IL MALE AMERICANO

PROLOGO

Nel secolo scorso, agli inizi degli anni ottanta, vi erano tre primarie compagnie aeree che effettuavano voli diretti tra New York e Roma: Alitalia, Pan Am e TWA. Un nostro connazionale, che lavorava in un ristorante, dovendo rientrare con una certa urgenza, si recò nella più vicina agenzia di viaggi e chiese di mostrargli i voli per Roma in partenza nei due giorni successivi, al fine di effettuare la scelta più conveniente per lui. Dopo pochi minuti la solerte impiegata gli consegnò la lista e nel leggerla per poco non gli venne un colpo: da quanto tempo le compagnie che di solito effettuavano voli interni si erano spostate sulle rotte internazionali, praticando prezzi così vantaggiosi da consentirgli almeno due scappatelle mensili nella madrepatria? E dove erano finiti i voli delle compagnie primarie? Ripresosi dallo stupore, guardò con maggiore attenzione e si rese conto, dalla durata del volo, che la lista conteneva un errore madornale: per l’impiegata “ROME” non era la capitale d’Italia ma la piccola cittadina di trentamila abitanti, nello stato della Georgia, distante poco più di mille chilometri da New York.  È  solo un esempio eclatante, tra le migliaia disponibili, che riguardano anche personaggi importanti, a partire dai presidenti, le cui gaffes, geografiche e non solo, riempiono abbastanza spesso le pagine dei giornali.  Una recente ricerca effettuata da “Jetcost”, potente motore di ricerca per reperire tariffe aeree, offre un quadro abbastanza realistico di come gli statunitensi conoscano il resto del mondo. Per il 51%  il termine “Australasia” è solo sinonimo di Australia; per il 45% l’Africa è uno stato; con percentuali progressivamente inferiori, ma solo leggermente: il Polo Nord non esiste, occorrono 18 ore di volo da New York a Londra, la Scozia è in Ecuador, la Francia fa parte del regno Unito, in Portogallo si parla spagnolo, il Papa è il capo dello Stato in Italia, i confini del Giappone sono protetti dalla “Grande Muraglia Giapponese”, le Filippine appartengono alla Cina, l’Islanda è disabitata a causa del freddo, Cipro è la capitale del Messico e, dulcis in fundo, per il 5% la Terra è piatta. Tanto per non farsi mancare nulla, poi, a seguito della crisi pandemica, la società messicana che produce la birra “CORONA” ha registrato un repentino calo delle vendite negli USA e il titolo azionario ha perso l’8% alla borsa di New York: per tanti statunitensi la birra è in qualche modo corresponsabile della diffusione del CORONA-VIRUS. Questi dati, ai quali si dovrebbero sommare quelli afferenti alla “cultura generale” e alla conoscenza della storia, servono a inquadrare il livello medio della popolazione USA e a meglio comprendere le profonde distonie sociali esistenti nel Paese. I cittadini statunitensi sono, allo stesso tempo, vittime di un sistema malato e colpevoli, perché quel sistema prospera proprio grazie a loro: ignoranza e superficialità comportamentali sono sempre pessimi consiglieri. Per le cause recondite del disarmonico e controverso sviluppo della società americana si rimanda a un articolo pubblicato nel numero 48 di “CONFINI”, ottobre 2016: “Bye Bye American Dream” (www.issuu.com/confini/docs/confini48 – pag. 28). In questo contesto analizziamo cosa stia rappresentando, per gli USA, la crisi scaturita dalla pandemia in atto.

