La rubrica: “RitroviAMOci: cultura, territorio e tradizioni” parla della Mozzarella di Bufala.
INTERVISTA A CURA DI MATILDE MAISTO.
Salve a tutti e ben trovati! Eccoci nuovamente qui con le dottoresse Tania Parente e Lucia Petrella, rispettivamente Presidente e Vice Presidente dell’Associazione Onlus Don Milani di Grazzanise, per un’altra puntata della nostra rubrica: “RitroviAMOci: cultura, territorio e tradizioni”.
Questo incontro lo vogliamo dedicare proprio al nostro territorio con un preciso riferimento al prodotto simbolo della zona del Basso Volturno, ovvero
LA MOZZARELLA DI BUFALA CAMPANA d.o.p., il cosiddetto ORO BIANCO della zona.
Sappiamo bene che la Mozzarella di Bufala Campana d.o.p. è un formaggio da tavola di pasta filata molle derivato da latte intero di bufala; il disciplinare contenuto nel DPR 28/9/1979 prevede, per la produzione della Mozzarella di bufala, l’utilizzo esclusivo di latte di bufala.
In tal modo rimane escluso un impiego anche parziale di latte bovino, altrimenti la Mozzarella non potrebbe essere più denominata “di bufala” ed il latte bovino dovrebbe essere necessariamente incluso tra gli ingredienti di produzione
- A TAL PROPOSITO DOTTORESSA PARENTE IL CONSUMATORE CHE COMPRA LA MOZZAELLA A CHE COSA DEVE FARE ATTENZIONE?
In questo caso, innanzitutto bisogna fare attenzione alla denominazione: solo il prodotto posto in vendita con la dicitura completa “Mozzarella di bufala campana” è quello originale, mentre il prodotto venduto come “Mozzarella di bufala” è prodotto in qualsiasi altra parte d’Italia, con latte di bufala proveniente da allevamenti distribuiti in altre zone all’infuori da quella tutelata.
Ancora, il prodotto venduto come “Mozzarella con latte di bufala” è sempre miscelato con latte di mucca in proporzioni variabili.
Sappiate che esiste una legge che vieta la vendita dei latticini sfusi, cioè privi dell’incarto recante la tipologia del prodotto, gli ingredienti e l’azienda produttrice con il relativo indirizzo; inoltre ogni prodotto D.O.P. reca anche il marchio che ne attesta l’originalità.
2. VOGLIAMO RICORDARE PER SOMMI CAPI COME VIENE FATTA LA MOZZARELLA DI BUFALA CAMPANA D.O.P.?
Innanzitutto si deve provvedere al “filtraggio del latte di bufala”. In effetti il latte utilizzato per essere trasformato in mozzarella, proveniente da allevamenti bufalini attentamente selezionati, deve essere consegnato al caseificio entro 12 ore dalla mungitura ed immagazzinato in recipienti che non ne modificano le caratteristiche organolettiche. Prima di lavorarlo, il latte viene filtrato affinchè vengano a scomparire tutte le impurità.
Poi si passa alla coagulazione del latte di bufala. La coagulazione del
latte di bufala viene preceduta dall’addizione di sieroinnesto naturale,
ottenuto lasciando acidificare spontaneamente a temperatura ambiente il siero
della lavorazione del giorno precedente.
La coagulazione viene effettuata mediante aggiunta al latte di caglio liquido
di vitello.
Segue la Rottura e Maturazione della cagliata, che viene effettuata di solito manualmente con un ‘ruotolo’ di legno La cagliata, che si presenta compatta e con occhiature regolari, viene quindi posta a spurgare su di un tavolo spersoio ed a maturare ulteriormente per tempi variabili tra i 15 ed i 30 minuti.
Dopo la rottura, la cagliata viene lasciata ad acidificare prima sotto siero. Nel ciclo di lavorazione artigianale l’acidificazione dura mediamente 3-4 ore, tuttavia, non sono rare le lavorazioni in cui questa fase tecnologica si protrae anche fino a 8 ore.
La durata dell’acidificazione della cagliata sotto siero è una delle variabili di processo che più influiscono sulla qualità della Mozzarella.
