra è fatta di omissioni nel racconto di cose che sapevano tutti. Se oggi siamo qui è perché è cambiato molto ma esiste la possibilità, nemmeno troppo remota, che qualcuno possa voler replicare quel periodo. Per questo è giusto che di quel periodo si faccia memoria”

Un programma intenso quello della terza edizione della summer school che ha approfondito anche il caso del presidente dell’Eni Mattei, spiegato dal procuratore Calia, coordinatore da sostituto a Pavia la vera indagine, la terza, quella che ha fatto luce sulla la morte di Mattei come  omicidio deliberato. Calia ha ricordato che l’archiviazione fu motivata dall’impossibilità di identificare gli autori dell’omicidio e spiegava “l’accertamento, con certezza, che Mattei fu ucciso con una carica esplosiva tale da determinare la ingovernabilità dell’aereo, eliminare il pilota e da fare cadere integro l’aereo per simulare il sabotaggio”. Circa cinquemila pagine scritte per documentare i risultati dell’indagine, e gli interrogativi che restano al centro del dibattito che ha visto protagonisti anche il caporedattore de il Mattino di Caserta e la giornalista di Euronews Sabrina Pisu, che ha scritto un libro sul caso Mattei con Calia.

La seconda giornata ha approfondito con al tre testimonianze la storia di due giornaliste uccise all’estero. Quella di Ilaria Alpi che “è stata uccisa per il suo lavoro -ha detto Luciano Scalettari di Famiglia Cristiana- le hanno messo un bavaglio di morte perché le cose su cui stava indagando avrebbero portato molto sconquasso nell’Italia di allora”. E quella di Maria Grazia Cutuli uccisa dai talebani in Afghanistan. Il 9 novembre prossimo si terrà l’udienza del processo avviato dopo 15 anni lo scorso anno, ricorda l’inviato di guerra Fausto Biloslavo, senza nascondere di nutrire poca speranza, a distanza di tempo, di arrivare a un risultato. “I giornalisti sono nel mirino” ha detto Biloslavo, ricordando che dal 2001 al 2015 sono 354 giornalisti uccisi, 74 nel 2016 e 24 nel 2017. Sono, invece, 188 in carcere.

Le prime tre sessioni su Falcone e Borsellino e la lotta antimafia con l’esperienza dei giornalisti Toni Mira di Avvenire e Antonio Roccuzzo di La7, e di chi con Falcone e Borsellino ha lavorato. Guarnotta, uno dei giudici istruttori del I Maxiprocesso a Cosa Nostra ha ricordato la motivazione che spingeva il pool antimafia ad andare avanti, quel sogno e la volontà di creare le premesse per cui le generazioni future avrebbero potuto essere padrone della propria vita, di avere giovani liberi e non sudditi. “Noi abbiamo avuto la meglio sul braccio armato. La mafia è passata da una fase stragista a una strategia sommersa – spiega Guarnotta – ma non ci si può fermare. La mafia è in una cultura che esportiamo come arance e limoni, e infatti ci sono processi anche a Milano e Torino. La mafia è un perverso intreccio politico-economico che non si riesce a smontare. La guerra sarà vinta a Roma solo quando il Governo darà ai colleghi i mezzi e le risorse per farlo. Noi siamo al punto in cui bisogna fare l’ultimo passo, che è quello più difficile”.

Per l’ex parlamentare Ayala pm al maxiprocesso di Palermo, “Falcone era più avanti degli altri e riusciva a intuire prima degli altri le cose che accadevano, come nel caso della collaborazione di Buscetta – ha detto raccontando aneddoti della loro amicizia e del loro lavoro – Oggi molti giovani vogliono diventare magistrati antimafia. L’eredità di Falcone e Borsellino non è quantificabile. Lo è quella della persona più ricca del mondo ma la loro no. Perché è immateriale ed è di una tale nobiltà che è destinata a non morire mai”. L’ex ministro di grazia e giustizia Martelli ha ripercorso gli anni in cui chiamò Falcone a Roma, al Ministero e di quando gli affidò la Procura nazionale antimafia, ma anche le voci che si scagliarono contro Falcone in più momenti, gli ostacoli e le resistenze verso alcune scelte maturati in ambienti politici e giudiziari. Sollecitato dalla platea ha precisato la sua lettura della trattativa Stato-Mafia: “La trattativa Stato-Mafia non c’è mai stata, ma c’è stato invece un grave cedimento politico riassunto dalle dichiarazioni del Ministro Conso, che nel 1993, davanti alla Commissione Antimafia, disse di aver revocato il 41 bis a 150 mafiosi per mostrare disponibilità verso l’ala moderata di Cosa nostra, rappresentata da Provenzano al fine di interrompere le stragi. Le azione violente però non finirono”.

 

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