Francesco Lenoci: il professore viaggiatore

  Lo hanno definito il professore viaggiatore; il conferenziere instancabile; un veicolo di cultura; l’intellettuale alla ricerca dei valori diffusi nel nostro Paese. Docente di “Metodologie e determinazioni quantitative d’Azienda 2°” all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, quando gli impegni professionali glielo consentono, Francesco Lenoci è sempre pronto ad accettare un invito, venga da Milano, da Messina, da Pesaro, per parlare de “L’Italia dei sogni”, l’interessantissimo libro di Goffredo Palmerini; di una propria opera appena uscita, di Pace…

   La prima volta l’ho ascoltato alla festa per i 25 anni del “Rosone”, il periodico battezzato nel ’70 nel ristorante “La Porta Rossa” di Chechele e Nennella, in via Vittor Pisani; e in seguito alla facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo barese, dove intrattenne l’uditorio sul sistema bancario, spiegando con parole semplici passaggi intricati. L’ho seguito a Grottaglie, per ascoltare da lui la storia di Nicola Fasano, che nell’ambito delle creazioni in terracotta realizzò iniziative “rivoluzionarie” anche dal punto di vista commerciale.

   In uno dei nostri incontri ho ripercorso in un baleno i miei trascorsi a San Severo, rispolverando episodi cari: la cerimonia al Teatro Comunale per la consegna del Premio Fraccacreta, nel ’57, a Vittore Fiore per il volume di versi “Ero nato sui nari del tonno”, presente il padre del poeta, Tommaso; e il panificatore che per una mostra dell’artigianato del ’50 fece un esemplare tanto grande, che per tirarlo fuori dal forno dovettero allargare l’apertura. Credevo di stupirlo, e Lenoci mi compensò con un sorriso ironico, facendomi capire che ormai non era più una novità da “Guinness dei primati”.

   Francesco Lenoci ha un rapporto particolare con i mitici grandi pani, che ha avuto inizio nel 2014: il 9 agosto eccolo nella masseria “Cappotto” di Laterza, dove si è inginocchiato di fronte a una gloria della stessa città: 8 chili di peso, delle Fornerie laertine). L’11 ottobre  a Milano Golosa presso il Palazzo del Ghiaccio, aiutato da Giacinto Mingione, ha preso in braccio un pane di Matera di ben 10 chili, confezionato dall’Antico Forno a Legna di Perrone Lucia; e il 28 novembre al Teatro Mercadante del paese natale di Tommaso Fiore (scrittore e uomo politico, nato il 7 marzo del 1884, autore di “Un popolo di formiche”, Premio Viareggio ’52, e di altri libri, come “Il cafone all’inferno”), con un valido sostegno, ha sollevato un pane di Matera di 12 chili, orgoglio dei fratelli Di Gesù. Nel 2016, nuovamente al Palazzo del Ghiaccio della terra del Porta si è cimentato, emozionandosi, con una delizia di 15 chili, sfornata, anche questa, da Perrone Lucia. Un crescendo di dimensioni e di qualità degne del Museo del pane di Sant’Angelo Lodigiano, sorto nel 1983 per iniziativa della Fondazione Morando Bolognini.

   Di pane Lenoci ha parlato anche su vari palcoscenici, in “Dalla terra la vita”, messa in scena durante Expo 2015. A Laterza, che sorge a 362 metri sul margine della Gravina omonima, nella masseria “Cappotto” dei coniugi De Meo è tornato nell’agosto dell’anno scorso, accompagnato dai poeti dialettali Giovanni Nardelli e Benvenuto Messia. Nell’occasione ha dedicato solo qualche accenno al pane, che vanta una storia millenaria; ai panificatori, che hanno tra gli antenati gli Egizi, autori dei primi forni con volta a cupola; a Roma, che ospitò i primi negozi per la vendita del prezioso alimento. Ha trattato il tema dell’ambiente e degli sfregi che incoscienti speculatori fanno della natura, un patrimonio che appartiene a tutti.

