CULTURA: UN RICORDO FANTASTICO “LETTERATITUDINI E L’AMORE”

Un post molto lungo, ma una serata di “Letteratitudini” assolutamente indimenticabile!

 

“Letteratitudini” incontro del mese di Febbraio 2011

 Argomento:

“L’AMORE”

Voce Narrante: Felicetta Montella

 

 

…AMOR CHE MUOVE…, inizia la Montella e poi continua: l’amore era presente nell’universo prima della Creazione; la Creazione stessa scaturì dall’amore, sia che fosse avvenuta ad opera di un dio, sia che avesse animato quel’attrazione che portò gli atomi a sintetizzarsi tra di loro e dare origine alla materia. L’amore é presente ove vi è attrazione, ove vi è piacimento, e, da sempre, ha necessità’ di manifestarsi; in primis, all’amato, poi  al mondo,con un grido di gioia o un anelito di profondo dolore.

L’uomo nel suo percorso evolutivo, diventò erectus, poi habilis e, sulle pareti delle grotte in cui si rifugiava, lasciò tracce delle sue passioni, grafiti che lo immortalavano con la sua donna e nelle scene di caccia. L’uomo diventava sempre più intelligente, imparò a comunicare attraverso la parola, la tradusse in scrittura e, da allora in poi, sull’amore, si è sempre scritto. Talora in modo immediato e essenziale (sui muri della rinvenuta Pompei si possono leggere frasi dedicate a ragazze della città; criticabile il gesto anche a quel tempo, ma indiscussa testimonianza del desiderio di esternare il sentimento o piacimento che fosse,e arrivare all’altro.), talvolta raffinato, dotto, accademico,aulico.

Lasciarono scritti sull’amore le prime grandi civiltà; poi i Greci e i Latini, padri della nostra cultura, i cui poeti e scrittori diedero all’amore, in versi e in prosa, un’alta espressione letteraria.

Il tema dell’Amore sviscerato, dunque, attraverso il corso del mondo e della vita, ma un sentimento, un moto dell’animo, un’irrequietezza che nasce dal nostro profondo per qualcosa che piace e che vorremmo fare nostro, un’agitazione che cresce e coinvolge i nostri sensi ed allora il corpo diventa il mezzo che l’anima usa per comunicare le sue emozioni: ridere, piangere, toccare, danzare, scrivere, pregare, combattere…una dinamica particolare che spinge il soggetto verso l’oggetto di piacimento , e che, all’esasperazione, diventa passione. Le passioni alimentano i pensieri filosofici, maturano i processi storici, hanno il fervore necessario a raggiungere l’oggetto di piacimento, che può essere uomo o donna, ma anche un ideale, come la patria, la famiglia, la libertà, Dio.

PER MAGGIORE INFORMAZIONE, PROPONGO INTEGRALMENTE IL TEMA TRATTATO:

…AMOR CHE MUOVE…

L’amore era presente nell’universo prima della Creazione; la Creazione stessa scaturì dall’amore, sia che fosse avvenuta ad opera di un dio, sia che avesse animato quel’attrazione che portò gli atomi a sintetizzarsi tra di loro e dare origine alla materia. L’amore é presente ove vi sia attrazione, ove vi sia piacimento, e, da sempre, ha necessità’ di manifestarsi; in primis, all’amato, poi  al mondo,con un grido di gioia o un anelito di profondo dolore.

L’uomo si evolse, diventò erectus, poi habilis e, sulle pareti delle grotte in cui si rifugiava, lasciò tracce delle sue passioni, grafiti che lo immortalavano con la sua donna e nelle scene di caccia. L’uomo diventava sempre più intelligente, imparò a comunicare attraverso la parola, la tradusse in scrittura e, da allora in poi, sull’amore, si è sempre scritto. Talora in modo immediato e essenziale (sui muri della rinvenuta Pompei si possono leggere frasi dedicate a ragazze della città; criticabile il gesto anche a quel tempo, ma indiscussa testimonianza del desiderio di esternare il sentimento o piacimento che fosse,e arrivare all’altro.), talvolta raffinato, dotto, accademico,aulico.

Lasciarono scritti sull’amore le prime grandi civiltà; poi i Greci e i Latini, padri della nostra cultura, i cui poeti e scrittori diedero all’amore, in versi e in prosa, un’alta espressione letteraria.