LE FALLE DEL SISTEMA

Il razzismo negli USA è un dato di fatto che riguarda, sia pure con diversa intensità, tutti gli stati. Le minoranze etniche non sono viste di buon occhio, soprattutto nel sud. Hanno destato molto scalpore, per esempio, le parole di Jerome Adams, il capo dei servizi sanitari, che in una recente intervista ha esortato le persone di colore e i latini a evitare alcool, tabacco e droghe per bloccare la diffusione del Covid-19. Quasi come se le forme di dipendenza e i comportamenti negativi riguardassero solo loro. La realtà, in effetti, è ben diversa: la pandemia, erroneamente da tanti considerata “livellatrice”, sta mietendo senz’altro più vittime nella comunità afro-americana, ma non certo a causa degli abusi denunciati da Adams. Negli USA la sanità è nelle mani dei privati, ha costi molto alti e chi non possa sottoscrivere onerose assicurazioni corre seri rischi di non essere curato. Ha fatto il giro del mondo la notizia del giovane Osmel Martinez Azcue, residente a Miami: a metà febbraio ha ritenuto di recarsi in ospedale per sottoporsi al test per il Covid-19,  a causa dei sintomi influenzali insorti dopo poche settimane da un viaggio in Cina. I medici gli hanno prescritto la Tac, rifiutata per ridurre gli oneri a suo carico, essendo titolare di una polizza assicurativa con copertura parziale delle spese sanitarie. Gli è stato effettuato, pertanto, il test antinfluenzale, che fortunatamente ha sortito esito negativo, scongiurando il suo timore primario: costituire un pericolo per chiunque fosse venuto in contatto con lui. Poche settimane dopo, però, gli è giunta la fattura dall’ospedale: la quota a suo carico, per il semplice test, era di ben 3.270 USD (figuriamoci se avesse fatto la TAC!). È ben evidente come siffatti oneri possano tenere lontano dagli ospedali una fetta consistente della popolazione, gran parte  della quale non gode di assistenza sanitaria che, come anticipato, è di tipo assicurativo privatistico. I programmi di assistenza pubblica sono due: “Medicare” (che riguarda solo le persone sopra i 65 anni) e “Medicaid”, gestito dai singoli stati e parzialmente coperto da contributi federali, che però riguarda solo le fasce di popolazione a basso reddito. Restano senza alcuna forma di assistenza circa 28 milioni di cittadini, per lo più afro americani e immigrati irregolari. Una vera bomba, che ha gettato lo scompiglio negli ambienti sanitari, perché la mancata prevenzione e cura del Covid-19 potrebbe generare effetti letali sull’intera popolazione. Ad aggravare un problema già di per sé tragico, si aggiunge una buona fetta di lavoratori che non hanno diritto al congedo per malattia: il 30% di chi operi in taluni settori specifici (vendita al dettaglio, commercio di cibo e bevande, settore alberghiero)  e il 69% dei lavoratori con salario minimo. È lecito ritenere, quindi, come di fatto sta accadendo, che i cittadini non assicurati, seppur contagiati e sintomatici, continueranno a lavorare, pur di non rinunciare al salario, e affolleranno i pronto soccorso quando il loro stato di salute diventerà particolarmente grave.

L’APPROCCIO ALLA VITA

Un aspetto molto importante da considerare, inoltre, riguarda diffuse metodiche comportamentali protese a banalizzare o eludere tutto ciò che possa costituire un fastidio per l’american way of life. In nessun paese come negli USA è il dio denaro che conta e viene rispettato: poveri, vecchi, ammalati, sono un impedimento a quei principi che vedono nell’appagamento materiale il massimo della soddisfazione. Il sacrificio per prendersi cura di chi ne abbia bisogno, rinunciando a un pizzico di autonomia o di libertà, anche all’interno delle famiglie, è inconcepibile. Per le persone anziane non autosufficienti restano solo le case di riposo, anche quando quelle dei loro figli potrebbero accoglierle agevolmente. Le persone ammalate e non produttive infastidiscono, perché minano la serenità della famiglia  media, non importa se conquistata con massicce dosi di ansiolitici, antidepressivi e frequenti sbornie. Un cinismo che assume forme diverse a seconda del ruolo ricoperto nella società. Ha lasciato sgomenti noi europei, per esempio, il comportamento dei vertici della Marina militare che, verso la fine di marzo, hanno rimosso il comandante della portaerei nucleare “Roosevelt”, capitano Brett Crozier, colpevole di aver chiesto lo sbarco dei circa duecento marinai colpiti dal Covid-19, al fine di evitare ulteriori contagi. “Una nave da guerra non si ferma mai e il comandante ha dimostrato mancanza di professionalità” è stato il gelido e assurdo commento alla vicenda. (E’ di queste ore la notizia, tuttavia, che i vertici della Marina, anche in virtù delle pressioni esterne, stiano valutando la possibilità di reintegrarlo nel ruolo: Crozier viene considerato un vero eroe dal suo equipaggio per aver messo le loro vite al di sopra della sua carriera).  Milioni di cittadini, poi, si sono precipitati ad acquistare armi di ogni tipo per difendersi da possibili attacchi, effettuati chissà da chi. Forse temono che possano mancare i beni di prima necessità, considerato anche il repentino e insulso svuotamento dei supermercati, e si preparano a sparare addosso a chiunque tenti di avvicinarsi alle proprie abitazioni. Si muore anche per queste distonie dell’essere, negli USA, non solo per l’inefficienza del sistema sanitario.

EUROPEI E STATUNITENSI

Gli europei possono e devono andare in soccorso degli statunitensi: i consolidati usi e costumi, in ogni campo, sono una minaccia per loro e per il mondo intero. Solo con il cibo sprecato ogni giorno si potrebbe sfamare mezzo  pianeta e non è certo edificante il consumo smodato di alcool, il mancato rispetto dell’ambiente, l’esacerbata competitività sociale senza riguardo per chi resti indietro. Malanni di una società che, oramai, più che afflitta dai guasti del capitalismo, è scivolata profondamente nella palude rappresentata dalla “degenerazione” di un sistema economico già di per sé marcio. Che cosa possiamo fare noi europei per indurli a una efficace catartica palingenesi? Molto.

Innanzitutto dobbiamo smettere di scimmiottarli, mutuando nel nostro continente il pattume da loro partorito, considerandolo oro. Sono nostri alleati, vi sono strette relazioni economiche e sociali, ospitiamo le loro basi e, al netto dei contrasti che afferiscono a contingenze momentanee dovute alle iniziative dei potenti di turno, nessuno vuole incrinare questi rapporti o trasformarli in aperta conflittualità: dopo tutto la stragrande maggioranza ha radici europee. Deve solo cambiare quell’approccio che da sempre consente loro di assumere fastidiosi atteggiamenti di superiorità. La si smetta, quindi, con le sviolinate, gli apprezzamenti (ipocriti o sinceri che fossero), la compiacenza, l’accettazione talvolta faticosa delle malsane abitudini: tutte cose che scambiano per manifestazioni di sudditanza. Già si sentono i padroni del mondo, se poi diamo loro troppo brodo, è chiaro che si esaltino. Quando i registi inseriscono nei film gli stupidi e ridicoli stereotipi, lontani mille miglia dalla realtà, con quella micidiale arma che si chiama ironia, li si metta a posto utilizzando ogni mezzo possibile, senza però fare i lagnosi e i risentiti: ironia, understatement e colpi di fioretto ben assestati. Molti italiani si sono esaltati quando lo stupendo film di Paolo Sorrentino, “La grande bellezza”, conquistò il premio Oscar e il Golden Globe, senza rendersi conto che agli statunitensi non era piaciuto per le peculiarità della sceneggiatura, l’eccelsa interpretazione di bravi attori, a cominciare da Toni Servillo, e il tocco magico inferto dalla bravura del regista, bensì perché nella trama avevano riscontrato gran parte degli stupidi stereotipi che caratterizzano la loro limitata e contorta visione del nostro Paese. Nelle relazioni interpersonali si manifesti personalità, carattere, padronanza di sé e si faccia sempre trasparire  il presupposto che siamo noi europei ad avere la vista lunga su ogni cosa, mentre loro, purtroppo, si tirano la zappa sui piedi perché non sanno discernere il grano dal loglio: si calchi su questo dato per farli andare in bestia, aiutandoli, in tal modo, a destrutturare il loro malato ego. Non a caso scrivo queste cose. Per ragioni di lavoro e non solo ho avuto molte relazioni con cittadini statunitensi e non ho mai consentito che spadroneggiassero, come di solito fanno, grazie all’altrui compiacenza. In Italia, al ristorante, se chiedono di mettere il parmigiano grattugiato sulla pizza, senza indugio si dica che non è possibile, perché quel gesto infastidirebbe gli altri commensali e metterebbe in imbarazzo il personale. “Ma come, che c’è di male a mettere il parmigiano sulla pizza?” “Tutto. È una cosa che qui è considerata riprovevole e non si può fare. Mi dispiace”. Se la stessa cosa accade negli USA non sarà possibile impedirlo, ma non si perda occasione per deriderli. Dopo una bistecca di settecento grammi chiedono una frittura di pesce? “Ma che sei pazzo? Guarda che se chiedi una cosa del genere ci arrestano tutti”, si replichi sorridendo, ma in modo determinato, impedendo “assolutamente” che la richiesta venga effettuata, per evitare “brutte figure”, anche se dovessero essere loro a pagare il conto.  Nelle riunioni di lavoro si obietti con calma, ma con determinazione, ai diversi punti di vista ritenuti fallaci. A battute sagaci si risponda con maggiore sagacia, senza mai tradire agitazione: “Amico mio, apprezzo il tuo impegno, ma prima che le tue idee possano trovare pratica applicazione, sostituendo le mie, devi nascere due volte, senza che rinasca io.  Ora non ho tempo per farti comprendere tutte le falle, ma ne riparleremo senz’altro. Intanto procediamo con quanto esposto perché il tempo stringe e maiora premunt”. Non si perda mai l’occasione per una citazione latina! I concetti esposti sono chiari e applicabili in ogni contesto. Se si vuole esagerare, poi, li si porti in un bar per un caffè, strizzando l’occhio al cameriere  amico, che capirà al volo e la tazzina, già solitamente bollente in modo insopportabile per loro, lo sarà ancor di più: lo spasso è assicurato perché non riusciranno mai a mantenere la tazzina tra le dita e accostarla alle labbra, mentre si chiedono a bocca aperta come facciano tutti gli altri a sorseggiare serenamente il caffè. Assolutamente non si consenta loro di chiedere la tazza fredda, “vietata per ragioni d’igiene” e li si esorti a bere senza dare peso alla sensazione di scottatura: “Vedrai – diremo sorridendo – dopo un paio di volte non ci farai più caso”. Sanno bene che non ci riusciranno mai e anche siffatti episodi, generando frustrazione, risulteranno positivi perché li aiuteranno ad abbassare la cresta.  In genere s’infastidiscono perché sono abituati a fare quello che vogliono, quando vogliono, soprattutto all’estero. Ribaltare tutto questo è un modo eccellente per ridimensionarli. Si parli di storia e si critichino senza mezzi termini usi e costumi, spiegando che è pazzesco mantenere nella costituzione un emendamento che consenta il libero acquisto delle armi e lasciare l’aria condizionata accesa durante il week-end perché non possono permettersi di aspettare i cinque minuti che servono, al rientro, per rinfrescare la casa.  E soprattutto si faccia comprendere che la vita umana non ha prezzo e che con i soldi che spendono per psicanalisti e psicofarmaci, oltre a quelli che sprecano in modo insulso, potrebbero fare tanto bene a chi ne abbia bisogno.

