Expo 2015 e perdono per nutrire il mondo

di Francesco Lenoci
Docente Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano
Vicepresidente Associazione Regionale Pugliesi – Milano

Cosa fa di regola un professore universitario?
Due cose: spiega, oppure interroga.
Cosa mi accingo a fare secondo voi adesso. . . .interrogo.

Una domanda difficilissima.
Cosa posso aggiungere in questa meravigliosa Casa Abruzzo di Milano, in dialetto aquilano, alla Storia e al Sogno di San Celestino V (il Papa di “Nolite Timere”), che hanno raccontato, facendoci emozionare, Alfredo Moroni e Goffredo Palmerini? . . .Senza sapere cosa diranno dopo di me: Giuseppe Tandoi, Paola Guerra Anfossi, Francesca Pompa e Angelo De Nicola. . . .Avendo al mio fianco la Dama del Corteo della Bolla della Perdonanza Celestiniana candidata a Patrimonio Immateriale dell’Umanità. . . .
Due parole, solo due: Jemo ‘Nnanzi!

Io sono nato a Martina Franca. Vivo, lavoro e insegno a Milano.
Una domanda difficile.
Qual è uno dei legami più forti tra Martina Franca e Milano? . . . .
È il Festival della Valle d’Itria, che da 41 anni presentiamo al Piccolo Teatro di Milano.

Una domanda facile.
Qual è il legame tra L’Aquila, Milano e il Festival della Valle d’Itria?. . . . È l’opera Nûr (“Luce” in lingua araba).
Chi di voi è mio amico su Facebook ha visto le foto che ho postato in vari gruppi, tra cui “Ricostruiamo L’Aquila as soon as possible”.

È un’opera da camera in un atto dell’aquilano Marco Taralli.
Nûr è un’opera appositamente commissionata dal Festival della Valle d’Itria, che è stata eseguita per la prima volta il 21 luglio 2012 presso il Teatro Verdi di Martina Franca.
La replica ha avuto luogo il 28 luglio, trasmessa in diretta da Radio 3.
Il filmato è stato proiettato all’Aquila, presso il Ridotto del Teatro Comunale, il 29 agosto 2012, durante la Perdonanza Celestiniana 2012.

Nûr si svolge in una notte, tra i letti di un improvvisato ospedale da campo allestito nel prato di Collemaggio, l’indomani del terribile terremoto che ha distrutto la città dell’Aquila.
Narra la storia di una donna senza nome, che ha perso la vista nel crollo della sua casa e che trascorre una notte di delirio, tormenti e visioni. I compagni di corsia, disturbati dal suo continuo lamentarsi per il buio che la circonda, la chiamano Luce.
Si prendono cura di lei un vecchio Frate (Celestino V), che nessuno tranne Luce può vedere e Samih, un giovane Medico arabo contrastato dalla concretezza spiccia del Primario, che nell’emergenza del momento rimuove lo spazio della compassione umana. Questa drammatica vicenda notturna approda a una scoperta salvifica per la coscienza della donna allo spuntare dell’alba.
Nûr trasmette un messaggio di fondamentale importanza. Se è vero che parla di angoscia e sofferenza, è anche vero che rappresenta un cammino alla ricerca della luce: la luce della compassione e dell’accoglimento di chi è diverso da noi o, più semplicemente, lontano, altro da noi.
È un messaggio di Pace, che ha riempito di gioia la mente, il cuore e l’anima di chi ha visto l’opera. Tutti, ripeto tutti, ci siamo commossi quando Luce e Samih hanno visto aprirsi la Porta Santa della Basilica di Collemaggio e l’hanno oltrepassata.
L’ho detto tante volte. Lo ripeto adesso: “Sia lode e gloria a Nûr, una meravigliosa Opera che ha portato tanta luce aquilana al Festival della Valle d’Itria”.

Dalla Luce alla Poesia il passo è breve.
La più bella definizione di poesia l’ha data Donatella Bisutti, che è qui seduta in prima fila.

“La poesia è un microscopio: guarda il piccolissimo e lo ingrandisce.
Un filo d’erba diventa più importante di un’intera foresta;
un uccellino, da solo,
riempie con il suo canto il palcoscenico dell’universo.

Ma, contemporaneamente, è anche un telescopio
che rende vicino e familiare ciò che è lontanissimo e ignoto.
Esso annulla l’immensità vertiginosa dello spazio”.

Di poesie ne leggerò tre. Sono doni preziosi che ho ricevuto due giorni fa’ da Filippo Crudele, che mi piace definire un poeta innamorato dell’Abruzzo, e che condivido con voi con grande gioia.

Celestino V (di Filippo Crudele)

“Immerso nel profondo silenzio
di un verde deserto,
invecchiò forgiato e temprato
come l’acciaio.

Il tempo non cancella il passo,
le tracce del sandalo
da un eremo all’altro,
che vedi ancora arroccato,
e quel Sasso rosa e bianco
eretto al Colle di Maggio.

Nel disegno supremo
la tiara sul capo,
che un Conclave maldestro
ritenne vecchio e di legno.

Contro il potere
e lontano da Roma,
emanò la Bolla del perdono,
ben sapendo che avrebbe perso:
il prezioso cappello,
la testa e il trono.

Fu atto di coraggio dunque
e non viltade,
mi perdoni Dante!

Se si spogliò del bianco e rosso agio
e rivestì il vecchio marrone
umile straccio, ancora caldo,
e quando consapevole naufrago,
che nessun anfratto lo avrebbe salvato
da Bonifacio VIII.