ASCLEPIADE

(III sec. a. C.)

COME CALICI DI ROSA

Che birichina è Didima! Rapito

sono; e mi struggo come cera al fuoco

solo a guardarla.

Troppo bruna? Che importa! Anche i carboni

se tu li accendi,

splendono come calici di rosa.

ANACREONTE
(VI sec. a. C.)

LA FERITA DI EROS

Con una grande scure,
come uno spaccalegna, mi ha colpito
Eros;
e la ferita mi ha lavato
in un torrente gonfio di tempesta.

UNA PALLA ROSSA

Una palla rossa m’ha buttato
Eros dai capelli d’oro.
E m’ha detto : — Gioca
con quella bambina
che ha i sandali dipinti. —
Ma la bambina,
ch’è nativa di Lesbo,
veduti i miei capelli bianchi,
ha un gesto di dispetto e se ne va

IBICO
(VI sec. a. C.)

COME IL VENTO DEL NORD

A primavera, quando
l’acqua dei fiumi deriva nei canali
e lungo l’orto sacro delle vergini
ai meli cidonii apre il fiore,
ed altro fiore assale i tralci della vite
nell’ombra delle foglie;

in me Eros,
che mai alcuna età mi rasserena,
come il vento del nord rosso di fulmini,
rapido muove: cosí, torbido
spietato arso di demenza,
custodisce tenace nella mente
tutte le voglie che avevo da ragazzo.

NUOVAMENTE EROS

Nuovamente Eros,
di sotto alle palpebre languido
mi guarda coi suoi occhi di mare:
con oscure dolcezze
mi spinge nelle reti di Cipride
inestricabili.

Ora io trepido quando si avvicina,
come cavallo che uso alle vittorie,
a tarda giovinezza, contro voglia
fra carri veloci torna a gara.

SAFFO
(VI -sec. a. C.)

AMORE

Scuote amore il mio cuore
come vento nei monti si abbatte su querce.

Dolce madre,
non posso piú tessere la tela;
desiderio di un fanciullo mi ha vinta,
e la molle Afrodite.

Férmati, caro, rimani
dinanzi a me,
scopri la grazia che è nel tuo sguardo.

E’ l’amore, quel moto dell’animo, quell’irrequietezza che nasce da dentro perché un qualcosa ci piace e vorremmo farlo nostro; quell’agitazione che cresce e coinvolge i nostri sensi, e allora il corpo diventa il mezzo che l’anima usa per comunicare le sue emozioni: ridere, piangere, toccare, danzare, scrivere, pregare,combattere…una dinamica particolare che spinge il soggetto verso  l’oggetto di piacimento,e che, all’esasperazione, diventa passione. Le passioni alimentano i pensieri filosofici, maturano i  processi storici, hanno il fervore necessario a raggiungere l’oggetto di piacimento, che può essere uomo o donna, ma anche  un ideale, come la patria, la famiglia, la libertà, Dio.

“Dolce é sentire come nel mio cuore, ora umilmente, sta nascendo amore…” dalla preghiera “Fratello sole e sorella Luna” di san Francesco d’Assisi, il quale ha lasciato cantiche meravigliose, colme di amore verso Dio, fra cui “Il Cantico delle Creature” un inno d’amore a Dio e alle cose da Lui create, che, tra l’altro, rappresentano anche le prime manifestazioni letterarie in lingua volgare.

“E’ l’amor un disìo che vien da core, per abondanza di
gran piacimento…”così celebrata nei versi di Giacomo
da Lentini,della Scuola Siciliana, in cui, l’amore fu la
tematica principale. Si trattava dell’amore fra uomo e
donna, in cui quest’ultima era considerata creatura
irraggiungibile, fonte di amore inappagato.
Nel Dolce Stil Novo, la donna è una figura angelica
che fa da tramite tra l’uomo e il Cielo: in particolare,
per Dante diventa creatura innaturale, allegoria della
teologia, quindi scala al Fattore; per il Petrarca è
anche creatura sensuale, “fero desìo”, bellezza fisica,
quindi fonte di travaglio e allontanamento da Dio


Quindi, l’EROS che racchiude il desiderio
incontenibile, la brama, la carnalità ma anche la
sottile sensualità e l’eccitazione. È lussuria venata di
raffinata libido, razionalità spazzata via dall’impulso
del possesso.

