“LA FIUMANA” UN RACCONTO DI GIOVANNA PEZZERA

 La fiumana

Era piovuto. Tre giorni di pioggia fitta, incalzante e monotona, senza scrosci di acquazzoni, senza lampi o fulmini e tuoni. Fili sottili, tantissimi, e opprimenti. Più volte era andata al balcone, con la speranza di scorgere uno squarcio di azzurro e più volte non altro le era venuto di pensare, disordinatamente e frammentariamente, che quei versi del D’Annunzio, rimembranza dell’ultimo anno delle Superiori: “piove dalle nuvole sparse… piove sulle ginestre e sui mirti… sui nostri vestimenti leggeri… sui pini… piove sui nostri volti… sulle nostre mani ignude… piove sui nostri freschi pensieri… sulla favola bella che ieri mi illuse, che oggi ti illude, Ermione” (che strano nome per una donna!). E quando finalmente la pioggia cessò, come spinta da un impulso perentorio, Nella espresse il desiderio di andare a vedere di quanto fosse ingrossato il fiume, il “suo” magico fiume incantato e che sempre la incantava.
Luca si offrì di accompagnarla ma, come sempre, quando la seguiva in certe escursioni, le fece oltrepassare il ponte, a velocità ridotta, certo, ma non tanto lentamente da farle ‘catturare’ ciò che il suo animo cercava in quel momento. Era stato un errore, Luca non poteva capire, non poteva far parte della sua vita interiore. Era un estraneo, in fondo, e tale doveva rimanere.
Il fiume era pieno e la corrente non tanto forte ma si rischiava la tracimazione  se fosse continuato a piovere.
A casa riprese le sue occupazioni ma continuava a pensare al fiume, alla sua forza ma anche alla sua placida corsa. Per quanto potesse sembrare assurdo, il pensiero del fiume le portava sempre una emozione forte ma allo stesso tempo tale da calmarla, in qualunque situazione.
I ricordi della sua infanzia, quelli legati al fiume, erano i più gelosamente custoditi ed ora, d’improvviso, spingevano in su, prepotenti, e chiedevano di uscire fuori dall’angolino in cui erano stati conservati.
L’ultima volta che era straripato il fiume, Nella non era andata, come tanti compaesani, lungo le rive a “guardarlo”. Non ne aveva avuto modo; gli impegni e la certezza che Luca si sarebbe proposto di accompagnarla, l’avevano fatta desistere. Non le dispiacevano di certo né la compagnia né la premura del marito, sempre pronto ad accontentarla, ma aveva compreso che c’erano dei momenti e delle occasioni in cui ella avvertiva il bisogno di starsene da sola, di pensare, di sognare, di ricordare, di agire, da sola. Il contatto con il fiume rientrava fra queste sue esigenze. Come se si aspettasse che il fiume dovesse restituirle qualcosa che le apparteneva e che le era caro, quasi un tesoro rimasto prigioniero delle sue acque, quel giorno si era fermata a lungo ad osservarlo. Trasportate dalla corrente, vaghe immagini apparivano e scomparivano, si succedevano senza un filo logico, l’una sull’altra, l’una dietro l’altra; finché a poco a poco si erano ricomposte in una sequela ordinata di nitide fotografie, come in uno spezzone di film. Così si rivide seduta nella lignea imbarcazione, caratteristica della zona in cui viveva, piccola, ma proprio piccola, addetta a svuotarla dall’acqua che vi si infiltrava, durante la navigazione, con una pala di legno squadrata con un grosso manico, che a fatica, e con entrambe le manine, riusciva a sollevare. Era bello sentirsi utile, ‘grande’, dare il proprio contributo a quell’avvenimento reso unico dal lavoro sinergico, suo e del suo papà, che manovrava il remo, cioè una lunga pertica diritta cui era collegata una tavola, tagliata ad una estremità a V.
Sapeva riconoscere i punti in cui avevano sistemato le reti, fra le tante riconosceva le loro e che festa quando tirandole a bordo le si scoprivano piene di pesci! Era diventata brava nella preparazione delle reti, toccava a lei dosarne il quantitativo di esca da lasciare in acqua per attirare le vittime di questo ‘rito’. Ed era diventata brava anche a ripiegarle, le reti; erano ormai un duo più che affiatato, lei ed il suo papà. Ed erano lì i ricordi più felici e teneri della sua infanzia, tra quelle acque dove era cresciuta l’ammirazione e l’amore per un papà così diverso dal solito, un papà che il lavoro e la stanchezza rendevano rigido e severo. Era dolcissimo rincontrarsi così, attraverso un velo di acqua che non sai più se sia quella del fiume o quella dei tuoi occhi.
Per anni poi, non c’erano più state occasioni, né se le era cercate, di andare a pesca sul fiume. Fino a quando, ormai donna, le fu proposta una passeggiata in navigazione e Luca comprendendo il richiamo che attirava la sua compagna in quell’avventura, decise di rinunciare e di rimanere a terra, aspettandone il rientro e contento della contentezza della sua Nella.
Credeva di aver dimenticato tutto ma piano piano, con il lento sciabordio del remo nell’acqua, tutti i gesti appresi durante l’infanzia erano venuti fuori ed era stato semplice e naturale, per lei, accompagnare le movenze ed assecondare le richieste implicite, mute, del capitano di bordo. Anche se quella volta il fiume era in secca, tanto da costringerli a scendere dall’imbarcazione e spingerla a pelo d’acqua.
Negli anni il fiume assomigliava sempre più ad un ruscelletto; c’erano dei periodi in cui metteva tristezza osservare quel rivoletto di un colore indescrivibile. Non era affatto il fiume di cui aveva bevuto l’acqua con le mani a coppa, né lo si poteva associare alla forza che straripando aveva allagato le prime case del paese o che aveva inghiottito alcuni suoi compaesani, rei, d’estate, quando ancora l’inquinamento non lo aveva avvelenato e ci si poteva immergere, di essersi fidati delle proprie capacità natatorie ed ignari delle insidie delle infide acque così infide che all’improvviso scoprivano remoli profondi ed assassini.
L’amarezza, l’unione tra la gente del paese in quei tragici frangenti, risaliva in superficie, e Nella sentiva, ancora oggi, il dolore comunitario per tante assurde perdite umane.
Ora le acque si erano rigonfiate e si erano portate sotto il livello di guardia… che emozione rivederne il letto pieno! Come una casa che venga riaperta dopo lunga assenza e riprenda luce, così il fiume sembrava aver ripreso vigore. Nella si chiedeva quanti giovani avessero avuto la fortuna di navigare un tratto di fiume e ricordava con nostalgia l’ultima volta che vi era stata… La pace, il silenzio, il vento tra le foglie, il cinguettio degli uccelli, lo sciabordio del remo, i rami degli alberi ricurvi verso il centro del fiume, le loro radici fuori dell’acqua, le ombre e le luci a pelo d’acqua, i diversi intensi verdi della natura… Non era necessario andare oltre continente per vivere particolari spettacoli. Solo chi si arricchisce di certe sensazioni può amare il fiume, e se gli apri l’animo esso ti prende, ti entra dentro, ti fa suo, diventa tuo. E’ la tua ragione d’essere, di vivere ed è la palla al piede che ti ancora alle tue radici, al tuo paese che non ti offre nulla, non ti da nulla, ti chiede tanto, forse troppo, ma è qui che la tua linfa si fonde e si confonde con lo scorrere delle acque del fiume e su di esse riaffiorano, ed ogni tanto galleggiano, i momenti più preziosi della tua vita. I momenti in cui  abbandonate le lotte e le fatiche quotidiane, che logorano, e persino i rapporti umani; il contatto catartico con la quiete della natura ti appaga, ti trasforma, ti asseconda e ti fa sprofondare nel mistero della natura, nella profondità dell’essenza della vita, ti fa  ridiventare padrone di te stesso e del tuo essere. Il tuo spirito si unisce agli elementi naturali. Allora quel papà burbero e sfuggente, sempre preso dal lavoro e prigioniero della stanchezza, si trasforma nel Caronte che ti porta alla discoperta degli angoli più reconditi dove l’anima può distendersi serena e lasciarsi cullare da una nenia fresca e amorevole come le nenie della prima infanzia… E Nella rivedeva loro due soli, in silenzio e senza il bisogno di parole. Al cospetto della Natura, in quegli angoli di pace, essi si dicevano tutto, tutto ciò che avrebbero voluto, che non erano mai capaci di dirsi e che soltanto le tacite parole dell’anima possono comunicare.
Adesso riusciva ad interpretare il monito silenzioso, inciso sull’infinito foglio fluttuante; “con la piena viene su di tutto, ma resta a galla solo ciò che trova un appiglio cui ancorarsi”. Quanta roba inutile riemergeva dal fondo! Bisognava compiere un rapido ed accurato lavoro di cernita, di separazione, di scelta di ciò che, come ammoniva il fiume, trova un appiglio cui ancorarsi
Sentì allora che il suo cuore era l’unico porto pronto ad accogliere le cose buone e belle perché buone, le uniche  che desiderava trattenere. Le scelse, e lasciò che gettassero la loro ancora lì, e che lì, nel suo cuore, sostassero per sempre. Alla deriva, in balia dei flutti tutto il resto, incomprensioni e delusioni, promesse non mantenute, rancori ingoiati, malumori mal contenuti, sciocche ripicche, avventati giudizi… tutto un bagaglio di sensazioni e di emozioni forse anche importanti per il viaggio nella vita, ma che se non cominci ad  abbandonarlo in tempo rischia di diventare zavorra.
Tirò un bel respiro che le riempì i polmoni di aria nuova.
Vide Luca che la osservava, silenzioso e come sempre preoccupato per lei, Luca così discreto e disponibile, così generoso e paziente. Luca così solo… “Più tardi vorrei tornare al fiume. Con te”, gli disse.
E sentì che il suo bagaglio si era fatto più leggero.

 

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