
LA MIA STORIA DA CRONISTA

Arrivavo in questura verso le 10,45. Prima di salire in sala-stampa, al primo piano, scambiavo due parole con i poliziotti che incontravo, compreso il questore, se lo intercettavo mentre usciva dalla vettura che lo aveva portato dal prefetto o ad un altro appuntamento. In sala-stampa salutavo i colleghi degli altri quotidiani, intenti a consultare le pagine della concorrenza; e poi con Alberto Berticelli, seguiti dagli altri andavamo alle Volanti per apprendere le notizie della notte precedente, quindi via per l’ufficio del capo della squadra mobile. Berticelli e io ci staccavamo dal gruppo e facevamo capolino in qualche sezione, dove potevamo raggranellare qualche chicca. Di quando in quando mi affacciavo alla stanza anticrimine, per un paio di battute, se era libero, con l’ispettore capo Albero Rocco Maria Sala, un pozzo di esperienze maturate anche all’estero, collaborando con l’Fbi negli Stati Unti, dove aveva sposato una modella.
Alberto, amico sincero, non parlava molto di lavoro, lasciando a bocca asciutta i voraci cronisti. E io avevo imparato a non fargli domande. E se a volte sfornava briciole non lesive per le indagini, sembrava l’oracolo si Apollo. Potevi essere seduto a un tavolo del bar a ridosso cel cinema Cavour, nell’omonima piazza, o a quello di fronte alla questura, o alla poltrona girevole della barbieria di Gaetano, barese simpatico e divertente, passata poi a un altro, riservato, come lo sono i leccesi. Alberto era irremovibile, tenace, un muro di mattoni refrattari. A ogni domanda un sorriso, l’offerta di un caffè. Abile nell’evitare risposte senza offendere, senza riuscire scontroso. A volte tagliava corto sostenendo di essere all’oscuro dei fatti. Rare volte diventava sordo e muto, riacquistando l’udito e la parola se si scivolava su un argomento a lui gradito. E anche oggi, che è in pensione, conserva l’abito mentale del servitore dello Stato: se qualche cronista gli rivolge domande su un accaduto di una trentina di anni fa, che lui conosce bene avendo avendo partecipato alle indagini, svia. Ma se gli si sollecitano risposte sulle selezioni affrontate da ragazzino per un film da girare nel Pavese, “luogo ideale per le riprese di antiche quanto superbe strutture architettoniche”, la risposta ce l’ha.
Alberto Sala è personaggio noto, anche perché, “nel percorso professionale nell’ambito della polizia di Stato, vuoi come segretario di un sindacato nazionale, vuoi come docente di difesa personale presso il ministero dell’Interno e naturalmente come investigatore”, ebbe modo di prendere parte a numerose trasmissioni televisive e dibattiti. In una di questi “talk show”, invitato ad essere presente come ospite da una sua amica, Francesca Provetti, conobbe Sandro Sebastiano Ravagnani (fra l’altro per 40 anni capo ufficio stampa del circo di Moira Orfei) e l’attore Ivano De Cristofaro che poi gli comunicheranno di essere pronti ad andare negli Usa per girare alcune scene di un loro film nel quale sarebbero apparsi Frank Columbu e Arnold Schewarznegger”, entrambi, oltre che attori famosissimi, erano grandi praticanti nella disciplina del Body Building. E su richiesta cominciò a fornire consigli e suggerimenti per la realizzazione del film.
Dopo tanti anni Alberto Sala lo ritrovo sul mio stesso fronte: giornalista e scrittore. Tutti questi particolari li ho appresi leggendo appunto il suo libro: “Valori di vita”. Un libro ricco di fatti, di pensieri, di commenti, di storie che hanno costellato la vita professionale e non di quest’uomo intelligente, colto, coraggioso, che non è mai stato seduto a una panchina di un parco a leggere il giornale o a guardare la gente che passeggia sotto un castagno. Ha lavorato, esplorato, scovato, interrogato, fatto cadere birilli e pedine grandi e piccole, sconvolto giochi, fatto saltare organizzazioni criminali, passato notti insonni e movimentate, sempre lontano dalla pubblicità, senza mai gloriarsene. L’ho letto con molto piacere, soffermandomi un po’ di più sul film, “Dreamland” (neppure lontanamente lo avrei immaginato coinvolto in un’impresa cinematografica, in qualsiasi ruolo), che affronta la storia di una famiglia che attraverso vari siparietti tra il serio e il faceto vuole rivivere come in una favola alcuni momenti “di un’esistenza dai lontani 1951, 1970 e 2011: la partenza dal paese natìo, la vita quotidiana nella Little Italy e nel ricordo di J (a cavallo della sua Harley Davidson, che sarà il filo conduttore della pellicola”.