Amore e Psiche durante i loro incontri notturni

Amore e Psiche

 

Psiche, una bellissima fanciulla che non riesce a
trovare marito, diventa l’attrazione di tutti i popoli
vicini che le offrono sacrifici e la chiamano Venere.
La divinità, saputa l’esistenza di Psiche, gelosa per il
nome usurpatole, invia suo figlio Amore (o Cupido)
perché la faccia innamorare dell’uomo più brutto e
avaro della terra e sia coperta dalla vergogna di
questa relazione. I genitori di Psiche, nel frattempo,
consultano un oracolo che consiglia loro:

« “Come a nozze di morte vesti la tua fanciulla ed esponila, o re, su un’alta cima brulla. Non aspettarti un genero da umana stirpe nato, ma un feroce, terribile, malvagio drago alato che volando per l’aria ogni cosa funesta e col ferro e col fuoco ogni essere molesta. Giove stesso lo teme, treman gli dei di lui, orrore ne hanno i fiumi d’Averno e i regni bui.”(IV, 33) »

Psiche viene così portata a malincuore sulla cima di
una rupe e lì viene lasciata sola. Tuttavia il dio si
innamora della mortale e, con l’aiuto di Zefiro, la
trasporta al suo palazzo dove, imponendo che gli
incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire
della madre Venere, la fa sua; così per molte notti
Eros e Psiche bruciano la loro passione in un amo
re che mai nessun mortale aveva conosciuto; Psiche è
prigioniera nel castello di Cupido, legata da una
passione che le travolge i sensi.

Una notte Psiche, istigata dalle sorelle, che Cupido le aveva detto di evitare, con una spada e una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, nella paura che l’amante tema la luce per la sua natura malvagia e bestiale. È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cade dalla lampada e ustiona il suo amante:

« … colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d’improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa (V, 23) »

Fallito il tentativo di aggrapparsi alla sua gamba, Psiche straziata dal dolore tenta più volte il suicidio, ma gli dei glielo impediscono. Psiche inizia così a vagare per diverse città alla ricerca del suo sposo, si vendica delle avare sorelle e cerca di procurarsi la benevolenza degli dei, dedicando le sue cure a qualunque tempio incontri sul suo cammino. Arriva però al tempio di Venere e a questa si consegna, sperando di placarne l’ira per aver disonorato il nome del figlio.

Venere sottopone Psiche a diverse prove: nella prima, deve suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali; disperata, non prova nemmeno ad assolvere il compito che le è stato assegnato, ma riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che provano pena per l’amata di Cupido. La seconda prova consiste nel raccogliere la lana d’oro di un gruppo di pecore. Ingenua, Psiche fece per avvicinarsi alle dette pecore, ma una verde canna la avverte e la mette in guardia: le pecore diventano infatti molto aggressive con il sole e dovrà aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta tra i cespugli. La terza prova consiste nel raccogliere dell’acqua da una sorgente che si trova nel mezzo di una cima tutta liscia e a strapiombo. Qui viene però aiutata dall’aquila dello stesso Giove.

 

Amore risveglia Psiche

L’ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un po’ della sua bellezza. Psiche medita addirittura il suicidio tentando di gettarsi dalla cima di una torre; improvvisamente però la torre si anima e le indica come assolvere la sua missione. Durante il ritorno, mossa dalla curiosità, apre l’ampolla (data da Venere) contenente il dono di Proserpina, che in realtà altro non è che il sonno più profondo. Questa volta verrà in suo aiuto Amore, che la risveglia dopo aver rimesso a posto la nuvola soporifera uscita dalla ampolla e va a domandare aiuto a suo padre.

Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche riceve con l’amante l’aiuto di Giove: mosso da compassione il padre degli dei fa in modo che gli amanti si riuniscano: Psiche diviene una dea e sposa Amore. Il racconto termina con un grande banchetto al quale partecipano tutti gli dei, alcuni anche in funzioni inusuali: per esempio, Bacco fa da coppiere, le tre Grazie suonano e il dio Vulcano si occupa di cucinare il ricco pranzo.

Più tardi nasce la figlia, concepita da Psiche durante una delle tante notti di passione dei due amanti prima della fuga dal castello. Questa viene chiamata Voluttà, ovvero Piacere.]

Apuleio- Le Metamorfosi

 

CANTO V INFERNO

 

 

 «La prima di color di cui novelle
tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta,
54 «fu imperadrice di molte favelle.

 

 

Virgilio rispose: «La prima di cui tu vuoi notizie è Semiramide, di lei si parlò nel mondo;

 

 

 A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
57 per tòrre il biasmo in che era condotta.

 

 

ella fu travolta dal vizio a tal punto da dover rendere lecita, per legge, la libidine onde evitare il biasimo dei suoi sudditi.

 

 

 Ell’è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
60 tenne la terra che ‘l Soldan corregge.

 

 

Ella succedette a Nino e fu sua sposa e governò la terra d’Egitto, che ora è guidata dal sultano.

 

 

 L’altra è colei che s’ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
63 poi è Cleopatràs lussurïosa.

 

 

L’altra è Didone, regina di Cartagine che si offrì amorosa ad Enea, venendo meno alla memoria del marito Sicheo e che poi abbandonata da Enea si uccise.
Poi vi è Cleopatra, famosa regina d’Egitto, “lussuriosa” poiché amante dei piaceri della vita lussuosa.
Ella divenne amica di Cesare per poter vivere nella Roma corrotta. Tutti suicidi per amore.

 

 

 Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi ‘l grande Achille,
66 che con amore al fine combatteo.

 

 

Ed ecco Elena che fu la causa della lunga e sanguinosa guerra di Troia, ecco Achille che con grande amore combatté.
Egli innamorato della figlia di Priamo, Polissena, per amor suo si lasciò uccidere a tradimento.

 

 

Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
69 ch’amor di nostra vita dipartille.

 

 

E paris e Tristano e più di mille ombre mi mostrò, “ch’amor di nostra vita” amor mal concepito “dipartille”costrinse ad uccidersi.

 

 

 Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e ‘ cavalieri,
72 pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

 

 

Queste anime prive del corpo fisico che col suicidio avevano ripudiato, ora disincarnate soffrivano senza posa. Dopo che il mio Maestro così mi parlò di donne antiche e cavalieri, io da gran pietà fui smarrito.

 

 

 I’ cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ‘nsieme vanno,
75 e paion sì al vento esser leggeri».

 

 

Io cominciai: «Poeta, volentieri parlerei con quei due che insieme vanno e paiono andar leggeri, liberi da impedimenti nell’estrinsecazione dei loro profondi sentimenti».

 

 

 Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
78 per quello amor che i mena, ed ei verranno».

 

 

Virgilio rispose: «Quando saranno più vicini a noi li pregherai in nome di quell’amor che ancor li tiene insieme e loro verranno».

 

 

 Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
81 venite a noi parlar, s’altri nol niega!»

 

 

Quando il vento dell’espiazione li spinse a noi più vicini, io a loro parlai e loro, più degli altri intendere potevano il mio parlare in quanto era nell’equilibrio d’amore che essi espiavano insieme: «O anime tormentate, venite a parlar con noi se qualche Legge Divina non ve lo vieta!»

 

 

 Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
84 vegnon per l’aere, dal voler portate;

 

 

Come le colombe chiamate dal desiderio del dolce nido s’arrestano con le ali alzate;

 

 

 cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
87 sì forte fu l’affettüoso grido.

 

 

così quelle anime s’arrestarono e uscendo dalla schiera dell’espiazione dove Dio le aveva poste, attraversarono l’aere malefico e si diressero verso di noi, così forte fu l’affettuoso invito.

 

 

 «O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

 

 

«O essere animato grazioso e buono che visitando vai per l’aere del male noi che di sangue tingemmo il mondo,

 

 

 se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
93 poi c’hai pietà del nostro mal perverso.

 

 

se fossimo nella grazia di Dio, pregheremmo Lui per la tua pace, poiché tu hai pietà del nostro male.

 

 

 Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
96 mentre che ‘l vento, come fa, ci tace.

 

 

Noi parleremo con voi di quello che parlar vi piace, mentre il vento dell’espiazione si placa, come ora già fa.

 

 

 Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ‘l Po discende
99 per aver pace co’ seguaci sui.

 

 

La terra che mi dette i natali siede sulla marina dove il Po discende per dar pace a coloro che amano in quel luogo cercar la pace.

