Incontro con Giuseppe Bellucci l’artista delle campane e degli orologi.

Il suono della campana, oltre a chiamare i fedeli in chiesa, trasmette gioia, crea un’aria di festa, è un inno al Signore; per molti un invito al raccoglimento. I suoi sono rintocchi suggestivi, magici. Anche quando con ritmo cadenzato si sostituiscono all’orologio, ricordando, per esempio, che è mezzogiorno, e quindi l’ora del pranzo.

   Incontrare un artista che costruisce campane e rimette in sesto orologi antichi è davvero un’occasione d’oro. E io ho incontrato Giuseppe Bellucci, 59 anni, gentile, rispettoso, premuroso, generoso, nel suo laboratorio di via Pisacane, a Martina Franca, in cui tiene esposti come in un museo esemplari che hanno ciascuno una storia. Giuseppe è persona aperta al dialogo e senza assumere atteggiamenti enfatici li descrive senza entrare nei particolari tecnici. Gli ho domandato come volesse essere definito, maestro o artista; e mi ha risposto di sentirsi artigiano, soltanto artigiano. Allora gli ho detto che Franco Cologni, già presidente mondiale di Cartier e oggi padre a Milano della Fondazione mestieri d’arte, ha inserito l’orologiaio nel suo elenco. E se non ricordo male anche in una collana di libri, scritti da specialisti e pubblicati in una veste elegante.

   Comunque Giuseppe proviene da una dinastia di artigiani e lo dice con orgoglio. Un suo antenato produceva chiodi. Ma, chiodi a parte, anche la lavorazione del ferro in alcuni casi è un’arte.

   La mia conversazione con Giuseppe, nato nello splendore della Valle d’Itria, è stata piacevole e per me anche istruttiva: è proprio vero che c’è sempre da imparare. Ho ascoltato con molta attenzione e interesse le parole semplici ed essenziali di questo lavoratore infaticabile ed entusiasta, che ha fatto un ottimo rodaggio da elettricista installatore e ha proseguito facendo illuminazioni artistiche nelle chiese di tutto il mondo. Un giorno, distribuendo saggiamente le luci nella chiesa di San Francesco, a Martina, il missionario padre Felice Garau gli ha chiesto di fare l’automazione delle campane. Volendo accontentare il sacerdote e non avendo alcuna dimestichezza con questo lavoro, si è rivolto ai maestri della ditta Trebino, di Genova, famosi per gli orologi dappertutto, in Italia e all’estero. “E passo dopo passo ho imparato il mestiere del campanaro e dell’orologiaio da torre”.    In lui si è accesa la passione. Ha lavorato, e lavora, con dedizione, con fervore. Mai un passo indietro, mai un rifiuto; e ancora adesso non sta fermo un momento, esporta i suoi manufatti in Spagna, Argentina, Polonia, Kenya, Albania, Israele, Libano, Giordania…. Apprezzato, richiesto, conteso, corteggiato. Con i suoi collaboratori, costruisce orologi da torre, campane di tutte le dimensioni, arricchendole, dov’ il caso, di stemmi vescovili, fregi, scritte, date, eccetera. Gli orologi, oltre che per i Comuni, li fa anche per i templi. E non si limita a realizzare questi gioielli: tiene lezioni nelle scuole per insegnare ai ragazzi i rudimenti del mestiere, anche nella speranza che possa germogliare un amore per il settore.

   Tra i suoi clienti annovera anche conventi e monasteri.  Compresi quelli di clausura, dove quando entra suona il campanello per avvertire le monache della sua presenza, che corrono a chiudersi nelle loro celle. Trent’anni fa padre Ernesto Caroli, uno dei fondatori dello “Zecchino d’oro” di Bologna, gli ha finanziato la costruzione delle prime campane per Albania dopo la caduta del comunismo. Durante un pellegrinaggio in Terra Santa ha conobbe l’archeologo padre Michele Piccirillo, dal quale ebbe l’incarico di architettare le luci e confezionare gli strumenti sonore.

   Giuseppe Bellucci dunque è un personaggio importante; ciononostante non si dà arie. Parla del suo lavoro con semplicità e l’interlocutore non perde una parola di quello che dice. Parla con chiarezza del composto che occorre per realizzare una campana, partendo dall’argilla e dalla cera persa. Se avesse tempo, racconterebbe la storia della campana, le cui origini sono lontanissime e incerte. A proposito, secondo alcuni, sarebbe stato san Pio di Nola, protettore dei campanari, a stimolare nel V secolo l’introduzione della campana con il batacchio interno. Per farle, sono cambiati solo i forni – dice – prima erano a legna, oggi a gas”.