Quindi Alberto passa a descrivere il suo impegno nei corpi di polizia, dall’Antiriciclaggio ai Nocs. “Nel corso degli anni 80, dopo aver conseguito un grado superiore presso la Scuola di Polizia, fu inviato in servizio permanente a Firenze”, dove rimase cinque anni, svolgendo tra l’altro compiti molto importanti e pericolosi, al comando del Nucleo di Protezione e Vigilanza del Presidente del Consiglio di allora Giovanni Spadolini. Ai quei tempi praticava judo jujitsu per difesa personale e dopo prestigiosi incarichi ebbe il comando della Squadra Speciale Antisequestri di persona alle dirette dipendenze di magistrati, specialisti di quel genere di reati; quindi venne selezionato per entrare nel Gruppo speciale Antiterrorismo, il Nocs.
Un libro interessante sulla vita che svolge un poliziotto tra insidie di ogni tipo da parte della malavita organizzata sempre più agguerrita. “Un giorno sotto i portici di piazza Esedra scoppiò una bomba contro la sede di una linea aerea estera e per fortuna non arrivai subito sul posto, perché dopo un minuto ne esplose un’altra”. Un fatto del genere successe anche a Milano in via Larga: anche quella volta contro gli uffici di una compagnia aerea straniera e proprio perché arrivato con cinque muniti di ritardo a causa del traffico ebbe salva la vita Giuseppe Zennaro, della squadra artificieri guidata dall’ispettore capo Alberto De Simone, altra “bocca cucita” della questura: “L’amicizia, anche se profonda come la nostra, non deve collidere con i doveri che c’impone la divisa”, diceva; e neppure nelle occasioni conviviali tra lui, me e Alberto Berticelli, de “Il Corriere della Sera” faceva il benchè minimo accenno al suo lavoro.
Alberto Sala ha dato la stura a indagini di grandissimo livello. Ha collaborato con i servizi segreti di mezzo mondo, è stato alla Squadra Omicidi, e come detto a quella che si occupava dei sequestri di persona; e stato in Africa alla caccia dei trafficanti d’armi; ha lavorato con i magistrati più tenaci; si è occupato di Antiriciclaggio; ha insegnato arti marziali: un’attività brillante, molto impegnativa e, ripeto, piena di rischi anche per la vita. Nel libro, ricco di foto, si racconta e coinvolge. Nelle immagini lo vediamo con i gruppi dei Nocs, esperti in armi ed esplosivi, capaci di arrampicarsi sulle rocce, abili a lanciarsi in volo con il paracadute dall’elicottero, esperti subacquei… Oggi Sala è un security manager.
Ne ha fatte, di cose. La sua è una vita piena, vissuta senza risparmiarsi; una carriera anche ricca di soddisfazioni. Di lui hanno parlato spesso i giornali, lo ritroviamo in mille foto a corredo degli articoli, in kimono per una sfida con il magistrato Antonio Di Pietro; insieme al prefetto Paolo Scarpis, scomparso da poco, con il prefetto Giuseppe De Matteis; mentre riceve un’alta onorificenza… Nel libro Alberto Sala ricorda le irruzioni notturne nei covi della mala dopo la messa a punto di un piano; l’arresto di personaggi di rilevo nella consorteria criminale. Un libro che svela mondi sconosciuti, del quale l’autore è stato uno dei protagonisti. Racconta la struttura di questo corpo speciale, fondato nel 1977 per volontà di Francesco Cossiga. Alberto Sala ne descrive le vicende, i successi, le imprese, le tattiche. Spiega anche come si entra nei Nocs, tesi a difendere “in primo luogo la vita degli ostaggi e solo secondariamente a mantenere in vita i bersagli in modo che possano essere assicurati alla giustizia”. E ricorda l’operazione che li fece emergere sulle cronache mondiali con l’operazione che portò alla liberazione a Padova, il 28 gennaio del 1982, del generale James Lee Dozier, rapito dalle Brigate Rosse. E non fu il solo clamoroso successo. Seguì tra le altre la liberazione di Giuseppe Soffiantini, il 17 ottobre del ’97. “Valori di vita” ha pagine emozionanti, scritte con uno stile scorrevole.
Franco Presicci
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