 

 

 Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
102 che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

 

 

L’amore, che prende facilmente i cuori gentili, nacque nel cuore di costui dalla bella persona, (“bella persona”si intende: buono, gentile, intelligente, evoluto, bello spiritualmente); quest’uomo, dalla bella persona, mi fu strappato con la morte e il modo crudele di quel delitto ancora mi addolora.

 

 

 Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
105 che, come vedi, ancor non m’abbandona.

 

 

“Amor, ch’a nullo amato amar perdona” si riferisce a quell’amore umanamente sconosciuto che, anche se per nulla è ricambiato, perdonare sa l’amore per il quale il suo sentimento non fu corrisposto. Questo sentimento, che sa dare amore senza chiedere amore, conquistò in modo così completo la persona amata che, come vedi, non mi abbandona neanche dopo la morte.

 

 

 Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
108 Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso e tanto il tenni basso,
111 fin che ‘l poeta mi disse: «Che pense?»

 

 

L’amore ci portò ad una stessa morte e grave pena attende chi ci spense alla vita.
Da queste parole compresi la sofferenza che travagliava quelle anime. Chinai il capo e tanto lo tenni basso che il Maestro mi domandò: «Che pensi?»

 

 

 Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
114 menò costoro al doloroso passo!»

 

 

Io gli risposi: «Oh me affranto! quanta dolcezza di amorosi sentimenti menò costoro al doloroso passo!»

 

 

 Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
117 a lagrimar mi fanno tristo e pio.

 

 

Poi mi rivolsi a loro e così parlai: «Francesca, le tue sofferenze mi commuovono sino al pianto.

 

 

 Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette Amore
120 che conosceste i dubbiosi disiri?»

 

 

Ma dimmi: nel tempo dei dolci sospiri come si rivelò il vostro reciproco sentimento d’amore?»

 

 

 E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
123 ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.

 

 

Ed ella a me: «Nessun dolore è maggiore del ricordo del tempo felice quando si vive nell’infelicità e questo il tuo dotto Maestro ben lo sa.

 

 

 Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
126 dirò come colui che piange e dice.

 

 

Ma se tu hai desiderio di sapere l’origine del nostro amore, io, piangendo, a te parlerò.

 

 

 Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse:
129 soli eravamo e sanza alcun sospetto.

 

 

Noi leggevamo un giorno per diletto la storia di Lancillotto del Lago, nel punto in cui egli s’innamora della regina Ginevra, moglie di re Artù. Soli eravamo e senza alcun sospetto di ciò che sarebbe in seguito accaduto.

(Francesca, figlia di Guido da Polenta, Signore di Ravenna, fu costretta a sposare, per motivi politici, il deforme, zoppo Cianciotto Malatesta, poi, innamoratasi del cognato Paolo, fu trucidata assieme all’amante).

 

 

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
132 ma solo un punto fu quel che ci vinse.

 

 

Francesca continua:
più volte quella lettura ci spinse a guardarci negli occhi e ci fece impallidire. Ma solo un punto fu che ci sospinse a rivelare l’un all’altro il nostro reciproco amore.

 

 

 Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
135 questi, che mai da me non fia diviso,

 

 

Quando leggemmo che Lancillottto baciava la bocca sorridente di Ginevra, allora costui, che da me mai sarà diviso,

 

 

 la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
138 quel giorno più non vi leggemmo avante».

 

 

la bocca mi baciò tutto tremante. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse e da quel giorno smettemmo la lettura».

 

 

Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com’io morisse.
142 E caddi come corpo morto cade.

 

 

Mentre uno spirito parlava, l’altro piangeva, così che di pietà io venni meno e parve ch’io morissi. E caddi come corpo morto cade.

Paolo e Francesca furono uccisi perché colpevoli di amarsi.
Questo episodio di dolcissimo amore tragicamente calpestato è la dimostrazione di quell’errata logica umana che predispone il sì e il no di tutte le cose e che porta gli uomini a vedere il merito e la colpa attraverso le repressioni e le inibizioni causate dalla spessa rete dei propri pregiudizi e preconcetti che modificano e distorgono tutto il bello e il buono della vita.