Come si stabilisce quando bloccare la maturazione della pasta e quindi procedere alla filatura? Il giusto grado di maturazione della cagliata si determina tramite il saggio empirico di filatura. Si opera in questo modo: circa 100g di pasta maturata vengono fusi in acqua calda, la pasta fusa viene posta su un bastoncino e tirata con le mani; se la pasta si allunga in filamenti continui di lunghezza superiore a un metro, senza spezzarsi, si può considerare pronta per la filatura
Poi segue la filatura. Questa fase della lavorazione è quella che influisce maggiormente sulla consistenza del prodotto finito e sulla resa di lavorazione.
Nella lavorazione tradizionale, la filatura della pasta viene ancora eseguita manualmente. La pasta, sufficientemente matura, viene tagliata in fette sottili con un trita-cagliata e posta in un tino di legno nel quale viene fusa per aggiunta di acqua bollente. Successivamente, con l’aiuto di adatti utensili, che nella pratica tradizionale sono costituiti da una ciotola e da un bastone di legno, si solleva e si tira la pasta fusa, fino ad ottenere un impasto omogeneo e lucido.
L’acqua non incorporata nell’impasto (“acqua bianca”) viene successivamente allontanata dal recipiente di filatura raccogliendola con la ciotola e filtrandola con un setaccio a maglie fini per recuperare i piccoli pezzi di pasta fusa. Al termine dell’operazione di filatura la pasta assume la struttura filiforme che costituisce la caratteristica peculiare della classe di formaggi denominati a pasta filata.
A livello artigianale la formatura della Mozzarella di Bufala Campana viene effettuata manualmente, da due operatori, di cui uno stacca (“mozza”) con il pollice e l’indice dei pezzi di pasta filata da una massa globosa di circa 2-3 Kg, sostenuta dall’ altro operatore.
La pasta filata viene manipolata con molta cura ed esperienza eseguendo dei movimenti caratteristici che si concludono con la mozzatura.
Alcune forme particolari, quali ad esempio la tradizionale “treccia”, vengono ottenute solamente a mano, intrecciando abilmente un segmento allungato di pasta filata fino ad ottenere la forma finale
La salatura viene realizzata generalmente immergendo la Mozzarella in soluzioni saline a diversa concentrazione, tipicamente con un contenuto di sale che varia dal 10 al 18%. La durata dell’operazione varia da caseificio a caseificio.
Una volta estratto dalla salamoia e immerso nel liquido di governo, la concentrazione di sale nel formaggio tende ad equilibrarsi.
Per effetto di un processo diffusivo la concentrazione del sale si abbassa negli strati esterni del formaggio e si innalza in quelli interni, con tendenza ad uniformarsi.
- VOLENDO RIPERCORRERE UNA BREVE STORIA DELLA MOZZARELLA CHE COSA POSSIAMO DIRE?
Il termine “mozzarella” è abbastanza antico e sembra ritrovarsi per la prima volta citato in un libro di cucina pubblicato nel 1570 da un tal Scappi, cuoco della corte papale; questi, operatore di una cucina che oggi non esiteremmo a definire “internazionale”, in un ambiente dove pervenivano specialità da ogni parte d’Italia e d’Europa, cita: “…capo di latte, butirro fresco, ricotte fiorite, mozzarelle fresche et neve di latte…”.
Comunque
il termine primario è “mozza”, di cui la più antica citazione sicura si ha
prima del 1481 dal fiorentino Giovanni di Paolo Rucellai.
Anche se le denominazioni (mozza-provatura) variano a seconda dell’epoca e
delle parlate, un fatto appare lampante e sicuro, cioè che tutte queste
denominazioni hanno voluto indicare sempre quella che oggi viene chiamata
“mozzarella”, che è il principale e più apprezzato prodotto ottenuto dal latte
di bufala.
Ricordiamo anche monsignor Alicandri,
della Chiesa Metropolitana di Capua, storico emerito, che in un suo lavoro del
secolo scorso intitolato “Il Mazzone nell’antichità e nei tempi presenti” ci
porta a conoscenza di un documento da lui riscontrato in quell’Archivio
Episcopale dal quale si evince come nel XII secolo “una mozza o provatura con
un pezzetto di pane era la prestazione che i monaci del monastero di S. Lorenzo
in Capua (fondato dalla principessa Aloara, vedova del principe Pandolfo Capo
di Ferro) davano in agnitionem dominii al Capitolo Metropolitano il quale ogni
anno, per antica tradizione, nella quarta fiera delle legazioni, recavasi
processionalmente in quella Chiesa”. Traspare evidente da questo documento come
la “mozza” fosse entrata nel costume rituale ecclesiastico; e d’uopo quindi
arguire che doveva essersi già necessariamente affermata nell’uso comune.
Plinio il vecchio (N. H., XI 241) cita il laudatissimum caseum del Campo
Cedicio, identificabile con quelle aree tra Mondragone ed il Volturno, cui pure
compete l’attuale denominazione di “Mazzoni” e dove è assai sviluppato
l’allevamento bufalino e la produzione di latticini di bufala. All’ epoca di
Plinio si trattava evidentemente di prodotti vaccini, ma quando tra X e XI
secolo si sviluppò il fenomeno dell’impaludamento, il bufalo trovò un habitat
idoneo ed il suo latte sostituì quello vaccino nella preparazione di quel
prelibato formaggio.
Solo molti anni dopo con il miglioramento della rete stradale, con l’espandersi
delle ferrovie, i prodotti bufalini cominciano a varcare i confini della
Campania, per raggiungere altre zone di smercio. Con gli ulteriori interventi
di bonifica, attuati in Campania a cavallo degli anni di guerra, sembrò si volesse
segnare la definitiva scomparsa dell’allevamento bufalino; però malgrado le
catastrofiche previsioni dell’immediato dopoguerra, si deve registrare un
incremento medio dell’allevamento costante negli anni.
- UN ARGOMENTO FONDAMENTALE RIGUARDANTE LA MOZZARELLA E’ “Il MARCHIO D.O.P.”, NE POSSIAMO PARLARE PER DARE QUALCHE CHIARIMENTO?
La Commissione Europea ha creato un logo che
permette di identificare prontamente i prodotti alimentari inseriti nei sistemi
di tutela, noto come D.O.P (Denominazione d’Origine Protetta).
Questo logo consente ai produttori di far conoscere meglio i propri prodotti ai
consumatori; il logo dimostra che le qualità specifiche di un determinato
prodotto sono legate alla regione da cui proviene, e sarà la sua vera garanzia
di autenticità.
La Mozzarella ha ottenuto il riconoscimento del marchio D.O.P. il 12 Giugno 1996 per effetto del reg. Ce 1107/96.
- VOGLIAMO RICORDARE QUALCHE NOTIZIA INERENTE IL BUFALO MEDITERRANEO IN CAMPANIA?
Trattare,
seppure sommariamente, dell’introduzione in Italia della bufala e della
diffusione dei suoi prodotti, non è facile, sia per la frammentazione delle fonti che per
la loro scarsità. Sappiamo, comunque che il
bufalo (lat. scient. Bubalus Frisch): genere di ruminanti della sottofamiglia
di bovini: forme tozze, arti corti e grossi, pelame scuro e negli adulti
scarso, corna segnate da rugosità trasversali sono le caratteristiche che
differenziano il bufalo dal bovino. Chi per la prima volta incontra bufali domestici
raccapriccia davvero. L’espressione della loro faccia indica un’indole
indomabile ed una ferocia nascosta. Dall’occhio si svelano l’astuzia e la
perfidia… Ma non si tarda a riconoscere che si avrebbe torto a giudicare il
bufalo dall’apparenza.
Infatti il bufalo nella sua indole intellettuale si distingue per una profonda
indifferenza per tutto quello che non è acqua o cibo, ad eccezione forse
unicamente del piccolo che la femmina abbia da poco partorito. Si rassegna
colla medesima stupida indifferenza a quello che non può evitare; tira l’aratro
ed il carro, si lascia condurre a casa e di nuovo ricondurre al campo, né
pretende altro se non che di godere il suo bagno quotidiano per parecchie ore.
Del resto il bufalo è poco adoperato per l’agricoltura. Il bufalo è sgradevole
per il suo sudiciume. A lui è perfettamente indifferente che la melma gli si
sia appiccicata ai crini, o che un bagno di lunghe ore nelle fresche acque del
fiume lo abbia completamente lavato e ripulito. Sa sopportare con calma e
filosofica dignità quelle varie condizioni. Il bufalo è un animale silenzioso.
Quando se ne sta nel suo bagno fresco, non schiude la bocca, Lasciato a se stesso, nelle regioni più
settentrionali, il bufalo si accoppia nei mesi di primavera, cioè in aprile e
maggio. Dieci mesi dopo la femmina partorisce; il neonato è una creatura assai
deforme; è tuttavia teneramente amato dalla madre e difeso in caso di pericolo
col noto coraggio della sua razza.
E’ adulto
nel quarto o nel quinto anno e vive sino a 18 o 20 anni.
E’ soprattutto in Campania, nel basso
Volturno e nella piana del Sele, che si è diffuso con sorprendente facilità,
sfruttando nel modo migliore quei pascoli altrimenti improduttivi per la
periodica e spesso totale invadenza delle acque del Volturno e del Sele. Sono
moltissime le fonti e le notizie che si
riferiscono all’allevamento bufalino nella piana del
Volturno. Pare che tutta la zona dall’
Appia al mare, dal Massico a Villa Literno si è popolata di centri di allevamento, le cosiddette
“pagliare o procoi” ed abbia assunto il nome caratteristico di “Mazzone delle
Rose”.
Man mano si sono delineati i caratteri dell’allevamento bufalino, caratteri che
si sono via, via arricchiti nel tempo, di quelle peculiari doti che ne hanno
fatto uno degli allevamenti più caratteristici ed originali, trasportandosi di
tempo in tempo fino all’alba dei giorni nostri, fino cioè a che non si è
profondamente trasformato ed adeguato alle nuove esigenze della vita e
dell’agricoltura moderna. Nel 1954 per la prima volta al mondo una
bufala fu munta con una mungitrice automatica. E ne è stata fatta di strada da
allora. Le aziende moderne sono dotate di sofisticate apparecchiature che
lavano e disinfettano la mammella prima di mungere la bufala. Al collo di ogni
animale c’è poi un microchip su cui sono memorizzati un’infinità di dati, una
specie di “carta d’identità” che indica alla macchina persino la
posizione dei capezzoli e quali di questi mungere. Ogni volta viene poi
effettuato in tempo reale un esame diagnostico sulla carica batterica del latte
e sullo stato di salute dell’animale, e i dati raccolti vengono inviati per via
telematica ad una centrale di controllo che sorveglia tutto il lavoro. Oggi il
patrimonio bufalino si è ricostituito a ritmi esponenziali, fino a raggiungere oltre
250.000 capi allevati nella sola Campania. Dal 1979 opera su tutto il territorio nazionale l’ANASB (Associazione
Nazionale Allevatori Specie Bufalina). Nel giugno del 1980 e’ stato istituito
il Libro Genealogico della Specie Bufalina, gestito inizialmente dall’AIA, al
fine di ottenere il miglioramento genetico della specie.
- ORA VORREI CHE PARLASSIMO UN POCO DEL “LATTE DI BUFALA”
Il latte bufalino ha sapore dolce, colore
bianco opaco dovuto all’assenza di carotenoidi. Il pH oscilla tra il 6,6-6,8.
Il grasso è tra il 6-9% . Un aspetto
della tipicità del latte bufalino é strettamente legato alla sua natura
microbiologica.
In condizioni normali, infatti, nel latte di bufala sono presenti alcuni ceppi
di lattobacilli in concentrazioni superiori a quelle contenute nel latte
vaccino. Dalla lavorazione di 1 q.le di latte di bufala si ottengono oltre 24
Kg di mozzarella, Per
ottenere un chilo di mozzarella di bufala servono circa 4 litri e mezzo di
latte, e poiché dalla mungitura di una bufala si ottengono mediamente 12 litri
di latte al giorno è facile calcolare che ogni animale dà la possibilità di
produrre solo 3 chili di mozzarella.
Ancora
oggi, in alcuni rari casi, quando è il momento della mungitura, le bufale
vengono chiamate ognuna con il proprio nome, che ricordano perfettamente e
all’appello, fatto sempre dalla stessa persona, si staccano dal branco e si
avviano alla loro postazione per essere munte.
Sono animali intelligentissimi, infatti.
Secondo l’antico rito il bufalaro, alle prime luci dell’alba, chiama per nome
le bufale per condurle alla mungitura: ogni bufala ha un nome diverso ed il
richiamo di una mandria di bufale suona come una cantilena. Al giorno d’oggi,
però, sono poche le bufale che vengono ancora identificate con un nome in
quanto una targhetta riportante un numero a 14 cifre, imposto dall’anagrafe
dell’Unione Europea, e altre due, rispettivamente con il numero aziendale e del
libro genealogico, contraddistinguono l’ animale.
- RICETTE e CONSERVAZIONE della MOZZARELLA
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