Giornata della Memoria 2021, eventi e iniziative in Italia da seguire anche in streaming




ecco il link su FB https://www.facebook.com/matilde.maisto/videos/10222103073519288

A causa dell’emergenza Covid-19, quest’anno gran parte degli incontri si trasferiscono dalle varie città allo streaming online. Da Milano a Roma fino a Napoli, sono tanti gli appuntamenti da segnare e ai quali partecipare via web da ogni parte del Paese.

Le iniziative a Milano

Tanti gli eventi organizzati a Milano, a partire da “Note per la Shoah” che proporrà le colonne sonore di film dedicati all’Olocausto scritte dal maestro Ennio Morricone (GLI EVENTI). Registrate il 23 gennaio, a porte chiuse causa emergenza coronavirus, nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano, saranno trasmesse il 27 gennaio alle 21.00 sulla pagina Facebook del Conservatorio e su quella dell’Associazione Figli della Shoah. L’appuntamento verrà trasmesso anche in Tv alle 20.45 in una puntata monografica di “Visioni” su Rai 5. Per l’occasione si esibirà la Verdi Jazz Orchestra, diretta da Pino Jodice, mentre l’attore e musicista Peppe Servillo accompagnerà le musiche con la lettura di testi curati dallo storico Claudio Vercelli.  Dalle 8 del 27 gennaio, porte aperte digitalmente al Memoriale della Shoah del capoluogo lombardo. Dalla pagina Facebook della fondazione sarà possibile procedere per un tour virtuale nella storia del Memoriale. Alle 16, invece, in diretta su Instagram, alcune tra le 30 guide del Memoriale risponderanno a domande e curiosità, creando un dialogo con chi, da casa, vuole conoscere più da vicino il luogo simbolo delle deportazioni.

Le iniziative a Roma

Il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz: la storia

Anche la Comunità ebraica di Roma, per la Giornata della Memoria, ha preparato una serie di iniziative online per permettere a tutti di “incontrarsi”, seppur virtualmente (TUTTI GLI EVENTI A ROMA). La mattina del 27 gennaio l’appuntamento è sulla pagina Facebook della Comunità con un incontro con Sami Modiano, sopravvissuto ad Auschwitz, intervistato dalla presidente Ruth Dureghello: un evento indirizzato a tutte le scuole d’Italia che non potranno partecipare a iniziative in presenza. Si tratta di una conversazione intima, nella casa del sopravvissuto, sul significato della Memoria e sull’importanza della speranza al giorno d’oggi. Lunedì 25 gennaio alle ore 18 verrà proiettato, sulla pagina Facebook del Centro di Cultura Ebraica, il concerto-spettacolo “Un volo leggero… per rispondere con la vita” di Evelina Meghnagi e l’Ashira Ensemble. Realizzato grazie al contributo dell’Ambasciata tedesca, il concerto narrerà la storia di Theresienstadt attraverso ricordi, canti, parole, che a Terezin furono composti, scritti, cantati, anche dai bambini. A partire da martedì 26 gennaio alle ore 11, sarà disponibile sulla pagina Facebook della Comunità Ebraica di Roma il video “Le fonti e il metodo della ricerca sulle persecuzioni degli ebrei di Roma (1938-2944)” a cura di Amedeo Osti Guerrazzi, ricercatore della fondazione Museo della Shoah di Roma. Un breve documentario che racconta gli archivi romani più importanti per la ricerca sulla persecuzione antiebraica in Italia. Infine, lunedì 1 febbraio alle ore 18, in diretta streaming sulla pagina Facebook del Museo Ebraico di Roma, la direttrice Olga Melasecchi e Orietta Rossini, archeologa dell’Archivio Capitolino, dialogheranno sulla figura di Ludwig Pollak, il noto archeologo ebreo praghese la cui vita si concluse tragicamente con la deportazione del 16 ottobre 1943 e la morte nel campo di sterminio di Auschwitz.

