Il Volturno, l’amico ammalato!

Cancello ed Arnone (Matilde Maisto) – Sappiamo che, nel corso dei secoli, le civiltà sorte lungo i corsi dei fiumi si sono sviluppate enormemente e, grazie al clima, all’acqua e alla terra fertile hanno favorito lo sviluppo delle coltivazioni e la nascita di civiltà prevalentemente agricole.

Quante volte in particolari occasioni ci si è ritrovati tutti, giovani e meno giovani, accanto al camino a raccontare le storie più varie proprio sul fiume Volturno e soprattutto del rapporto che, in passato, con esso hanno avuto i nostri antenati cancelloarnonesi e quelli dei paesi limitrofi.
Da molte fonti si evince che la vita di gran parte dei nostri nonni si sia svolta lungo le rive del fiume, un fiume oggi tanto sottovalutato e del tutto inutilizzato. Quanta tristezza!

Ai tempi, lungo il fiume si recavano le lavandaie che non solo mancavano di lavatrice ma neppure avevano l’acqua poiché la rete idrica era inesistente e, perciò nelle abitazioni non c’era acqua corrente; ognuno tutt’al più aveva il suo pozzo o, più spesso, una cisterna per raccogliere l’acqua piovana.

Le massaie, quindi, si recavano a lavare i panni nel Volturno, sceglievano i posti in cui c’erano belle e grandi pietre che facevano da “lavaturo”, portavano con sé pentoloni di rame, detti “caurari” utili nella fase del risciacquo e si munivano generalmente di “luscia” ossia di un miscuglio di cenere e acqua che sostituiva gli odierni e più nocivi detersivi, con cui le lavandaie pulivano e profumavano lenzuola e biancheria. Erano proprio queste donne a dar vita al fiume con le loro voci e con i loro canti, da una sponda all’altra, ognuno mantenendo sempre il proprio posto, modificazioni permettendo… E già, perché il Volturno, da sempre soggetto a piene improvvise, spesso modificava gli argini costringendo le donne e quanti abitavano le sue rive, a trovare sempre nuovi, comodi posti dove sistemarsi per le faccende quotidiane.

Immagino queste donne di buon mattino scendere verso il fiume, quel fiume e le sue rive che nella mia mente somigliano ad un cantiere, con un brulichio di persone, di voci, di colori, di canti, di scrosci d’acqua, di profumo di biancheria appena lavata…
Scene d’altri tempi che, però è bello riportare alla memoria, immaginare, sapere che un dì, tanto tempo fa, sono state reali, vissute…

