E. DEL MONACO ROLL, L’autunno avanza con passo leggero, Patti, Kimerik, 2021, pp. 215.

Recensione a cura di Alfonso Caprio

La raccolta di racconti dal titolo L’autunno avanza con passo leggero di Elvira del Monaco Roll si apre con una bella citazione di Emily Dickinson: «Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere», che mi piace qui riportare, perché è la testimonianza di quell’amore profondo, che gli scrittori, in questo caso una scrittrice, portano per le parole che ricercano con attenzione e utilizzano per raccontare le loro storie. La stessa Autrice nella prefazione dal titolo Pizzichi di verità afferma: «In questa raccolta ho messo in gioco me stessa in ogni parola e in ogni frase, sperando che i miei lettori, e per primi i miei figli, vi possano trovare un po’ del mio riso e del mio pianto, un po’ del mio credo e del mio cinismo, insomma un po’ di me.» (p. 12).

Il volume si apre con una breve Note biografiche sull’Autrice, nella quale sono citati i tanti bei racconti e romanzi pubblicati dalla stessa negli anni passati. Il libro si divide in tre parti, la prima parte è intitolata  Nel Paese della memoria, la seconda parte Nel paese del mito e del male e la terza parte Nel paese della natura e della fantasia; vi sono raccolti in tutto quattordici racconti, cinque poesie e quattro Pensieri.

La prima raccolta Nel Paese della memoria sono riuniti racconti legati, ancora una volta, a quel mondo favoloso che è, per la nostra Autrice, il suo paese d’origine Pietracupa, che è diventato lo scenario in cui sono ambientati molti dei suoi romanzi e racconti, sposando in pieno il motto di Honoré De Balzac il quale asseriva che: «Se vuoi essere universale parla del tuo paese». Il primo racconto è intitolato Il vecchio, un miles di origine germanica va da uno sciamano per conoscere il suo futuro e salvare dall’assalto di un manipolo di soldati romani gli abitanti di un villaggio, che nasconderà in una Morgia, dal nome della madre. Nel secondo racconto è narrato, attraverso gli occhi di Osvaldo un bambino di dieci anni, il terremoto del 26 luglio 1805, che fece crollare la piazza del paese di Pietracupa, ma lasciò intatta e in bilico sulla rupe la Chiesa del paese. Ne La scazzonatura è racconto di come Don Angelo il nuovo e giovane parroco di Pietracupa riesce a individuare la Chiesa Vecchia del paese, di cui ancora oggi non conosciamo l’esatto proprietario per la diatriba sorta tra la diocesi di Trivento e il Comune che ne rivendicano il possesso chi come exchiesa rupestre e chi come bene demaniale. Il corredo di Cristina  narra, invece,  tutta l’ingenua passione di una ragazza di paese per un bellimbusto che la illude di essere il vero amore sognato ma che la lascia e lei dopo anni si risposa con un altro uomo e trasferendosi a Milano lascia il corredo, che con tanto amore si era preparata nel corso degli anni della sua giovinezza, a casa della madre. In Lorenza troviamo invece di come i pregiudizi, di un epoca passata e di un mondo ormai scomparso, possono condizionare la vita delle persone, senza che ognuno possa venirne a capo per disfarsene e crearsi quella vita quotidiana che le è accanto ma così difficile da intraprendere. Il racconto di Mia, la storia di una contadina che vive in solitudine in un casolare con una cagnolina e quando questa muore lei va a vivere in città in cerca di una nuova vita, chiude la prima parte della raccolta.