GIUSEPPE FRASCHERI –  Dante e Virgilio con Paolo e Francesca

 

PETRARCA

 

Benedetto sia ‘ l giorno e ‘ l mese e l ‘ anno

e la stagione e ‘ l tempo e l ‘ ora e ‘ l punto

e ‘ l bel paese e ‘ l loco ov’ io fui giunto

da’ duo begli occhi che legato m ‘ ànno ;

e benedetto il primo dolce affanno

ch ‘ i’ ebbe ad essere con amor congiunto ,

e l ‘ arco e le saette ond ‘ io fui punto ,

e le piaghe che ‘infin al cor mi vanno .

Benedette le voci tante ch ‘ io

chiamando il nome di mia Donna ò sparte ,

e i sospiri e le lagrime e ‘ l desio ;

e benedette sian tutte le carte

ov ‘ io fama l’acquisto , e ‘ l pensier mio ,

ch ‘ è sol di lei , sì ch ‘altra non v’à parte .

 

[ISCINTA E SCALZA, CON LE TREZZE AVVOLTE]

Iscinta e scalza, con le trezze avvolte,
e d’uno scoglio in altro trapassando,
conche marine da quelli spiccando,
giva la donna mia con le altre molte.

E l’onde, quasi in sé tutte raccolte,
con picciol moto i bianchi piè bagnando,
innanzi si spingevan mormorando
e ritraènsi iterando le volte.

E se tal volta, forse di bagnarsi
temendo, i vestimenti in su tirava,
sì ch’io vedeo più della gamba schiuso,

oh, quali avria veduto allora farsi,

chi rimirato avesse dov’io stava,
gli occhi mia vaghi di mirarsi.             (Giovanni Boccaccio)

Caravaggio – Amore vittorioso

Canti carnascialeschi

Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
Chi vuol essere lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
[…]
Ciascun apra ben gli orecchi,
di domani nessun si paschi;
oggi sian, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi;

ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.
Chi vuol essere lieto, sia:
di doman non c’è certezza.

Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Ciò c’ha esser, convien sia!
Chi vuol essere lieto, sia:
di doman non c’è certezza.      (Lorenzo de Medici detto il Magnifico)

Nell’Umanesimo e nel Rinascimento, se da una parte, si esprime al massimo una concezione naturalistica dell’amore, ispirandosi al modello boccacciano (Poliziano e Lorenzo il Magnifico, per esempio, invitano a cogliere la rosa, cioè a godere i piaceri amorosi) dall’altra fioriscono delle tendenze idealizzanti che si rifanno al neoplatonismo. Vengono esaltati, pertanto, l’amore e la libertà come valori assoluti. Bembo nel Cinquecento, e quindi in pieno Rinascimento, diceva:

“Perciò che è verissima openione, a noi dalle più approvate scuole dagli antichi diffinitori lasciata, null’altro essere lo buono amore che di bellezza disio.”

 

Questa frase sintetizza al meglio la concezione che i neoplatonici avevano dell’amore: deve essere puro e spirituale e solo basandosi sui sensi più elevati e sul pensiero si giunge alla contemplazione della bellezza ideale; il vero amore, quindi, tende alla perfezione che va ricercata nella contemplazione di Dio: non è l’esaltazione del corpo, ma dell’anima, dell’idea.

L’epoca in cui Pico della Mirandola scriveva: “Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato né un aspetto proprio né alcuna prerogativa tua perché quel posto, quell’aspetto e quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto”.

Rinascita dell’uomo, dunque: che trova il suo epicentro,  prima nei comuni e poi nelle corti delle città italiane. L’uomo, che sente che Dio ha creato il mondo per lui,e gli ha dato l’amore,in base alla quale orientare la vita e raggiungere la felicità.

Da L’Orlando Furioso, Canto XIX

33
Angelica a Medor la prima rosa
coglier lasciò, non ancor tocca inante:
né persona fu mai sì aventurosa,
ch’in quel giardin potesse por le piante.
Per adombrar, per onestar la cosa,
si celebrò con cerimonie sante
il matrimonio, ch’auspice ebbe Amore,
e pronuba la moglie del pastore.
34
Fersi le nozze sotto all’umil tetto
le più solenni che vi potean farsi;
e più d’un mese poi stero a diletto
i duo tranquilli amanti a ricrearsi.
Più lunge non vedea del giovinetto
la donna, né di lui potea saziarsi;
né, per mai sempre pendergli dal collo,
il suo disir sentia di lui satollo.
35
Se stava all’ombra o se del tetto usciva,
avea dì e notte il bel giovine a lato:
matino e sera or questa or quella riva
cercando andava, o qualche verde prato:
nel mezzo giorno un antro li copriva,
forse non men di quel commodo e grato,
ch’ebber, fuggendo l’acque, Enea e Dido,
de’ lor secreti testimonio fido.
36
Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto
vedesse ombrare o fonte o rivo puro,
v’avea spillo o coltel subito fitto;
così, se v’era alcun sasso men duro:
ed era fuori in mille luoghi scritto,
e così in casa in altritanti il muro,
Angelica e Medoro, in vari modi
legati insieme di diversi nodi.