Così! Pietro l’eremita del Morrone,
per quanto vezzo alla segregazione,
morì prigioniero nella Rocca di Fumone.

Il Frate Santo che un giorno d’agosto,
nella mia Città,
regalò il Perdono famoso nel mondo”.
Il Sentiero del Perdono (di Filippo Crudele)

“L’orgoglio ferito
si ribella e reclama
l’istintiva vendetta,
che non appaga.

Placa la rabbia,
perché la carne
inganna e sbaglia!

Deponi la spada,
e mordi l’atroce freno
del silenzio!

È sul sentiero
misericordioso dell’oblio,
che farai l’incontro
con la Grazia del Perdono!”
Un Fiore tra le labbra (di Filippo Crudele)
“Allenta il morso
che intristisce il tuo volto.

Lascia cadere
la lama tagliente
che stringi tra i denti,
del rancore e dell’odio
e fai nascere tra le labbra
quel fiore che radica
nel profondo del cuore,
con i colori della pace
e il profumo dell’amore”.

Da Papa Celestino V, un santo, a un prossimo Santo, don Tonino Bello, entrambi profeti, il passo è ancor più breve.
Come definisce la Pace don Tonino Bello?

“La pace è dono.
Anzi, per-dono.
Un dono per.
Un dono moltiplicato.

Un dono di Dio che,
quando giunge al destinatario,
deve portare anche il con-dono del fratello”.
Pace, secondo don Tonino Bello, non è una parola: è un vocabolario.
Don Tonino Bello, un grande profeta e poeta, che parlava benissimo e scriveva ancor meglio, per spiegare un vocabolario come la Pace – oggi, al tempo di EXPO 2015 – ricorre a una cosa buona per definizione . . . .ricorre al pane.

“Pace non è la semplice distruzione delle armi.
E non è neppure l’equa distribuzione dei pani a tutti i commensali della terra.
Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli.
Di qui il nostro compito: dire alle nostre comunità, alle nostre città, in cui serpeggiano dissidi, di saper stare insieme a tavola.
Non basta mangiare, bisogna mangiare insieme!
Non basta avere un pane e ognuno se lo mangia dove vuole: bisogna poterlo mangiare insieme!
Di qui la nostra missione: sedere all’unica tavola, far sedere all’unica tavola i differenti commensali senza schedarli, senza pianificarli, senza omologarli, senza uniformarli.
Questa è la pace: convivialità delle differenze”.

Per don Tonino Bello il pane, il cibo, è strumento di pace e di espressione culturale.
L’accesso al pane, al cibo, rappresenta un requisito fondamentale di una convivenza pacifica dei popoli.
Il pane, il cibo e le modalità del suo consumo sono il principale strumento di incontro, dialogo, conoscenza e integrazione tra i popoli.

È questo il messaggio che da Casa Abruzzo va a EXPO 2015 e al suo frutto più importante: la Carta di Milano.
È questo il messaggio che da EXPO 2015 e dalla Carta di Milano va a tutto il mondo.

Mi avvio alle conclusioni, parlando di Speranza
Papa Francesco, Laudato Sì, 207: “Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza”.

La frase che sto per leggere, ce lo ricordiamo tutti, Papa Francesco (Lumen Fidei, 57) l’ha urlata.

“Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino”.

Nelle parole e nei segni di Papa Francesco stiamo rivivendo e contemplando in tanti il linguaggio e lo stile francescano di don Tonino Bello. Anche lui urlava:
“Mettiamoci in cammino, senza paura”.

“A me piace moltissimo”, diceva don Tonino, “invocare Maria come la Madonna della strada, la Madonna del cammino. Maria è la Vergine del cammino e noi siamo in cammino, stiamo andando a cercare proprio lei, la Vergine del cammino, la Vergine dalle mete sicure, la Vergine che non ha speso inutilmente i suoi passi, la Vergine che sapeva in vita dove veramente andare”.
È incredibile a dirsi, ma la Basilica di Collemaggio, la meta della Perdonanza Celestiniana, è intitolata a Santa Maria.

Quanto alla speranza, don Tonino Bello afferma che non basta enunciare enunciarla, occorre organizzarla.
L’esortazione di don Tonino Bello ad organizzare la speranza non ha tentennamenti.

“Chi spera . . . .cammina . . . .corre . . . .danza la vita. Non fugge.
Cambia la storia, non la subisce.
Costruisce il futuro, non lo attende soltanto.
Ha la grinta del lottatore, non la rassegnazione di chi disarma.
Ha la passione del veggente, non l’aria avvilita di chi si lascia andare.
Ricerca la solidarietà con gli altri viandanti, non la gloria del navigatore solitario”.

Concludo.
In pochi minuti ho provato a dimostrare che Luce, Poesia, Pace, Perdono, Speranza. . . . nutrono Noi.
Ancora più in sintesi: Il Perdono nutre Noi.

Ma noi siamo a Milano, la città che, grazie a EXPO 2015, ha il mondo dentro.
Se ciò è vero, è altrettanto vero che Noi siamo il Mondo.

E allora possiamo completare il percorso.

Il Perdono nutre Noi. . . .Noi siamo il Mondo. . . . Il Perdono nutre il Mondo.
È questo il nuovo messaggio che da Casa Abruzzo va a EXPO 2015 e al suo frutto più importante: la Carta di Milano.
È questo il nuovo messaggio che da EXPO 2015 e dalla Carta di Milano va a tutto il mondo.

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