FRANCESCO PETRARCA E LAURA

Francesco Petrarca e Laura.

Petrarca amò una donna attraverso la poesia e
la poesia attraverso una donna; a suo modo.
Ognuno, del resto, ama come può.

Sui Colli Euganei non solo si curva l’incanto di cieli mutevoli – ora soavi ora inquieti, cosparsi di nuvole o vaporosi di albe e tramonti, ma accolti, sempre, entro il cerchio delle alture come in un abbraccio fiorente di riflessi – bensì aleggia anche, vegliando su di essi a tutela di un’identità non meno vera poiché immateriale, lo spirito di un’antica poesia. Antica, eppure viva e attuale, ancora presente: suggerita dal paesaggio, nata dal paesaggio ed espressione del paesaggio e della sua storia alla stessa stregua di un boschetto, di un declivio, di una fonte.
La rubrica «Musa», intitolata, con declinazione singolare, alle divinità che secondo il mito classico proteggono le arti, schiude spiragli su di un ulteriore incanto – incanto d’anima – della terra euganea: l’incanto poetico. Innumerevoli sono le pagine da scorrere, scoprire o ritrovare, innumerevoli gli scrigni da cui estrarre preziose gemme; tuttavia, in una sorta di doveroso omaggio nei riguardi di uno degli ospiti più illustri della regione, si inizierà con Francesco Petrarca.
Il poeta che, nato ad Arezzo nel 1304 da esiliati fiorentini, trascorse buona parte della sua esistenza in Francia, ad Avignone e nell’amato ritiro di Valchiusa, e che inoltre, per mansioni diplomatiche o motivi di studio, viaggiò lungamente attraverso la penisola, decise di trascorrere gli ultimi anni del suo pellegrinaggio terreno nel borgo di Arquà (adesso, appunto in suo onore, Arquà Petrarca) nella cui piazzetta si eleva, sin dal XIV secolo, il monumento funebre fatto erigere a sua memoria dal genero. La casa di Arquà, dono dei signori di Padova, addolcì lo scorcio estremo dell’esistenza di Petrarca, che trovò nel nuovo ambiente la medesima quiete goduta a Valchiusa.

il Canzoniere, la raccolta di liriche in volgare del sì cui Petrarca deve la massima fama tra i lettori non specialisti, è un’opera anche euganea: infatti, l’ormai anziano Francesco perseverò nel correggere e levigare quanto aveva precedentemente composto sino al suo ultimo respiro. E il suo ultimo respiro fu esalato ad Arquà. Su quelle pagine, la cui prima stesura affonda indietro nel tempo talvolta di decenni, si depositò dunque anche l’atmosfera della terra euganea. Secondo il desiderio del poeta (così, quantomeno, si racconta), la morte lo colse mentre era al tavolo di lavoro. Forse pregava; forse scriveva; forse, semplicemente, pensava. Era la notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374. Un po’ di tempo in più, e Francesco Petrarca, nato il 20 luglio, avrebbe raggiunto i settant’anni. Tutta l’opera petrarchesca, in volgare e in latino, mostra un’idea del paesaggio inteso come paesaggio d’anima piuttosto che di luoghi e spazi fisici. E, al centro di questo variegato paesaggio della mente e del cuore s’impone, autentico paesaggio nel paesaggio, l’amata Laura. Il nome della donna, traduzione del greco Dafne, significa “alloro”.

Indimenticabile e fondativo di un’ininterrotta tradizione, Ovidio descrive nel suo poema metamorfico la trasformazione in questa pianta della ninfa, prima portatrice di tale nome, che fu testarda nel respingere l’amore di Apollo; dal momento in cui il corpo di lei divenne albero, l’alloro fu sacro al dio, signore anche della poesia. Nel Canzoniere, Laura, contemplata attraverso il filtro memoriale, ora s’identifica con le forme della natura, ora è rappresentata mentre, ingentilendo al suo passare tutto ciò che tocca, fa fiorire il mondo; inoltre, in virtù di strategie stilistiche che, ‘giocando’ sul suo nome, la convocano anche quando il poeta in apparenza non parla di lei, è insieme la brezza («l’aura»), e l’oro («l’auro») del cielo, all’aurora.

Francesca Favaro

Fonte: https://www.euganeamente.it/francesco-petrarca-laura-arqua-petrarca-colli-euganei/

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