Questi versi, in ottave, rappresentano ,  uno sviluppo straordinario, in senso moderno della concezione dell’amore. Anche se per metafora, Ariosto comincia col dire che fu Medoro a cogliere la “prima rosa” di Angelica, che nessuno prima aveva toccato, e poi per tutte le ottave esplicita, con il garbo del grande artista, lo svolgimento delle giornate di passione che i due giovani vissero insieme in quel bosco che li ospitava.

Avete letto con quanto garbo viene rappresentato l’amore, senza nulla omettere della sua forza, della passione che lo anima?
Ariosto è ormai uno di noi, il Rinascimento ha avviato il mondo moderno con il trionfo della laicità, che non confligge con l’esigenza di spiritualità, ma anzi la esalta, proprio nel momento in cui l’uomo, creatura e figlio di Dio, scopre che Dio ha fatto il mondo per lui, che, anzitutto, gli ha offerto l’amore come il sentimento fondamentale cui orientare la propria vita e con il quale poter dare dignità alla propria esistenza. Oggi forse siamo andati oltre, ci stiamo inoltrando in una dimensione nella quale si cerca l’effimero anche nell’amore, dimenticando che esso può dare dignità alla persona e, soprattutto, una grande felicità.
La forza vera e più grande dell’amore può esser data solo da una composta rappresentazione della realtà della vita, nulla omettendo, ma anche senza forzature che distruggono l’essenziale, il sentimento che unisce due persone in un solo cuore.

Ecco gli Illuministi: una concezione del mondo e della vita secondo la quale, il mondo è fatto di materia sottoposta ad un processo  di trasformazione governato da leggi meccaniche.

Anche l’uomo è soggetto alla stessa legge di dissolvimento della materia, perciò compiuto il suo ciclo biologico, si annulla completamente come individuo. Per i filosofi dell’Illuminismo questa concezione materialistica della realtà e dell’uomo era motivo di ottimismo perché liberava l’animo dalle superstizioni, dalla paura della morte, inducendoli a vivere più serenamente, invece per i Romantici,  queste teorie erano motivo di pessimismo e disperazione.

La visione materialistica, li portano a considerare l’uomo come prigioniero della natura , che, compiuto il suo ciclo vitale, piomba nel “nulla” eterno. Così la ragione viene vista un dono malefico della natura, causa di disperazione tale da trovare nel suicidio l’unica liberazione possibile.

Tuttavia non si soccombe  al pessimismo e alla disperazione, ma si reagisce vigorosamente, creandosi una nuova fede in valori universali, che danno un fine ed un significato alla vita dell’uomo. Questi valori universali sono la bellezza, l’amore, la libertà, la patria, la virtù, l’eroismo, la poesia, l’arte, la gloria, tutti sentimenti che i filosofi materialistici e scettici chiamavano “illusioni”, cioè idee vane.

Questo è quel mondo, questi

i diletti,l’amor, l’opre, gli eventi

onde cotanto ragionammo insieme?

Questa la sorte delle umane genti?

All’apparir del vero,

tu, misera, cadesti…          (da A Silvia di Giacomo Leopardi)

…piove sui nostri volti

silvani,

sui nostri vestimenti

leggieri,

sui freschi pensieri

che l’anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

t’illuse, che oggi m’illude

o Ermione.                         (da “La pioggia nel pineto” di Gabriele D’Annunzio)

Piango e le dico: Come ho potuto,

dolce mio bene, partir da te?

Piange e mi dice d’ un cenno muto:

Come hai potuto?                          (da La tessitrice di Giovanni Pascoli)

Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?