Le iniziative a Torino

Fitto il programma a Torino realizzato dal Polo del ‘900 (TUTTI GLI EVENTI A TORINO). Il 26 gennaio alle 18 l’appuntamento è sui canali social del Polo con “Dai campi di calcio ad Auschwitz”. Si parte dal libro di Gianni Cerutti, “L’allenatore ad Auschwitz”, alla scoperta della vicenda umana di Árpád Weisz, uno dei più grandi allenatori degli anni Trenta, che per primo introdusse gli schemi nel calcio italiano. Poi l’espulsione dall’Italia, in seguito alle leggi razziali, e la tragica fine nel lager di Auschwitz. Il 27 gennaio, invece, si comincia con la tradizionale posa delle pietre d’inciampo, a cura del Museo Diffuso della Resistenza, a partire dalle 9.30 da parte della squadra tecnica del Comune. Nella stessa giornata verrà pubblicato un video riassuntivo delle pose sui canali social del Museo e del Polo del ‘900. La giornata continua con tanti appuntamenti tra cui il podcast “Il #poloèsempreonline per il Giorno della Memoria”: più voci per ripercorrere le vicende della persecuzione degli ebrei italiani, dalle leggi razziali al 1945 attraverso letture, testimonianze, musiche ed interventi autoriali a partire dal materiale d’archivio del Polo e dei suoi enti. Alle 18 alcuni ragazzi saranno protagonisti di “Adotta un negazionista”, diretta radiofonica su Tradi Radio organizzata dalla Rete Italiana di Cultura Popolare alla ricerca del significato della parola negazionista ieri e oggi

Le iniziative a Napoli

Il 27 gennaio alle 17.30, per la quinta edizione de “I Musei della Memoria, architetture che raccontano”, la Fondazione culturale Ezio De Felice presenta online l’incontro “I BBPR e il museo-monumento al deportato politico e razziale nei campi di sterminio nazisti di Carpi”. Sarà ospite d’eccezione Elena Montanari, autrice del libro “Permanenza e attualità. I BBPR e il Museo-Monumento di Carpi”. L’appuntamento si svolgerà sulla pagina Facebook della Fondazione. Alle 9, invece, sul canale youtube del CIRB sarà possibile partecipare al convegno dedicato al tema “I Giusti tra le Nazioni”.

L’evento agli Uffizi

Le Gallerie degli Uffizi di Firenze contribuiscono al Giorno della Memoria prendendo ispirazione dai settecento anni dalla morte di Dante con il tema “Terre di esilio, terre di confino”: la storia di donne e uomini che per dissidenza, per improvvisa disgrazia agli occhi del regime di turno, per mancato o cessato gradimento da parte del potere o del proprio microcosmo sono stati costretti a vivere (e spesso a morire) altrove. La Galleria propone una mattinata di studio, trasmessa sul profilo Facebook martedì 26 gennaio alle 9, cha va idealmente da Ovidio all’Olocausto, passando da Guinizzelli a Dante a Carlo Levi. Come sottofondo alle parole ci saranno le opere degli Uffizi, utili a comprendere l’intreccio fra memoria storica e memoria artistica.

Ma ora facciamo alcuni chiarimenti:

Perché si celebra il Giorno della Memoria?

Istituito anni fa, il Giorno della Memoria si celebra il 27 gennaio perché in questa data le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. Al di là di quel cancello, oltre la scritta «Arbeit macht frei» (Il lavoro rende liberi), apparve l’inferno. E il mondo vide allora per la prima volta da vicino quel che era successo, conobbe lo sterminio in tutta la sua realtà. Il Giorno della Memoria non è una mobilitazione collettiva per una solidarietà ormai inutile. È piuttosto, un atto di riconoscimento di questa storia: come se tutti, quest’oggi, ci affacciassimo dei cancelli di Auschwitz, a riconoscervi il male che è stato.

Che cosa è, che cosa rappresenta Auschwitz?

Auschwitz è il nome tedesco di Oswiecin, una cittadina situata nel sud della Polonia. Qui, a partire dalla metà del 1940, funzionò il più grande campo di sterminio di quella sofisticata «macchina» tedesca denominata «soluzione finale del problema ebraico». Auschwitz era una vera e propria metropoli della morte, composta da diversi campi – come Birkenau e Monowitz – ed estesa per chilometri. C’erano camere a gas e forni crematori, ma anche baracche dove i prigionieri lavoravano e soffrivano prima di venire avviati alla morte. Gli ebrei arrivavano in treni merci e, fatti scendere sulla cosiddetta «Judenrampe» (la rampa dei giudei) subivano una immediata selezione, che li portava quasi tutti direttamente alle «docce» (così i nazisti chiamavano le camere a gas). Solo ad Auschwitz sono stati uccisi quasi un milione e mezzo di ebrei.

Con il termine Shoah che cosa si definisce?