  Informando, guarda l’interlocutore negli occhi. I suoi sono vivaci, penetranti. Parla veloce, accenna ai sacrifici necessari per completare l’opera. E’ attirato dal suono, batte con delicatezza un oggetto metallico sulla superficie di più campane, che nel laboratorio sono ovunque, e fa emergere una piccola orchestra, che suscita emozioni. Muove il batacchio di una campana sistemata su una mensola. “Per fare una campana occorrono due o tre mesi, a seconda delle dimensioni. Noi le facciamo e ci occupiamo dell’installazione e dell’automazione”. E gli orologi? “Facciamo il restauro conservativo. Ho sistemato l’orologio a torre di Galatina; ad Avetrana ho restaurato la vecchia macchina e collocata nel museo a scopo didattico”.    I riconoscimenti non gli sono mancati: è cavaliere di gran croce dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il cardinale Salvatore de Giorgi, arcivescovo di Palermo, a suo tempo lo ha presentato a Giovanni Paolo Secondo, congratulandosi con lui per i lavori artistici eseguiti nei luoghi sacri in varie parti del mondo. Ha infatti messo a disposizione la sua alta professionalità per dare ampio rilievo agli elementi architettonici. E accenna alla Basilica del Monte Tabor, di Nazareth; alla Basilica del Santo Sepolcro, di Gerusalemme; alla chiesa della Consolata di Nairobi…, dove ha prestato in modo eccellente la sua attività. Insomma tantissime chiese nel mondo sono illuminate dall’arte di Giuseppe, la cui azienda ha come insegna “Bellucci Echi e Luci”. In una lettera frate Pio Dandola, del Commissariato Terra Santa, gli ha scritto: “Caro Giuseppe, con sorpresa e gioia ho ricevuto e gradito la bella foto che ti ritrae assieme al caro Padre Michele Piccirillo, che avendo provvidenzialmente scoperto le tue qualità professionali, queste gli hanno suggerito di affidarti lavori da lui sognati da temo…”. E ha aggiunto… “Hai reso così luminosa e splendida la cappella francescana del Calvario proprio in occasione della Festa della Esaltazione della Croce…”.

   Guardo alcune fotografie in cui Giuseppe Bellucci dialoga con l’arcivescovo Benigno Luigi Papa, con il cardinale Bagnasco, con monsignori, parroci, che attestano la sua maestria e l’efficienza degli interventi da lui eseguiti. Giuseppe è un uomo di fede profonda; frequenta a Martina la Chiesa del Carmine, dove il professor Francesco Lenoci, suo amico, docente all’Università Cattolica di Milano, è confratello onorario dell’Arciconfraternita.

   Martina e i martinesi si distinguono sempre, in ogni campo: nell’arte, nell’imprenditoria, nell’artigianato, nelle professioni, nelle forze armate. Era martinese Guido Le Noci, titolare della famosa Galleria d’arte “Apollinaire” di Via Brera, nel capoluogo lombardo, che dette spazio a tanti artisti d’avanguardia, facendoli conoscere all’Europa; e di Martina sono molti giornalisti di valore. Non mi ero mai imbattuto in Giuseppe Bellucci, e neppure Michele Annese, direttore del periodico, che mi ha accompagnato in questa scoperta: strumenti sonori dalla sagoma di calice capovolto; orologi dall’anima complicata, e l’uomo che mi è stato di fronte per oltre un’ora, sintetizzando al massimo la sua biografia illuminante. Paziente, sorridente, ospitale, che usa spesso e con convinzione la parola rispetto. Concludendo, ancora un’ammirevole iniziativa: Giuseppe Bellucci ha realizzato quattro campane nuove per la chiesa di Sant’ Antonio a Scuteri, in Albania, volute dal vescovo Angelo Massafra. Su una di queste campane è impresso uno stemma con la Madonna di Albania con 31 martiri. Bellucci ha pensato di far realizzare una medaglia commemorativa, con quell’immagine ridotta da 30 a 6 centimetri, e con lo stemma dell’arcivescovo sul retro.

                                                                            Franco Presicci

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