La biblioteca che vorrei di Antonella Agnoli

La dimensione quotidiana della nostra vita si svolgetra la casa e il posto di lavoro; tra la scuola dei figli, il supermercato dove facciamo la spesa, il bar dove ci fermiamo per un cappuccino, la piazza dove compriamo i giornali. Questa dimensione fisica della quotidianità è fatta di relazioni (buone o cattive) con i vicini, i colleghi, gli insegnanti, i negozi del quartiere, gli amici. Nonostante le vacuità che ogni giorno si scrivono sui “mondi virtuali”, sono le relazioni e i servizi disponibili in città (trasporti, piazze, asili e scuole, musei, cinema e teatri) a determinare la nostra qualità della vita. Dove mancano le biblioteche pubbliche il tessuto sociale ne soffre perché sono luoghi di conoscenza, luoghi di eguaglianza, luoghi di socialità, luoghi di sviluppo: è tempo che i politici lo capiscano.

La privatizzazione degli spazi pubblici e la riduzione dei servizi a cui i comuni sono costretti da anni tendono a deteriorare il tessuto urbano, a innescare una ddinamica di segregazione spaziale, con i centri cittadinitrasformati in zone di shopping e le periferie, tranne rari casi, abbandonate a se stesse. per ridurre la sofferenza sociale occorre agire, coinvolgere la gente, dare prova di fantasia e di volontà politica. Le biblioteche sono parte di questo progetto.

Prima di tutto, occorre rendere chiaro ai cittadini che la biblioteca è ben più ricca, accogliente, intelligente di qualsiasi smartphone. A condizione che sappia provare ogni giorno, nel suo funzionamento, che gli ideali di democrazia a cui si ispira sono reali. Se vuole fare da incubatore a processi di inclusione e di coesione sociale, se vuole attivare energie nella comunità, non può essere costruita e gestita “dall’alto”: deve mettersi all’ascolto dei cittadini.

Purtroppo, la partecipazione è attraente come idea (basti pensare alle primarie per selezionare i candidati politici) ma spesso è concepita come slogan, pura strategia di marketing, o realizzata male. Al contrario, per noi la partecipazione deve essere un processo che richiede ironia, fantasia e determinazione: tutte qualità che spesso mancano sia alle amministrazioni che ad alcuni colleghi bibliotecari: molto più facile trincerarsi dietro le procedure consolidate, far funzionare la biblioteca come macchina-da-prestiti o come sala studio, e non preoccuparsi d’altro.

Questo libro spiega perché occorre coinvolgere i cittadini e come farlo. Dobbiamo tenere conto dei loro pareri per migliorare la qualità delle biblioteche: in Italia sono troppi gli edifici concepiri o ristrutturati senza minimamente porsi il problema di come le persone li utilizzeranno, li “abiteranno”. Troppo spesso la scelta dei materiali non tiene conto di problemi come l’insonorizzazione, la facilità di pulizia, l’economicità nella gestione, i percorsi: parleremo di come bisogna lavorare sul rumore, sulle correnti d’aria, su dove collocare i servizi di back office. Piccole cose, ma quando mi è capitato di partecipare a momenti di coinvolgimento dei cittadini per discutere di una nuova biblioteca, sono rimasta molto colpita dal fatto che le persone sono assolutamente consapevoli di cosa essa dovrebbe essere oggi. Rimango sempre sorpresa dal fatto che alcune proposte estremamente interessanti non sarebbero mai venute in mente a tecnici e politici. Una biblioteca pensata e costruita insieme ai cittadini viene sicuramente meglio.

Oggi non dobbiamo più chiederci se le biblioteche esisteranno ancora fra 20 o 30 anni: sappiamo che ha senso metterne in cantiere di nuove, come si fa un pò in tutto il mondo, o almeno ristrutturare le vecchie. La rivoluzione digitale, costringendo milioni di persone ad aumentare le proprie conoscenze, accresce il bisogno di spazi per l’interazione fisica di chi vuole informarsi, studiare, approfondire, fare ordine nel caos di Internet. Le biblioteche che non si rinnovano sono in pericolo, ma i bibliotecari – specialisti nella ricerca di informazioni – saranno più che mai necessari per aiutare i cittadini a verificare le notizie, a trovare le giuste fonti, oltre che a stimolare l’interesse per l’informazione, la musica, il cinema, i videogiochi, che sono una parte sempre maggiore dell’economia.

Ai cittadini che vogliono fare esperienze più originali, più creative, più collettive di quelle permesse da un tablet possiamo offrire un luogo diverso dalle biblioteche tradizionali. Possiamo offrire l’esperienza di leggere, discutere, produrre cultura insieme, per esempio nei tanti gruppi di lettura fioriti in ogni parte d’Italia. I movimenti come Occupy Wall Street a New York e Gezi Park a Istanbul, ma anche quello in difesa del teatro Valle a Roma, possono servire per arieggiare un pò i nostri scaffali polverosi.

Una larga parte del volume è dedicata alle nuove “piazze del sapere”, cioè alle tendenze prevalenti nei nuovi edifici bibliotecari nel mondo. Analizzo le loro caratteristiche, le loro attività, i processi che occorre mettere in atto per realizzare una nuova biblioteca, o anche un semplice restyling. Parlo delle mie esperienze di ristrutturazione di biblioteche un pò in tutta Italia. Analizzo alcuni casi per me particolarmente significativi in Olanda, Francia e Giappone, e poi una biblioteca tradizionale italiana, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ma, alla fine, dobbiamo essere coscienti del fato che non ci sono ricette indiscutibili, valide ovunque: al contrario, ogni situazione è differente e senza coinvolgere i cittadini si va poco lontano. Solo mobilitando energie sociali nuove, facendo della biblioteca un motore culturale, e nonun deposito di libri, si otterranno dei risultati.

 

Tratto dal libro “La biblioteca che vorrei”

0 Comments

No comments!

There are no comments yet, but you can be first to comment this article.

Leave reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *