LA GATTA CENERENTOLA

C’era una volta, tanto tempo fa, un principe vedovo con una figlia di nome Perlina, e le voleva tanto bene che pensava solo a farla contenta; perché imparasse a fare le catenelle, il tombolo veneziano, le sfilature e l’orlo a giorno aveva preso al suo servizio una maestra, che la trattava con un affetto davvero straordinario.
Ma da un po’ di tempo il principe si era risposato con una donna volgare e collerica che non sopportava Perlina, e la sgridava, le faceva i dispetti, la maltrattava da far paura, tanto che la povera piccina si sfogava con la maestra dicendo:
“Oh, se fossi stata tu la mia mammina, tu che sei così buona e mi tratti bene e mi fai tanti complimenti!”.
A forza di sentire Perlina che ripeteva queste parole, la maestra di cucito ebbe un’idea malvagia, e le disse:
“Se tu facessi a modo mio sarei proprio la tua mammina e ti vorrei bene più che a me stessa”. Stava per continuare quando Perlina le disse:
“Scusa se ti interrompo, ma lo so che mi vuoi bene, e allora non dubitare, farò qualunque cosa tu mi dica, insegnami come si fa perché io non lo so, e ti darò retta per filo e per segno”.
“Allora stammi a sentire,” disse la maestra, ” sta’ ben attenta e presto avrai tutto quello che vuoi. Quando tuo padre non c’è, di’ alla tua matrigna che ti prenda uno dei vecchi vestiti che sono nella cassapanca grande del ripostiglio, per risparmiare quello nuovo che hai indosso. Lei, che ti vestirebbe sempre di stracci, aprirà la cassapanca e dirà: ‘Reggi il coperchio’. Tu lo reggi, e mentre lei sta chinata a frugare dentro la cassa, lo lasci cadere di colpo, e così lei si romperà l’osso del collo. Dopo questo fatto, mentre il tuo babbo ti abbraccia e ti accarezza, chiedigli di sposarsi con me, lo sai che andrebbe a prendere anche la luna per accontentarti, e così diventerò la tua mammina e tu sarai felice, perché io ti darò e ti farò tutto quello che vorrai”.
Dopo aver sentito queste parole Perlina non vedeva l’ora di seguire il consiglio della maestra, e lo fece davvero, poi, lasciato passare un po’ di tempo per il lutto del principe, cominciò a dire al suo babbo che le sarebbe piaciuto tanto che sposasse la sua maestra, tanto brava e tanto buona. Dapprima il principe si mise a ridere, ma la fanciulla tanto fece e tanto disse che lo convinse, e per accontentarla si sposò con la maestra e fece una grande festa di nozze.
Mentre gli sposi stavano per conto loro e Perlina si era affacciata a un terrazzino di casa sua, una colombina volò sopra a un muro e le disse:
“Perlina, quando avrai un desiderio, fallo sapere alla colomba delle fate nell’isola di Adocentina, e il tuo desiderio si realizzerà”.
La nuova matrigna per qualche giorno fu piena di premure per la fanciulla, la faceva sedere a tavola nel posto migliore, le dava da mangiare i suoi cibi preferiti e le faceva mettere solo i vestiti più belli; ma dopo poco dimenticò quello che aveva promesso, e come se Perlina non avesse fatto nulla per lei, che era proprio una donnaccia, fece venire in casa le sue sei figlie di cui fino ad allora non aveva saputo nulla nessuno, e tanto disse e tanto fece che il principe si affezionò a loro e si dimenticò di Perlina.