William Shakespeare

Ah… si putesse dicere
chello c’ ‘o core dice;
quanto sarria felice
si t’ ‘o ssapesse di’!
E si putisse sentere
chello c’ ‘o core sente,
dicisse: “Eternamente
voglio resta’ cu te!”
Ma ‘o core sape scrivere?
’0 core e’ analfabeta,
e’ comm’a nu poeta
ca nun sape canta’
Se mbroglia… sposta ‘e vvirgule
nu punto ammirativo…
mette nu congiuntivo
addo’ nun nce ‘adda sta’…
E tu c’ ‘o staje a ssentere
te mbruoglie appriess’ a isso,
comme succede spisso…
E addio felicita’!”                      (Eduardo De Filippo)

“Uh, che fatica mi costa
l’amarti come ti amo!
Per il tuo amore mi duole l’aria,
il cuore
e il cappello.
Chi mi comprerà
questo cordone che ho
e questa tristezza di filo
bianco, per far fazzoletti?
Ah che fatica mi costa
amarti come ti amo!”                  (Garcia Lorca)

“Sono affamato del tuo riso che scorre,
delle tue mani color di furioso granaio,
ho fame della pallida pietra delle tue unghie,
voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta.
Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza,
il naso sovrano dell’aitante volto,
voglio mangiare l’ombra fugace delle tue ciglia”       (Pablo Neruda)

Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l’altro s’allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio; se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto e nessuno ha mai amato.            Shakespeare

L’amore non è pretendere, ma dare; è dimenticarsi, ma non dimenticare, è vivere fuori di sé, pur rimanendo in sé; è riservarsi le spine e offrire le rose. L’amore chiede tutto ed ha il diritto di farlo.            (Beethoven)

Il vero amore deve sempre far male. Deve essere doloroso amare qualcuno, doloroso lasciare qualcuno…solo allora si ama sinceramente.                              (Madre Teresa di Calcutta)

L’amore non si vede in un luogo e non si cerca con gli occhi del corpo. Non si odono le sue parole e quando viene a te non si odono i suoi passi.    ( S. Agostino)

Dalla prefazione al suo libro “Sull’Amore” (di Paolo Crepet)

E se l’amore semplicemente non rappresentasse l’argomento più difficile da discutere ma anche il più urgente?

Per secoli abbiamo fatto di tutto pur di non vivere d’amore. Abbiamo lasciato questa scelta ai santi e ai folli, ai poeti e agli utopisti proprio per arrivare a dirci –consolandoci- che non è tema così importante per comuni cittadini. Prima deve venire il lavoro, il denaro, il potere, la guerra e la pace, l’economia e la politica, la famiglia e lo Stato, l’individuo e la collettività. Abbiamo pensato che perfino la felicità potesse essere vissuta senza amore

L’amore dunque come rivoluzione, come grimaldello capace di sovvertire un equilibrio anestetizzato di menti e libertà. L’amore come esercizio spirituale, come ginnastica di amor proprio, come fucina di dignità. L’amore come allegoria del tempo necessario ad accorgerci che stiamo vivendo, non sopravvivendo. L’amore come metafora irrinunciabile del bello e del puro.
Amore come occasione per accorgersi dell’altro, come crescita, riappropriazione della coscienza di sé, del proprio corpo, dei propri sensi, della libertà di pensare e sentire a modo proprio

Cosa c’è di più strategico dell’amore?
Come potrebbe un politico pretendere di guidare una nazione se non sa amare? Come potrebbe un industriale pretendere di guidare mille dipendenti se non conosce il senso della passione dei sentimenti?

E se la soluzione partisse dall’homo emotivo, non più da quello laboriosus? E se fosse venuto il tempo di prendere e dare delle lezioni d’amore? Se il vero frutto di un’acquisita modernità corrispondesse con il concedersi il tempo, la voglia, il coraggio d’innamorarsi?

Da Lè Dèfilè di Jacques Prèvert

“Et Dieu”
surprenant Adam et Eve
Leur dit
Continuez je vous en prie
ne vouz dèrangez pas pour moi
Faites comme si je n’existais pas.

” E Dio”
dopo aver sorpreso Adamo ed Eva
gli disse
Continuate prego
Fate come se non ci fossi…

(Foto di Gruppo)

0 Comments

No comments!

There are no comments yet, but you can be first to comment this article.

Leave reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *