Indossare correttamente la mascherina

Trovandosi vicino a una persona che non indossa la mascherina, o che la utilizza senza coprire adeguatamente naso e bocca, in treno o in altri ambienti al chiuso, viene spesso da chiedersi se ci si possa considerare ugualmente protetti dalla propria mascherina. A volte è sufficiente uno sguardo per indurre il prossimo a indossarla correttamente, in altri non c’è verso e conviene spesso lasciar perdere o chiedere l’intervento di chi è incaricato di occuparsene, come per esempio un capotreno.

Sappiamo che le mascherine proteggono al meglio contro il contagio quando tutti le indossano, e per questo è comprensibile qualche inquietudine quando si ha a che fare con chi non le utilizza o le indossa male.

Come abbiamo ormai imparato, la principale funzione delle mascherine è di bloccare all’origine le particelle virali emesse da chi è inconsapevolmente contagioso. Per questo indossarle è in primo luogo una premura verso il prossimo, anche se diverse ricerche nell’ultimo anno e mezzo hanno mostrato come offrano una buona protezione a chi le indossa, anche nel caso in cui si condividano spazi chiusi con altri senza mascherine.

Uno studio svolto negli Stati Uniti, per esempio, ha sperimentato varie condizioni in cui una persona contagiosa, senza mascherina, tossisca in direzione di qualcun altro con mascherina chirurgica a circa due metri di distanza, in un ambiente al chiuso (all’aperto i rischi di contagio sono molto più bassi).

I ricercatori hanno calcolato che la mascherina chirurgica protegge dal 7,5 per cento delle particelle virali prodotte nella simulazione, ma che si possa arrivare a circa il 65 per cento avendo l’accortezza di annodare i cordini, in modo che sia più aderente al viso. È un consiglio che negli ultimi tempi hanno fornito diversi esperti e che può essere ottenuto con facilità, avendo cura di non stringere troppo i cordini, altrimenti si potrebbero spezzare (qui trovate un mini tutorial).

Lo studio ha inoltre rilevato che, impiegando un ulteriore strato di stoffa al di sopra della mascherina chirurgica, si può ottenere una riduzione del rischio dovuto all’esposizione dell’83 per cento.

Un’altra ricerca condotta sempre negli Stati Uniti ha invece considerato diverse tipologie di mascherine. La maggior parte è risultata utile per bloccare le gocce di saliva più grandi, come quelle emesse durante uno starnuto, e che potrebbero contenere notevoli quantità di particelle virali. Per le particelle più piccole e che possono rimanere a lungo in sospensione nell’aria (aerosol) il livello di protezione si è rivelato più basso, con maggior protezione nel caso in cui si utilizzino più strati di tessuto e un filtro per proteggere naso e bocca. 

I livelli di protezione delle mascherine erano già stati studiati in passato: una ricerca condotta nel 2008 le aveva sperimentate su volontari veri e propri, invece che su manichini come avviene spesso per questo tipo di ricerche (per ridurre le variabili e per motivi di sicurezza). Lo studio aveva segnalato una riduzione dell’esposizione da virus respiratori fino al 60 per cento con le mascherine di tessuto, fino al 76 per cento con quelle chirurgiche e fino al 99 per cento con le FFP2.

Trovare risposte chiare e nette è molto difficile perché i rischi di contagio variano a seconda degli ambienti studiati, delle tipologie di mascherine indossate, dei comportamenti dei singoli e dei fattori che rendono alcuni individui più esposti all’infezione virale rispetto ad altri (siamo tutti diversi, anche da un punto di vista medico, del resto). 

Vaccinarsi contro il coronavirus continua a essere la soluzione più indicata per ridurre i rischi di ammalarsi di COVID-19, soprattutto nelle sue forme più gravi. Il vaccino protegge dalla malattia, ma non esclude completamente i contagi e per questo è importante continuare a utilizzare le mascherine al chiuso indossandole correttamente coprendo sia il naso sia la bocca. Più persone le indossano, minori sono i rischi per tutti. 