La seconda parte è dedicata ai racconti di alcuni miti antichi, si apre con Il mio di Anteo, raccontato dal vecchio e malato Cosimo alla sua infermiera, quasi a volerle spiegare il senso della vita che passa e che lo porta alla sua fine. Snow job è la confessione di un scultore che reticente racconta come dopo la morte della giovane sorella, ha continuato ad uccidere le giovani ragazzine che le fanno da modelle eternandole nella neve, per fermare nel ghiaccio la loro eterna bellezza. Nel breve e sintetico racconto Perché io, un giudice si sofferma ad analizzare il proprio rapporto di padre sul corpo del figlio suicida. In La lezione, un vecchio maestro lascia che i propri alunni ascoltino da un aedo il racconto del mitodi Atteone che viene trasformato in cervo e sbranato dai propri cani, per aver osato spiare la dea Artemide mentre faceva il bagno con le ninfe sue seguaci. Il racconto, narrato con maestria dall’Autrice, sembra ricalcare la scena immortalata nel marmo della fontana di Diana e Atteone del parco della Reggia di Caserta. Il dibattito, a cui il maestro lascia i propri allievi mentre si dirige soddisfatto nel proprio letto, serviva a far sì che essi comprendessero «da soli che la conoscenza progredisce anche nel disaccordo e nel dubbio, che nel dibattito ognuno verifica le proprie idee e che dalla disarmonia delle opinioni può nascere la conoscenza condivisa. Ragionare, pensare, era quella la lezione. E non era una lezione trascurabile». Nella notte, è narrata invece l’insonnia di un matricida.

L’Autrice, in uno dei Pensieri, induce il lettore a riflettere sulle storie narrate che ondeggiano tra vero e verosimile: «Ogni storia ha in sé un nucleo di verità, ma quando il tempo, i sentimenti e i ricordi sono coinvolti, non c’è più spazio per la verità assoluta. Eppure la verità relativa non è meno vera per la memoria che di per sé è bugiarda, fallace e inaffidabile. Accade, quindi, che il verosimile prenda il posto della verità, oppure che la verità stessa si nasconda sotto l’invenzione ed è da questo processo che nascono le leggende, i miti e le favole».

La terza tappa del volume si apre con la poesia L’autunno avanza con passo leggero che non solo dà il titolo all’intera raccolta ma è anche una descrizione dell’autunno che avanza dopo l’estate tra alberi di glicine e vite con loro colori e gli insetti, che gli fanno da corolla, ma anche il rimpianto dell’estate vissuta e forse della vita umana, che si va perdendo pian piano come il fumo del tabacco. Nel Pensiero che segue vi è la descrizione affettuosamente e familiarmente del serpente chiamato Mike, che abita il giardino della nostra Autrice e sembra essere un membro della famiglia, degli animali, delle piante e piccole cose che vi sono raccolte. In La gazza è raccontato la vicenda tra una gazza e di un topo che vivono entrambi nello stesso giardino e che sono alla ricerca di un Dio che loro chiamano il Senza Nome. Il dio coccodrillo è un leggenda africana, raccontata all’Autrice da un ragazzo ghanese,  che narra della lotta e dell’accordo a cui giunsero gli uomini e il dio coccodrillo per permettere l’attraversamento del fiume Paga. In Tamesis e Ochran è narra la tragica storia, sotto forma di fiaba mitologica, della nascita del mughetto, trasportato in ambiente druidico con i suoi ancestrali riti sulla fertilità. L’ultimo racconto Nel giardino, che si è inselvatichito senza la cura di un giardiniere, è immaginato, tra il caos generato da piante e fiore, un acceso dialogo tra un venerando albero di limoni e un germoglio di albero di fichi con l’ironico intervento di una pianta di capperi, tutto ciò fino a quando non intervengono nuovi giardinieri e un architetto che rimettono a nuovo il giardino estirpando le piante infestanti e ripristinando l’ordine umano, che certamente non è quello dalla natura lasciata libera di riprodursi. Il volume si chiude con la poesia Il campanile e la luna, che quasi sembra darci la buona notte dopo aver letto i tanti racconti, poesie e pensieri che costituiscono questa raccolta, che si lascia leggere per la sua bella, semplice, delicata ed elegante prosa, che, con il suo ritmo avvolgente, molte volte ci trasporta in un sogno incantato, che l’Autrice sa costruire con mano ferma e sicura, per dare ai lettori la certezza di essere presenti al momento del racconto degli eventi narrati.

Castel Volturno 22.07.2021

Alfonso Caprio

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