   Francesco Lenoci è una calamita. Ovunque attira un pubblico numeroso e attento, riscuotendo approvazioni entusiastiche, come nelle sale di rappresentanza di alcuni istituti di credito milanesi, in via Feltre, in piazza Affari…; al Rotary Club di Merate; al Lions Club della terra dei trulli, sua città natale; nella Capitale, nella Biblioteca del Senato per il Premio Menichella, di cui è segretario generale. All’Umanitaria, nel capoluogo lombardo, ha tenuto una lezione di gastronomia, nel corso di un’esposizione di prodotti pugliesi in vista dell’Expo, tra cui il capocollo di Martina Franca e, ancora, il pane, che con il vino e l’olio extravergine d’oliva domina le nostre tavole. Lenoci esalta il nettare, sapientemente raccontato in “Vino al Vino” da Mario Soldati, che compì “viaggi d’assaggio” da Palermo a Venezia, da Napoli a Sassari, a Taranto, contemplando la fisionomia del paesaggio. Lenoci ha celebrato il sangue della vite presso la Biblioteca comunale di Verona, la città di Vinitaly, e a Milano da vari anni nel corso della “Notte di San Martino”, la più grande festa salentina fuori del Salento, dove ripete senza soluzione di continuità “Amo il buon vino, festeggio San Martino”.

   Lenoci ama l’ulivo. Ha parlato dell’olio a Corato, la città della coratina, che ha il centro storico a forma di cuore; e recentemente a Milano presso il Palazzo dei Giureconsulti, dove ha esortato ristoratori e farmacisti a imitare il comportamento degli “chef” al cospetto dell’olio extravergine d’oliva, cospargendo il dorso della mano dei clienti con preziose gocce di olio evo.

   Con il professore discutiamo di tante cose: del Festival della Valle d’Itria, del quale è un appassionato; e di Paolo Grassi, che di quella rassegna, nota in tutto il mondo, è stato un sostenitore; della “Ghironda”, che da Martina si è trasferita altrove; e di Milano, dei suoi cortili, dei suoi palazzi, delle facciate Liberty, delle chiese, dei navigli e dei ponti che li scavalcano, amati dal poeta Alfonso Gatto, che era di Salerno, dal giornalista Gaetano Afeltra, di Amalfi, dall’architetto Empio.Malara, che vanta una lunga militanza nella difesa di questi corsi d’acqua carichi di storia.

   A Lenoci piace Milano. Dalle finestre del suo studio, al quinto piano della Terrazza Martini, si vedono le guglie della cattedrale e l’ingresso della Galleria Vittorio Emanuele, che dà su piazza del Duomo. So che quando può fa quattro passi fino a via Morone, che sfocia in una delle più belle piazze, la Belgioioso, che raccolse i sospiri di Stendhal sotto le finestre della baronessa Matilde Viscontini, “bella e altera come l’Erodiade leonardesca, anima angelica nascosta in un corpo meraviglioso”, per lo spasimante francese. E da via Morone, dopo aver sostato qualche minuto davanti al portone di casa Manzoni, va in via Bigli, dove abitò Eugenio Montale e Clara Maffei, la contessa più famosa del Risorgimento, tenne il suo salotto culturale, frequentato da patrioti meneghini, da Balzac, Listz, Tommaso Grossi, Verdi…

   Un paio di quelle passeggiate le abbiamo fatte insieme fino a piazza Missori per imboccare via Torino, un tempo ricca di artigiani di altissimo livello (armorari, spadari, orefici…), tutti ricordati sulle targhe; e sede, nel Cinquecento, della Malastalla, un carcere per debitori insolventi e minori deviati, che vivevano in condizioni disastrose non solo dal punto di vista igienico. Camminando discutevamo delle attrattive della metropoli: i monumenti, il Castello e toccavamo anche il tema delle prelibatezze locali, come il panettone, la cui nascita si interseca con la leggenda: frutto dell’amore fra Ughetto, falconiere di Ludovico il Moro, e Adalgisa, figlia di un “prestinee”. L’idea di aggiungere al pane burro e zucchero e poi cedro candito e uova e uva sultanina fu del giovanotto, che ottenne così un successo strepitoso. Era nato il “pan grande” o “pa de ton”, da servire il giorno di Natale.

                                                                                    Franco Presicci    

 

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