Ma come tutte le belle storie, anche questa è finita. Del Volturno resta solo un corso d’acqua modificato dall’opera dell’uomo.
Oggi La fauna ittica è molto presente nel territorio molisano, a differenza del tratto campano impoverito dal forte inquinamento.
Per quanto riguarda la fauna terrestre, lungo il corso del fiume, sono presenti esemplari di airone bianco, germano reale, tuffetto, svasso maggiore, vipera, biscia d’acqua e ramarro, soprattutto in prossimità dell’oasi WWF Le Mortine di Venafro.
Lungo il corso del Volturno la vegetazione più comune è la canna di palude, il pioppo, il salice bianco e il salice rosso.
Il Volturno, descritto da autori come Stazio, Claudiano, Lucano, Bartolomeo Fazio, a causa della velocità delle sue acque nelle piene è stato definito “Volturnux rapax” o “Volturnus celer”. Proprio per questa sua caratteristica già nell’antica Roma furono creati degli argini. L’Imperatore Domiziano, infatti, costruì degli argini affinché “il Volturno vagabondo e sdegnoso non uscisse dal proprio alveo e proprie ripe lo costrinse nel retto corso e vietò che innanzi per le sue gonfiezze e sboccamenti le vicine campagne inondasse”(Rinaldo.Storia civile di Capua-Tomo III ).
Durante l’avanzata piemontese per l’unificazione italiana fu teatro della Battaglia del Volturno combattuta tra i garibaldini e l’esercito borbonico di Francesco II. Durante la seconda guerra mondiale fu teatro di scontro tra reparti corazzati americani e le truppe tedesche, successivamente attestatesi sulla linea difensiva Gustav.
Ma, per quanto riguarda l’inquinamento, come si presenta il Volturno oggi?
Secondo un sondaggio della LIPU il Volturno fino a quando conserva il carattere torrenziale ha acque limpide, ma già nella valle del medio Volturno incomincia a presentare forme di inquinamento; a Capua il fiume risulta fortemente inquinato. Le cause sono: insediamenti di industrie chimiche e zootecniche che riversano gli scarichi nel fiume, le fogne dei complessi edilizi sorti abusivamente, erbicidi, fertilizzanti, impianti estrattivi di ghiaia e sabbia, agricoltura intensiva, cementificazione delle rive, discariche abusive
I pesci pescati presentano spesso ulcerazioni e tumefazioni; un tempo il fiume dava lavoro a tanti pescatori, ora non più.
Ma vediamo più attentamente il corso del fiume Volturno. Da Castel San Vincenzo ove il Volturno viene alla luce come minuscolo torrentello, fino alla stretta di Ravindola tra il Matese e i monti di Venafro, l’analisi chimica e biologica fanno rilevare una quantità ottima delle acque: ricevendo in questo tratto alcuni piccoli affluenti e canali dalle alture si arguisce che sia sul corso che sugli affluenti non gravano inquinanti. Le presenze bio-entomatiche danno un quadro di perfetta salute e così pure le presenze ittiche. Bisogna riconoscere che in quel versante vige un rispetto atavico per il fiume quasi come verso una divinità.
Siamo nella fase torrenziale e qui il Volturno vive in perfetta sintonia con l’ambiente montano e con quello umano. Quando, dopo Roccaravindola, il fiume inizia il percorso di quella valle detto medio Volturno, che lo condurrà fino alla stretta di Triflisco, cominciano i primi insulti: agrosistemi compresi tra la media collina e la pianura riversano in esso, percolazione, erbicidi, antiparassitari e fertilizzanti; minuscoli impianti estrattivi di ghiaia ne scombussolano il fondo; isolati scarichi di rifiuti ne imbrattano le acque; ma il tutto viene, in seguito, riassorbito per autodepurazione e la qualità delle acque, come indicano le presenze biologiche e le ricerche chimiche, risulta ancora buona. E’ la caduta verso la piana alifana, dopo aver raccolto le acque del Lete, a creare i primi seri problemi al fiume. Qui accade un po’ di tutto: le aziende zootecniche, in particolare suinicole, riversano i loro liquami mediante occultate condotte ipogee direttamente nelle acque; discariche urbane versano i prodotti combusti negli affluenti (Torano); dighe, sbarramenti e vasche di laminazione ne denaturano il fondo; impianti estrattivi ne alterano le sponde distruggendo la fauna ittiche; agrosistemi intensivi ne intossicano le acque; è qui che per certi tratti scompaiono stranamente le presenze biologiche e si creano le prime barriere chimiche, le acque scadono di qualità e il fiume si avvia inesorabilmente verso una condizione patologica. Questa viene ulteriormente aggravata dalla confluenza col fiume Calore che tributa al Volturno un carico inquinante continuo, d’ogni natura, e ne rende le acque fortemente alterate. Il fiume tende, quasi con disperato istinto a sopravvivere, ad un ultimo tentativo a descoriarsi e, in parte, vi riesce. Ma il suo destino è segnato. All’altezza della Piana di Monte Verna e fino a Triflisco riceve un colpo mortale dagli scarichi delle aziende zootecniche e giunge a Capua con acque fortemente inquinate. Le presenze biologiche positive sono ridotte al quasi azzeramento mentre si vanno più evidenziando gli indicatori negativi. A Capua gli insulti non si contano più: il fiume, in fin di vita, è definitivamente annientato dalle industrie chimiche per cui, allorché si sospinge stanco verso la foce, esso ha perduto la sua identità di corso d’acqua per divenire, a causa di scarichi di rifiuti di ogni specie, che da qui in poi lo mortificheranno sempre di più, un canale cloacale aperto, con acque biologicamente morte, mefitiche, e pericolose per la sanità pubblica.
E Cancello ed Arnone che cosa sta facendo per cercare, non dico di salvare, ma almeno aiutare questo fiume che utopisticamente potrebbe diventare una fonte di ricchezza e benessere per la nostra cittadina?

A cura di Matilde Maisto

 

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