Shoah è una parola ebraica che significa «catastrofe», e ha sostituito il termine «olocausto» usato in precedenza per definire lo sterminio nazista, perché con il suo richiamo al sacrificio biblico, esso dava implicitamente un senso a questo evento e alla morte, invece insensata e incomprensibile, di sei milioni di persone. La Shoah è il frutto di un progetto d’eliminazione di massa che non ha precedenti, né paralleli: nel gennaio del 1942 la conferenza di Wansee approva il piano di «soluzione finale» del cosiddetto problema ebraico, che prevede l’estinzione di questo popolo dalla faccia della terra. Lo sterminio degli ebrei non ha una motivazione territoriale, non è determinato da ragioni espansionistiche o da una per quanto deviata strategia politica. È deciso sulla base del fatto che il popolo ebraico non merita di vivere. È una forma di razzismo radicale che vuole rendere il mondo «Judenfrei» («ripulito» dagli ebrei).

Quali sono gli antecedenti?

L’odio antisemita è un motivo conduttore del nazismo. La Germania vara nel 1935 a Norimberga una legislazione antiebraica che sancisce l’emarginazione. Tre anni dopo l’Italia approva anch’essa un complesso e aberrante sistema di «difesa della razza», rinchiudendo gli ebrei entro un rigido sistema di esclusione e separazione dal resto del paese. Ma questa terribile storia ha dei millenari precedenti. Prima dell’Emancipazione, ottenuta in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, gli ebrei erano vissuti per millenni come una minoranza appena tollerata, non di rado perseguitata e cacciata, e sempre relegata entro i ghetti. Tanto nel mondo cristiano quanto sotto l’Islam. Visti con diffidenza e odio per la loro fede tenace (e, dal punto di vista della maggioranza, sbagliata), hanno sempre rappresentato il «diverso», la presenza estranea. Anche se da millenni vivono qui e si sentono europei.

Perché la Shoah è un evento unico?

Dopo la Shoah è stato coniato il termine «genocidio». Purtroppo il mondo ne ha conosciuti tanti, e ancora troppi sono in corso sulla faccia della terra. Riconoscere delle differenze non significa stabilire delle gerarchie nel dolore: come dice un adagio ebraico «Chi uccide una vita, uccide il mondo intero». Ma mai, nella storia, s’è visto progettare a tavolino, con totale freddezza e determinazione, lo sterminio di un popolo. Studiando le possibili forme di eliminazione, le formule dei gas più letali ed «efficaci», allestendo i ghetti nelle città occupate, costruendo i campi, studiando una complessa logistica nei trasporti, e tanto altro. La soluzione finale non è stata solo un atto di inaudita violenza, ma soprattutto un progetto collettivo, un sistema di morte.

Perché ricordare e commemorare?

Il Giorno della Memoria non vuole misconoscere gli altri genocidi di cui l’umanità è stata capace, né sostenere un’assai poco ambita «superiorità» del dolore ebraico. Non è infatti, un omaggio alle vittime, ma una presa di coscienza collettiva del fatto che l’uomo è stato capace di questo. Non è la pietà per i morti ad animarlo, ma la consapevolezza di quel che è accaduto. Che non deve più accadere, ma che in un passato ancora molto vicino a noi, nella civile e illuminata Europa, milioni di persone hanno permesso che accadesse.

Ebbene, dopo questi doverosi chiarimenti siamo lieti di partecipare alle varie iniziative e Letteratitudi aderisce con un racconto breve di Matilde Maisto, tratto dal suo libro di poesie “Dal mio cuore al tuo”.

Si tratta di una storia vera che Matilde Maisto racconta con piacere ricordando l’evento realmente accaduto:

BETTINA & KATHARINA

(Una storia vera)

 Seduta su una comoda poltrona ed avvolta dal dolce tepore di uno scoppiettante fuoco nel caminetto della cucina, mi lasciavo cullare dalla coinvolgente storia che mi stava raccontando nonno Peppe. Un uomo ormai anziano, ma con una grande vitalità, fisico asciutto, baffetti accattivanti ed occhi che ti scrutavano e ti parlavano, sempre amabilmente, ma che sapevano toccare le corde giuste e leggere nel più profondo dell’anima. Io amavo nonno Peppe, lui era proprio una brava persona, con una moralità integra ed un cuore fiero, sincero e coraggioso. Avevo per lui una grande stima e, da lui, spesso traevo insegnamenti di vita.

La “Seconda guerra mondiale” – mi diceva in quell’occasione – è un nome che evoca, nelle persone che l’hanno vissuta, tanti ricordi: avevamo 17 e 15 anni quando ci siamo conosciuti ed innamorati Bettina ed io, proprio qualche anno prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.

Ma quando il conflitto si accese il nostro tenero amore diventò quasi impossibile perché sia Bettina che io dovemmo allontanarci dalle nostre case per raggiungere dei luoghi meno esposti ai bombardamenti e sfuggire, per quanto possibile, agli orrori della guerra, ed io poi, soprattutto, per non essere catturato dai tedeschi che rastrellavano giovani e uomini adulti per costringerli a lavorare in Germania.

Quel giorno – continuò – ero alla disperata ricerca di notizie della mia adorata Bettina, che era sfollata di notte con la sua famiglia senza lasciare alcuna informazione e senza neppure un saluto. Ero fuori di me dal dispiacere del distacco e vagavo per le strade senza una meta precisa quando, all’improvviso mi venne intimato l’ALT da parte di un giovane ufficiale del terzo Reich a bordo di un blindato che, con un tono autoritario, mi domandò, in uno stentato italiano: – Badoglio O Mussolini? – In quel momento non seppi dare una risposta concreta, vittima, come tutto il nostro paese, dell’incertezza legata anche alla meschina fuga del re Vittorio Emanuele III e del maresciallo Badoglio a Brindisi, e risposi semplicemente: – SONO ITALIANO… –

La mia risposta diede adito all’errata convinzione che io appoggiassi il sovrano e non il Duce, per cui l’ufficiale tedesco, sordo alla disperazione di mia madre che, giunta sul posto in quel momento, cadde disperata ai suoi piedi tentando di dissuaderlo da un epilogo già tristemente noto, ritenne opportuno portarmi con sé.

Da quel momento una lunga odissea mi attendeva. Fui portato ad Aversa, luogo di smistamento di tutti i rastrellati della regione. Dopo qualche giorno giunse l’emblema della deportazione di quegli anni: un macabro treno-merci in cui noi accampati, in condizioni di estrema precarietà, fummo costretti a salire e, dopo un lungo calvario, di venti giorni, arrivammo a Monaco di Baviera.

La mia destinazione fu, in un primo momento, il campo di smistamento di Dachau, situato nelle vicinanze del famoso lager. Sul portone d’ingresso del Campo c’era scritto “Il lavoro rende liberi”, in realtà noi malcapitati ci sentivamo avviliti e resi schiavi. Inoltre con l’inverno alle porte il gelo non tardò ad arrivare e noi deportati fummo costretti a patire il freddo intenso, restando assiderati per la mancanza di indumenti adeguati e vivendo in misere baracche diroccate.

La fame fu la nostra compagna quotidiana, e non solo, infatti: malattie, sfruttamento, torture e feroci esecuzioni erano sempre in agguato, tanto che il numero dei deceduti aumentò vorticosamente.

In seguito fui spostato e la seconda tappa fu il lager di Graz, città nel Land austriaco. Qui il luogo era assolutamente desolante, privo di qualsivoglia vitalità: baracche spoglie e rudimentali, con giacigli per la notte senza nemmeno un po’ di pagliericcio.

All’interno del Lager la vita era durissima, si viveva in modo precario e si lavorava senza un attimo di riposo. Tuttavia, nonostante la mia disgrazia, col tempo, riuscii a farmi benvolere dal Lagerfuhre, la più alta autorità all’interno del campo. Infatti, grazie alla mia intuizione di mostrarmi sempre docile e dandomi da fare con favori ai superiori, lavoretti subordinati, ottenni in cambio un trattamento migliore. In questo modo potei rendere la vita nel campo meno amara, ottenendo anche degli speciali permessi di poche ore, e così, mi fu possibile, finalmente, recarmi in città.

Una sera, il Lagerfuhre, diventato ormai un mio buon amico, mi invitò a cena a casa sua con la sua famiglia. Fu proprio in quell’occasione che conobbi Katharina, la sua giovane figlia. Pensando a lei, nonno Peppe, respirò profondamente e rimase per un attimo in silenzio. Poi disse – era bella Katharina, aveva lunghi capelli biondi e due occhi azzurri, come il mare. La sua bellezza e la sua innata eleganza mi conquistarono al primo sguardo, fu un amore a prima vista e la mia gioia raggiunse il culmine quando compresi che lei ricambiava il mio sentimento in egual misura. I nostri cuori battevano all’unisono con il fervore di due giovani ragazzi coinvolti in un improvviso moto dell’animo che, acceso da una passione violenta e dolcissima, determinò la mia volontà e mi spinse ad agire senza dar tempo alla riflessione.

Quelli che seguirono furono i più bei giorni della mia vita. Katharina ed io ci amavamo senza riserve e sembrava che niente e nessuno potesse cambiare quella fantastica realtà. Bettina era troppo lontana ed anche il ricordo di lei diventava sempre più labile, capivo che il sentimento che mi aveva legato a lei non era così forte come quello che provavo per Katharina. Il mio cuore mi portò a vivere pienamente  il mio nuovo e grande amore e fui completamente conquistato dalla mia nuova vita. Katharina mi dava mille emozioni esaltanti, con lei ebbi anche l’esperienza di trascorrere delle serate a teatro, rapito e trasportato in un mondo fantastico dalla musica di Strauss. Dico questo per far comprendere come per un giovane di provincia come me, quelle siano rimaste le esperienze più incantevoli della vita.