Alla povera fanciulla ogni giorno portavano via qualcosa, perdette uno dopo l’altro i suoi bei vestiti, i gioielli, la sua poltroncina damascata, il letto col baldacchino, la sua camerina tappezzata di seta, il suo posto a tavola, e alla fine le permisero di sedersi soltanto nel cantuccio del focolare, dove stanno i gatti, lasciandole un solo vestito sdrucito che era sempre sporco di cenere. Non aveva più nemmeno il suo nome, perché per chiamarla gridavano:
“Gatta Cenerentola! Cenerentola! Gatta Cenerentola!”.
Dopo un po’ di tempo successe che il principe suo padre doveva andare nell’isola di Adocentina per affari molto importanti, e chiamando una ad una le sei figliastre domandava loro cosa desideravano che portasse al suo ritorno: chi chiedeva ricche vesti da indossare, chi ornamenti preziosi per i capelli, chi voleva trucchi per il viso, chi un giochino passatempo, e questa cosa e quell’altra. Alla fine, quasi per prenderla in giro, disse a sua figlia:
“E tu che vorresti Cenerentola?”. Lei rispose:
“Vorrei solo questo: che tu portassi i miei saluti alla colomba delle fate dicendole se mi mandano qualcosa; e se te lo dimenticherai vorrei che tu non potessi più andare né avanti né indietro”.
Il principe partì, fece i suoi affari nell’isola di Adocentina, comprò tutto quello che gli avevano chiesto le sei figliastre e si dimenticò come al solito di Cenerentola, ma quando il vascello sul quale si era imbarcato levò l’ancora e alzò le vele non riuscì a muoversi dal porto, come se fosse ancorato da catene invisibili. Dopo aver provato di tutto il povero capitano del vascello era tanto stanco che si addormentò, e in sogno gli apparve una fata che diceva:
“Sai perché il naviglio non può muoversi dal porto? perché il principe che è salito sul tuo vascello non ha mantenuto la promessa fatta a sua figlia, ricordandosi di tutte le figliastre e scordando quella che è carne della sua carne”.
Il capitano si svegliò e raccontò il sogno al principe, che mortificato per la sua mancanza si recò alla grotta delle fate, portò i saluti di sua figlia e chiese se avevano qualcosa da mandarle. Ed ecco che uscì dalla grotta una fanciulla, così bella e piena di grazia che incantava chi aveva la fortuna di vederla, e sorridendo gli disse:
“Ringrazia tua figlia di avermi mandato i saluti, le auguro di cuore di essere felice”.
Dopo queste parole gli consegnò quattro cose: un dattero, una zappettina d’oro, un secchiello d’oro e un tovagliolo di seta, spiegando che la prima era per seminare e le altre per coltivare. Il principe stupito da questo dono salutò la fata, risalì sul vascello che subito prese il mare col favore dei venti e fece ritorno al suo palazzo, dove, dopo aver dato alle figliastre tutto quello che gli avevano chiesto, diede finalmente a Cenerentola il dono della fata colomba.
Allora lei, con una contentezza che non stava nella pelle, piantò il dattero in un bel vaso, lo zappettava, lo annaffiava e col tovagliolo di seta mattina e sera l’asciugava, così la palma da dattero cresceva a vista d’occhio, e quando dopo pochi giorni raggiunse l’altezza di una donna ne venne fuori una fata che disse:
“Cosa desideri?”.
Cenerentola le rispose che desiderava uscire qualche volta dal palazzo per andare a passeggio, senza che lo sapessero le sue sorellastre. La fata disse:
“Ogni volta che lo desideri, avvicinati al vaso del dattero e dì:

Dattero mio dorato,
Con la zappina d’oro ti ho zappato,
col secchiellino d’oro ti ho bagnato,
col cencino di seta ti ho asciugato:
spoglia te e vesti me!


E quando vorrai spogliarti, ripeti queste parole cambiando l’ultimo verso così:
spoglia me e vesti te!.
Poco tempo dopo venne un giorno di festa, e quando furono uscite le figlie della maestra tutte sgargianti, truccate, eleganti, ingioiellate, infiocchettate e profumate, Perlina corse vicino al vaso del dattero e dicendo le parole che le aveva insegnato la fata si trovò vestita e agghindata come una regina, e a cavallo di un nobile destriero, scortata da dodici graziosi paggi, andò a passeggio dove andavano le sei sorelle, che rimasero a bocca aperta di fronte a lei.
Il caso volle che proprio in quel momento passasse il re, che vedendo la straordinaria bellezza di Perlina ne fu incantato, e se ne innamorò, e ordinò al suo servitore più fedele di scoprire che bellezza era quella, chi era e dove stava.
Il servo si mise subito a seguirla, ma lei se ne accorse e gettò una manciata di monete d’oro che si era fatta dare dal dattero a questo scopo. Le monete attirarono l’attenzione del servitore, che per fermarsi a raccoglierle smise di seguire il cavallo, e lei s’infilò di corsa in casa, andò dal dattero e disse:

Dattero mio dorato,
Con la zappina d’oro ti ho zappato,
col secchiellino d’oro ti ho bagnato,
col cencino di seta ti ho asciugato:
spoglia te e vesti me!

Si ritrovò vestita dei suoi stracci sporchi di cenere e si era appena seduta nel cantuccio del focolare quando rientrarono le sue sorellastre, che credendo di farle rabbia le raccontarono della bellissima sconosciuta che avevano visto a passeggio.
Intanto il servitore era tornato dal re e gli dovette raccontare com’era andata: il re diventando rosso dalla rabbia gli disse che per tre monete aveva perso la cosa che amava di più al mondo, e che nel prossimo giorno di festa doveva scoprire ad ogni costo dove si nascondeva quella fanciulla bella come una stella.
Venne un’altra festa e le sorellastre tutte preparate ed eleganti uscirono lasciando la disprezzata Cenerentola sola accanto al fuoco; allora lei corse dal dattero e disse le parole magiche. Ed ecco che uscì fuori dall’albero un gruppetto di damigelle, una con lo specchio, una con l’acqua di rose, una col ferro per arricciare i capelli, una con il belletto, una con i pettini, una con le spille, una con i vestiti, una con gli orecchini e le collane, e dopo averla fatta bella e splendente come la luna la fecero salire su una carrozza tirata da sei cavalli, accompagnata da staffieri e paggi in livrea.
Quando arrivò nello stesso posto dov’era stata la prima volta fece restare trasecolate le sorellastre e innamorare ancora più pazzamente il re.
Ma mentre tornava a casa, vedendo che il servitore le andava dietro, gettò una manciata di pietre preziose, e quel pover’uomo si fermò a raccoglierle, perché non erano cose da lasciare per terra, così lei fece in tempo ad arrivare a casa e a spogliarsi come al solito. Il servitore tornò a palazzo con la coda fra le gambe, e quando il re seppe cos’era successo gli disse:
“Per tutti i diavoli dell’inferno, giuro che se non mi trovi quella splendida fanciulla ti faccio morbido dandoti tanti calci nel didietro quanti sono i peli della tua barba!”.