Proprio come per il vaccino, è un gesto di premura verso gli altri e verso se stessi.
Gravidanza
Per lungo tempo il ministero della Salute aveva dato informazioni piuttosto vaghe sulle vaccinazioni per le donne in gravidanza, nonostante in altri paesi i vaccini fossero consigliati anche per loro. Alcuni giorni fa, il ministero ha infine diffuso una circolare per chiarire la situazione, raccomandando la vaccinazione sia nel periodo di gravidanza sia durante l’allattamento. Su oltre 200.000 vaccinazioni in gravidanza, non sono stati segnalati effetti avversi in eccesso rispetto a quelli delle donne non in gravidanza.
A che punto siamo
Nell’ultima settimana c’è stata una riduzione significativa dei nuovi ingressi in terapia intensiva di malati gravi di COVID-19: sono stati 184, il 21,4 per cento in meno rispetto ai sette giorni precedenti. C’è stato un miglioramento soprattutto in Sicilia, dove sono state ricoverate 11 persone in gravi condizioni, mentre nella prima settimana di settembre erano state 62. Non sono stati segnalati nuovi ingressi in rianimazione in Basilicata, Molise, Umbria e Valle d’Aosta. 

Offrendo un’alta protezione contro le forme gravi di COVID-19, il vaccino contribuisce a ridurre non solo i ricoveri in generale, ma anche il rischio di morte.

Nell’ultima settimana in Italia ci sono stati oltre 5mila casi di coronavirus rilevati in meno rispetto ai sette giorni precedenti: sono stati trovati 22.416 nuovi contagi, il 19,1 per cento in meno rispetto alla settimana dal 16 al 22 settembre.

La campagna vaccinale procede a un ritmo costante, anche se inferiore rispetto al mese di luglio, principalmente perché si è già vaccinata buona parte della popolazione. Al momento in Italia 45 milioni di persone hanno ricevuto almeno la prima dose del vaccino contro il coronavirus, e di queste 42,4 milioni risultano completamente vaccinate. Il 76,2 per cento della popolazione quindi ha ricevuto almeno una dose e il 71,6 per cento ha completato il ciclo vaccinale. Le regioni hanno somministrato l’85,6 per cento delle dosi disponibili.

In ufficio
È dal marzo del 2020 che una parte consistente dei dipendenti pubblici lavora in smart working, scelta resa necessaria per ridurre i rischi di contagio e la circolazione delle persone. Tra un paio di settimane, il 15 ottobre per essere precisi, torneranno a lavorare in presenza a patto che siano assicurate le misure di prevenzione. Secondo un’indagine della fondazione dei consulenti del lavoro, a maggio 2021, dopo la terza ondata dell’epidemia, lavorava in smart working il 37,5 per cento di tutti i dipendenti pubblici: 1,2 milioni di persone.

Scuola
L’anno scolastico è iniziato da poche settimane e per lo più in presenza, ma non mancano segnalazioni di problemi e contraddizioni che mostrano come ci siano state poche novità rispetto all’ultimo anno e mezzo. C’è un sistema di controllo dei contagi a campione poco rappresentativo e non ci sono regole chiare e condivise sulla gestione della quarantena, nel caso in cui ci siano casi positivi nelle classi. C’è poi un problema di fondo più grande, legato all’assenza di dati sufficientemente affidabili per stabilire quale sia l’impatto della scuola in presenza con milioni di bambini e adolescenti sull’andamento della pandemia. Tra i principali problemi, le regioni che anche in questo caso si muovono in ordine sparso.

Locali
Lunedì il Comitato tecnico scientifico ha detto di avere modificato le indicazioni che regolano la capienza massima nei cinema, nei teatri e nei locali, con un aumento dal 50 all’80 per cento al chiuso e al 100 per cento all’aperto. Quando le indicazioni saranno recepite dal governo, gli stadi potranno riempirsi al 75 per cento rispetto al precedente 50 e nei palazzetti si passerà dal 25 al 50 per cento. Il Comitato tecnico scientifico ha raccomandato a tutti di continuare a usare le mascherine durante gli eventi e agli organizzatori di vigilare sul rispetto delle indicazioni.

Nulla però è stato detto sull’eventuale rimozione dell’obbligo di distanziamento, del divieto di ballare e sulla possibilità di ascoltare un concerto in piedi e gli uni vicini agli altri, come avviene in molti paesi europei. Erano queste le decisioni più attese da chi rappresenta i gestori dei locali e delle discoteche e anche dagli artisti che nelle ultime settimane avevano rivolto molti appelli alla politica per eliminare le restrizioni. Secondo molti addetti ai lavori, infatti, aumentare solo le capienze serve a poco.

Fuori UE
Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha firmato un’ordinanza che permetterà, in via sperimentale, di viaggiare per motivi turistici in alcuni paesi al di fuori dell’Unione Europea senza obbligo di quarantena al rientro dalle vacanze. Il ministero li ha definiti “corridoi turistici Covid-free” e interessano sei mete: Aruba, Maldive, Mauritius, Seychelles, Repubblica Dominicana e Egitto (solo Sharm El Sheikh e Marsa Alam). Per poter viaggiare in questi paesi sarà necessario avere il Green Pass e, al momento dell’imbarco dall’Italia, bisognerà anche presentare un ulteriore certificato che dimostri di essersi sottoposti nelle 48 ore precedenti a un tampone per il coronavirus risultato negativo. Se il viaggio dura 7 o più giorni, poi, sarà necessario sottoporsi a un nuovo tampone durante il soggiorno nella località turistica.
Diversa
In un certo senso i vaccini contro il coronavirus stanno cambiando la COVID-19, per lo meno per chi si è sottoposto alla vaccinazione, rendendola diversa da quella che aveva portato lutti e stravolto le nostre abitudini nel 2020. È una buona notizia, senza sottovalutare gli effetti del virus che continua a causare la morte di migliaia di persone ogni giorno, ma non è comunque semplice stabilire in che misura la malattia stia cambiando tra i vaccinati e il resto della popolazione.

Nonostante queste difficoltà, un gruppo di ricercatori nel Regno Unito ha svolto una ricerca su 4,5 milioni di volontari, chiedendo loro di segnalare la comparsa di eventuali sintomi e gli esiti dei loro tamponi tramite un’applicazione per smartphone. Tra il milione circa di partecipanti con ciclo vaccinale completato, solamente in 2.370 (pari allo 0,2 per cento) hanno segnalato di essere risultati positivi a un test per il coronavirus. Solo alcune di queste infezioni post-vaccino hanno portato a sviluppare sintomi, nella maggior parte dei casi più lievi e di breve durata rispetto a ciò che si osserva nei malati di COVID-19 non immunizzati con il vaccino.

Analisi di questo tipo sono utili per farsi un’idea sull’impatto dei vaccino, ma tendono inevitabilmente a dare informazioni sui due estremi opposti della pandemia: da un lato la protezione contro le infezioni in generale e dall’altro la protezione contro le forme gravi di COVID-19. Saranno ancora necessari mesi per avere un quadro più completo, ma i dati raccolti finora mostrano come l’esperienza della COVID-19 per i singoli si stia differenziando sempre di più tra chi è vaccinato e chi non lo è

Lo zio complottista
I vaccini? «Sono una cura sperimentale e noi siamo le cavie». «Modificano il nostro DNA in modo irreparabile». «Contengono i microchip 5G per controllarci tutti quanti». «Li produce Bill Gates che ha creato il virus per poterci guadagnare». «Il Green Pass è la prova che siamo in una dittatura». «È l’ultima manovra della cabala di satanisti pedofili che governa segretamente il mondo, ma il presidente Trump ci salverà»… E poi via, sempre più giù nella tana del Bianconiglio. Suona familiare?

Da qualche tempo ricevo sempre più segnalazioni da parte di mogli, mariti, figli, fratelli, sorelle e nipoti di persone che con la pandemia si sono visti crescere un complottista in casa. E mi chiedono che cosa possono fare, perché ragionare con loro sembra ormai impossibile e ogni volta si finisce per litigare.
Non esiste una risposta semplice. Intanto, bisogna chiedersi perché le persone credono alle teorie del complotto come quelle che sono fiorite a dozzine nell’ultimo anno e mezzo sul virus e sui vaccini.


Massimo Polidoro, divulgatore e tra i fondatori del CICAP, racconta sul Post come fare con lo zio complottista.

Olimpiadi
Sembra ieri che sono finite le Olimpiadi di Tokyo e già si parla di quelle invernali, che si terranno tra febbraio e marzo a Pechino. I due eventi sono insolitamente ravvicinati perché per le Olimpiadi estive si era reso necessario un rinvio di un anno a causa del coronavirus. E proprio la pandemia sta condizionando anche l’organizzazione dei Giochi invernali cinesi, a cominciare dalle restrizioni rigidissime che porteranno a creare un «sistema di gestione a circuito chiuso». Secondo le linee guida, infatti, dal 23 gennaio fino alla fine delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi il comitato organizzatore isolerà tutte le aree relative ai Giochi per permettere lo svolgimento della manifestazione all’interno di una grande “bolla”, dotata anche di un suo sistema di trasporto. Sarà un esperimento interessante, atteso con qualche inquietudine.
Il logo delle Olimpiadi invernali di Pechino (AP Photo/ Mark Schiefelbein)
Video
YouTube è tra le più grandi piattaforme di streaming video al mondo e, se l’avete frequentata nell’ultimo anno e mezzo, avrete notato che sui temi della pandemia contiene un po’ di tutto: da interessanti documentari e tutorial a pericolose falsificazioni sul coronavirus e la COVID-19. Dopo mesi di polemiche e richieste di maggiori controlli, YouTube ha da poco introdotto regole molto più severe per limitare la disinformazione sui vaccini. 

I responsabili della piattaforma, che è di proprietà di Alphabet (la holding che ha il controllo di Google), hanno scelto una via drastica: saranno cancellati tutti i video che contengono informazioni false o fuorvianti sui vaccini, saranno vietati tutti i video che sostengono che i vaccini siano pericolosi e causano malattie croniche, che sostengono che i vaccini non riducano la trasmissione o la contrazione di una malattia, che accusano i vaccini di provocare autismo, tumori o infertilità o di contenere sostanze che “tracciano” chi li riceve. Le regole non si applicano soltanto ai singoli vaccini, ma anche a contenuti che riguardano le vaccinazioni in generale.

Rimarrà comunque possibile discutere del processo scientifico e delle politiche vaccinali, e parlare dei successi e dei problemi che hanno riguardato storicamente i vaccini. 

La fine del mondo
Oggi chiudiamo segnalandovi due progetti che siamo contenti di avere realizzato sul Post, grazie agli abbonati che ci danno un aiuto prezioso per fare sempre più cose.

Il primo è uno speciale sulle imminenti amministrative del 3 e 4 ottobre, con storie e racconti dalle città più grandi al voto e non solo per arrivare preparati al momento in cui avrete la matita copiativa in mano.

Il secondo riguarda circa 400 anni di cui non sappiamo quasi nulla nella storia dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo: va dal 1200 all’800 a.C. In varie zone scomparvero la scrittura, l’arte figurativa e le città. Eppure i secoli precedenti erano stati un’epoca di grande prosperità e ricchezza diffuse per il mondo occidentale, dall’Afghanistan fino alla penisola iberica, in cui le persone e le cose si muovevano come mai prima di allora, tanto che qualcuno l’ha definito il primo periodo di globalizzazione nella storia umana.

E quindi: cosa successe intorno al 1200 a.C.? Perché molte di quelle civiltà così solide e complesse collassarono su se stesse? Fu davvero colpa dei cosiddetti Popoli del mare, come abbiamo creduto per decenni? Cosa hanno scoperto gli studi degli ultimi anni? Lo raccontiamo nel nuovo podcast La fine del mondo.

È anche la fine di questa newsletter, ma niente paura: torniamo giovedì prossimo. Ciao!

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