Ma poi giunse quel fatidico 8 maggio 1945, allorchè gli esponenti della Suprema Autorità dell’Alto Comando Tedesco (VON FRIEDEBURG ,KEITEL, STUMPF), dichiararono  al Comandante Supremo delle Forze Alleate e contemporaneamente al Comando Supremo dell’Armata Rossa, la resa incondizionata di tutte le forze armate di terra, di mare e dell’aria che a quella data erano sotto il controllo tedesco.

Fu così che i deportati ebbero la possibilità di iniziare la loro nuova odissea, ma questa volta si trattava del viaggio di ritorno verso casa… il viaggio verso la libertà.

Per me la nuova situazione fu assolutamente devastante: da una parte c’era Katharina, il vero amore della mia vita, dall’altra la libertà, il ritorno in Patria e Bettina, la piccola Bettina che, ero certo, mi attendeva con devozione. Questo dualismo mi consumava, non mi faceva dormire la notte, mi dava una grande sofferenza fisica…Pensavo:  avrei potuto proporre a Katharina di venire con me, in fondo qualcuno aveva già agito in questo modo! Ma poi che cosa ne sarebbe stato di Bettina? E della mia moralità? Della mia parola di uomo onesto? Ma forse essermi innamorato di Katharina mi rendeva un uomo disonesto? E Katharina mi amava al punto di lasciare la sua vita e venire con me? Mille pensieri turbinavano nella mia testa, ero in preda ad una disperazione infinita, ma alla fine anche se il mio cuore continuava a battere forte per Katharina decisi di partire, ben conscio che non smettevo d’amarla solo perché me ne andavo, non si può smettere d’amare, così come non si può smettere di vivere, forse ci si abitua piano, piano ad allontanarsi dall’abitudine e si ricomincia da zero. Così tentai di dirle, ma l’ultima immagine che mi rimane è Katharina che scappa via piangendo!

Tuttavia il triste addio mi diede un rinnovato vigore, ora non potevo più indugiare, Bettina mi amava, mi aspettava, aveva fiducia in me, io non potevo deludere le sue aspettative e, poi c’era mia madre, piegata dai sacrifici e dal dolore di avermi perso. La immaginavo china a raccogliere pomodori o spighe di grano, con il suo solito foulard scuro sulla testa, in vita solo per riabbracciare me.

Alla fine, quindi, mi aggregai ad un gruppo di uomini ed in treno da Graz, raggiungemmo il confine italiano, poi a piedi sino ad Udine in compagnia di un giovane tenente meridionale. Il nostro viaggio non fu semplice, eravamo due reduci stanchi ed affamati, costretti a camminare nascondendoci dalle rappresaglie dei soldati tedeschi che nel nord dell’Italia vivevano ancora “l’ultimo canto del cigno”. Tuttavia noi, sentendo vicina la fine dell’incubo, continuammo a camminare fino a quando non fummo fermati da alcuni soldati polacchi, i quali ci accompagnarono fino ad Ancona. Appena arrivati i carabinieri del posto ci munirono della famosa tessera, essenziale per accedere alle razioni di cibo previsto e, oltre a questo regolare sussidio riservato ai prigionieri di guerra, l’Arma dei Carabinieri si impegnò anche a pagarci il biglietto ferroviaro da Ancona a Roma. Poi da lì, nascosti in un treno merci noi due poveri compagni di sventura ed avventura, esausti, laceri, sfiniti arrivammo a Caserta. Qui le nostre strade si divisero. Il mio amico proseguì per Napoli mentre io tramite una vecchia e malandata corriera raggiunsi la mia città natale: Cancello ed Arnone.

Fu solo allora che realizzai di essere ormai salvo, pensai a Katharina, il mio perduto amore e, con la mente ormai rivolta al mio presente, ebbi la netta sensazione che il suo bellissimo amore mi avrebbe accompagnato tutta la vita come il mio sogno più bello, ma ora la realtà era un’altra, ed ecco vidi da lontano Bettina che correva con le braccia tese verso di me, dietro di lei mia madre, con un passo più lento, ma sorridente e felice mi veniva incontro. In quel momento pensai nuovamente a Katharina ed in cuor mio dissi: TI AMO KATHARINA… MA TI DICO ADDIO!

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