Venne un’altra festa e appena le sei sorellastre furono uscite Cenerentola corse accanto al vaso e disse:

Dattero mio dorato,
Con la zappina d’oro ti ho zappato,
col secchiellino d’oro ti ho bagnato,
col cencino di seta ti ho asciugato:
spoglia te e vesti me!

Fu vestita meravigliosamente, e ancora più bella delle altre volte salì su una carrozza tutta d’oro, accompagnata da tanti servitori che pareva una regina a passeggio con la guardia reale; e dopo aver fatto morire di gelosia le sorellastre ripartì, col servitore del re che correva appiccicato alla sua carrozza, deciso a non fermarsi per nessuna ragione al mondo. Vedendo che le stava sempre alle costole lei disse:
“O cocchiere, fa’ andare i cavalli più forte che puoi!”
Ed ecco che l’andatura diventò velocissima e la carrozza correva con tanta furia che a Cenerentola cadde una scarpina, la più bella che si fosse mai vista. Il servitore non ce la fece a star dietro alla carrozza che ormai volava, ma raccolse la scarpina e la portò al re, raccontandogli cosa era successo.
Tenendo delicatamente la scarpina tra le mani, il re si sentì ispirato, e espresse il suo amore proprio con queste parole:

Se lo pedamiento è cossì bello, che sarrà la casa?
o bello canneliero, dove è stata la cannela che me strude!
o trepete de la bella caudara, dove volle la vita!
o belle suvare attaccate a la lenza d’Ammore, co la quale ha pescato chest’arma! ecco, v’abbraccio e ve stregno e, si non pozzo arrevare a la chianta, adoro le radeche
e si non pozzo avere li capitielle, vaso le vase!
già fustevo cippe de no ianco pede, mo site tagliole de no nigro core;
pe vui era auta no parmo e miezo de chiù chi tiranneia sta vita
e pe vui cresce autrotanto de docezza sta vita,
mentre ve guardo e ve possedo.

Poi fece chiamare i trombettieri, ai quali ordinò che andassero per le vie e le piazze a suonare e a cantare questo bando:

Il re invita tutte le donne a banchetto
tutte tutte le donne al palazzo del re.

E il giorno seguente, che allegra scorpacciata ci fu! Da dove erano venute fuori tante paste e pastiere, torte e tortellini, pasticci e pasticcini? C’era tanta abbondanza di cose buone che si sarebbe sfamato anche un esercito!
Vennero tutte le donne, nobili e popolane, ricche e povere, vecchie e giovani, belle e brutte, e dopo che ebbero fatto onore alla tavola sua maestà fece il brindisi e poi cominciò a provare la scarpina ad una ad una a tutte le invitate, per vedere a chi calzava a pennello. Sperava di riconoscere attraverso la misura e la forma della scarpina la fanciulla che stava cercando, ma non trovando nemmeno un piede che ci stava bene si sentì disperato.
Ma non voleva rassegnarsi, e dopo aver ordinato che facessero silenzio disse:
“Tornate anche domani, farò preparare qualche cosuccia come oggi, ma mi raccomando, non lasciate a casa nessuna femmina, per nessuna ragione”.
Allora il principe disse:
“Ho una figlia, maestà, ma pensa solo al focolare, è una povera disgraziata sempre sporca di cenere e non merita di stare alla tua tavola”.
Disse il re: “Sia lei la prima ad essere invitata, perché così desidero e voglio”.
Come aveva ordinato il re andarono tutti via e il giorno dopo ritornarono, con le figlie della maestra di cucito venne anche Cenerentola, e quando la vide entrare, anche se era vestita di stracci, il re sentì il cuore battergli più forte, ma non disse nulla.
Poi, quando tutti ebbero finito di abbuffarsi, cominciò la prova, e appena fu vicina a Perlina la scarpina fece un volo e si mise al suo piedino come se avesse avuto la calamita. Il re vide e subito corse a stringerla fra le sue braccia, poi la prese per mano e l’accompagnò sotto il baldacchino reale, la fece sedere accanto a sé e le mise una corona splendente sul capo, ordinando che tutte le donne si inchinassero e le rendessero omaggio, perché era lei la regina sua sposa.
Le sei sorellastre morivano dalla rabbia, e non riuscendo a sopportare questo spettacolo corsero verso casa dalla mamma e tutte indispettite ammisero che:

è pazzo chi combatte con le stelle!


Illustrazioni di Millicent Sowerby (1878-1967) 

dal Pentamerone di Gianbattista Basile

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