Grande serata di “Letteratitudini” con l’esperto di letteratura giovanile Arkin Jasufi
Cancello ed Arnone (Matilde Maisto) – Per la seconda volta il relatore dell’incontro, Arkin Jasufi, ha saputo destare molto interesse nei partecipanti che si sono appassionati alle vicende giovanili, ai loro amori, alle loro incoerenze ed anche, a volte , alle loro superficialità, che però vanno sempre interpretate come un segno di insofferenza, di malessere sociale, soprattutto un disagio morale che cammina di pari passo con la loro crescita fisica ed emotiva.
Ovviamente c’è stata una particolare attenzione per il romanzo di John Green “Colpa delle stelle”, che come sappiamo, parla di Hazel che ha sedici anni, ma ha già alle spalle un vero miracolo: grazie a un farmaco sperimentale, la malattia che anni prima le hanno diagnosticato è ora in regressione. Ha però anche imparato che i miracoli si pagano: mentre lei rimbalzava tra corse in ospedale e lunghe degenze, il mondo correva veloce, lasciandola indietro, sola e fuori sincrono rispetto alle sue coetanee.
Il romanzo inizia con il racconto di Hazel che viene costretta, dalla madre e dal suo dottore di base, a partecipare ad un gruppo di supporto contro la depressione per ragazzi malati di tumore. Lì conoscerà altri ragazzi nelle sue stesse condizioni, tra loro spicca Isaac, a cui da bambino è stato rimosso un occhio a causa di un tumore particolarmente raro. Lui e Hazel sembrano condividere la loro esperienza in quel gruppo improbabile di malati cronici tramite i sospiri e le occhiate mentre gli altri ragazzi raccontano le loro esperienze sul continuare a sopravvivere.
Hazel è una protagonista spigliata e irriverente, di quelle che ti lasciano un sorriso sulle labbra nonostante tutti i drammi che debba sopportare.
Il gruppo rappresenta un luogo dove poter stringere amicizie con altre persone che si trovano o si sono trovate in una situzione simile alla tua, ma non è un romanzo edulcorato purtroppo come nella vita reale non tutti sopravvivono alla lotta.
L’altro protagonista è Augustus, che parteciperà ad una seduta per sostenere l’amico Isaac a cui dovranno asportare l’occhio buono perché il cancro si è ripresentato, ma neanche lui è immune a questo male che l’ha colpito qualche anno prima con un cancro alle ossa ed ha dovuto subire l’amputazione di una gamba.
“«Letteralmente?» ho chiesto. «Siamo letteralmente nel cuore di Gesù» ha detto.
«Pensavo che fossimo nel seminterrato di una chiesa, ma siamo letteralmente nel cuore di Gesù.»
«Qualcuno dovrebbe dirglielo, a Gesù» ho fatto io. «Dev’essere un bel rischio per Lui tenere nel cuore dei ragazzini malati di cancro.»
«Glielo direi io» ha ribattuto Augustus, «ma si dà il caso che sia letteralmente incastrato dentro il Suo cuore, per cui non mi sentirebbe.»
Ho riso. Lui ha scosso la testa e mi ha guardato.”
Tra i tre ragazzi nasce una vera amicizia, in particolare tra Hazel e Augustus, che si ritroveranno ad affrontare insieme le difficoltà.
Il tumore ha bloccato questi ragazzi e nonostante abbiano amici sani, con loro, la comunicazione resta in parte frenata, poiché non fanno più parte di quel mondo in cui il futuro è un dato di fatto; questi ragazzi devono lottare ogni giorno per avere un’occasione di andare avanti, non lasciandosi abbattere dalle cure, dolorosissime già per un adulto.
La malattia li lega in modo indissolubile perché loro sanno ciò che si passa e non hanno bisogno di dare futili spiegazioni.
Augustus ama le metafore, non ha ancora la patente di guida nonostante i suoi diciasette anni, va a scuola e gioca spesso e volentieri ai videogiochi con Isaac.
“«Non ti uccidono, se non le accendi» ha detto mentre la mamma fermava l’auto praticamente attaccata al cordolo. «E non ne ho mai accesa una. È una metafora, sai: ti metti la cosa che uccide fra i denti, ma non le dai il potere di farlo.»
«È una metafora» ho detto, dubbiosa. La mamma temporeggiava.
«Proprio così, una metafora» ha detto lui.
«E quindi tu ti comporteresti in un modo rispetto a un altro sulla base delle risonanze metaforiche…» ho detto.
«Oh, sì.» Ha sorriso. Il suo sorriso largo, quello vero, quello buffo. «Sono un devoto credente nella metafora, Hazel Grace.»”
Particolare sarà il rapporto che si creerà tra Hazel, Augustus e l’autore Van Houten.
Dato che Van Houten lascia il suo libro – “Un’imperiale afflizione” – incompiuto, per chissà quale motivo, sia Hazel, che successivamente Augustus, si interrogano su quale sia il “vero finale” del romanzo, tanto da far desiderare ai due ragazzi di intraprendere un viaggio intercontinentale per trovare le risposte alle loro domande.
Molte volte, noi lettori, idealizziamo i nostri scrittori, coloro che attraverso le loro parole sono stati capaci di farci provare sentimenti ed emozioni vere, credendo che loro sapranno darci tutte le risposte e immaginando che una persona che ti faccia provare tutte queste sensazioni grazie alla scrittura, sia una persona degna di tale nome. Idealizziamo anche i personaggi da loro creati, credendo che l’unica persona che possa dare un lieto fine ai protagonisti sia lo scrittore, ma ci sbagliamo.
Purtroppo questo non accade per Hazel ed Agustus in quanto scoprono che Van Houten è un uomo alcolizzato ed incapace di dare risposte. Tuttavia il viaggio ad Amsterdam dei due protagonist, si rivela magico per il loro dolcissimo amore ed i due vivono un’esperienza bellissima ed indimenticabile.
Poi ritornano a casa ed Hazel ha una ricaduta, tutti pensano di perderla, compreso Augustus che non parla, invece, della sua ricaduta, che lo porterà alla morte.
Hazel rimane sola, ma riceverà una lettera scritta da Augustus a Van Houten nella quale egli dice:
– “Van Houten, io sono una persona buona ma uno scrittore di merda. Lei è una persona di merda ma un buon scrittore. Insieme faremmo una grande squadra. Non voglio chiederle favori, ma se ha tempo – e da quello che ho visto ne ha un sacco – mi chiedevo se potesse scrivere un discorso funebre per Hazel. Ho tutti gli appunti, ma sarei felice se lei potesse farli diventare un discorso coerente, o anche solo indicarmi che cosa dovrei dire in un altro modo. Con Hazel le cose stanno così: quasi tutti sono ossessionati dal pensiero di lasciare un segno nel mondo. Di tramandare qualcosa. Di soprovvivere alla morte. Tutti vogliamo essere ricordati. Anch’io. Questo è ciò che più mi disturba, essere un’altra immemorata vittima dell’antica e ingloriosa guerra contro la malattia. Io voglio lasciare un segno. Ma Van Houten, i segni che gli umani lasciano troppo spesso sono cicatrici. Costruisci un negozio orrendo, o fai un colpo di stato, o provi a diventare una rockstar e pensi: “Adesso sì che si ricorderanno di me” ma non si ricordano di te, e tutto quello che ti lasci alle spalle sono altre cicatrici. Il tuo colpo di stato si trasforma in dittatura. Il tuo negozio distrugge il paesaggio. Siamo come un branco di cani che pisciano sugli idranti. Avveleniamo l’acqua di fonte con la nostra piscia tossica, segnando ogni cosa come MIA nel ridicolo tentativo di sopravvivere alla nostra morte. Io non riesco a smettere di pisciare sugli idranti.. So che è sciocco e inutile, ma sono un animale come chiunque altro. Hazel è diversa. Lei cammina leggera, vecchio mio. Lei cammina con passo leggero sulla terra. Hazel conosce la verità: la probabilità che abbiamo di ferire l’universo è pari a quella che abbiamo di aiutarlo, ed è molto probabile che non faremo nè l’una, nè l’altra cosa. La gente dirà che è una cosa triste lasciare una cicatrice più piccola, che saranno in pochi a ricordarla, che sarà stata amata in modo profondo, ma non a vasto raggio. Ma non è triste, Van Houten. E’ magnifico. E’ eroico. Non è questo il vero eroismo? Come dicono i medici: primo, non fare del male. I veri eroi comunque non sono quelli che fanno le cose; i veri eroi sono quelli che NOTANO le cose, quelli che prestano attenzione. Dopo che la mia PET si è illuminata tutta, mi sono intrufolato nel reparto di terapia intensiva e l’ho vista mentre era priva di sensi. Aveva quest’acqua scura cangerogena che le usciva dal torace. Gli occhi chiusi. Era intubata. Ma la sua mano era ancora la sua mano, ancora calda, con le unghie dipinte ed io l’ho tenuta stretta e ho cercato di immaginare il mondo senza di noi e per circa un secondo sono stata una persona abbastanza buona da sperare che morisse in modo da non dover scoprire che stavo per morire anch’io. Ma poi ho chiesto più tempo per poterci innamorare. Il mio desiderio è stato realizzato, suppongo. E le ho lasciato la mia cicatrice. Ma cos’altro dire? E’ così bella. Non ti stanchi mai di guardarla. Non ti preoccupi se è più intelligente di te: lo sai che lo è. E’ divertente senza essere mai cattiva. Io l’amo. Sono così fortunato ad amarla. Non puoi scegliere di essere ferito in questo mondo, vecchio mio, ma hai qualche possibilità di scegliere da chi farti ferire. A me piacciono le mie scelte: Spero che a lei piacciono le sue. –
Un romanzo veramente bellissimo che suggeriamo di leggere sia ai giovani che ai meno giovani.
Naturalmente la serata si è conclusa con il tradizionale brindisi di Buone Feste con l’appuntamento al 2016.
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