Facciamoli sentire piccoli piccoli. Noi siamo europei. Scanniamoci pure tra noi, se proprio è necessario, ma non dimentichiamo mai che al cospetto degli altri abbiamo un solo ruolo da svolgere: quello dei maestri.

CHE LA PANDEMIA SERVA DA LEZIONE

Alla data odierna negli USA si registrano oltre settecentomila contagi e circa 38mila decessi. Il presidente Trump, con l’ennesima estemporanea e bislacca decisione, ha scaricato tutta la responsabilità sull’OMS, che a suo dire “avrebbe fallito nell’ottenere tempestive informazioni sul coronavirus, gestito male e insabbiato la diffusione del virus”, tagliando di getto i finanziamenti. Come noto, già all’inizio della pandemia, Trump, emulando l’amico Boris Jhonson, chiese al suo consigliere immunologo Anthony Fauci se riteneva plausibile lasciare inondare il paese dal virus, per favorire l’immunità di gregge. “Signor presidente, morirebbe moltissima gente”, fu la risposta del principale esperto di malattie infettive della nazione, che per fortuna riuscì a farsi ascoltare. Nei miei colloqui con molti amici statunitensi, sempre all’inizio della pandemia, ho registrato all’unanimità la sottovalutazione del problema, il convincimento che tutto sarebbe terminato nel giro di un paio di settimane, che il paese non si doveva fermare, che gli allarmisti erano tutti degli imbecilli che non capivano nulla, che il covid-19 era una  normale febbre come tante altre, etc. etc. Queste stesse persone, ora, sono barricate in casa e hanno radicalmente mutato il loro pensiero in merito alla pandemia. Ho detto loro che le vittime sono davvero tante e che se si vuole davvero onorarle e far sì che la loro morte non risulti vana devono cambiare una volta per tutte modo di pensare e di agire, adoperandosi con ogni mezzo possibile affinché negli USA si creino presupposti di civiltà in virtù dei quali, prima di qualsiasi cosa, nessuno debba restare senza la possibilità di curare se stesso o un familiare.  Il sospetto che restino parole al vento, però, è forte, ma prima o poi mi dovrà pur capitare di vedere il pessimismo dell’intelligenza soppiantato dall’ottimismo della volontà.

                                                                     Lino Lavorgna

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