Letteratitudini parla di Iacopone da Todi con la recitazione della lauda “IL PIANTO DELLA MADONNA”

JACOPONE DA TODI

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Jacopo dei Benedetti, detto Jacopone da Todi[  e conosciuto come Iacopone da Todi (Todi, tra il 1230 e il 1236 circa  – Collazzone25 dicembre 1306), è stato un religioso e poeta italiano venerato come beato dalla Chiesa cattolica.

I critici lo considerano uno dei più importanti poeti italiani del Medioevo, certamente fra i più celebri autori di laudi religiose della letteratura italiana. La sua è una “voce vigorosa e sconvolgente”, che si inserisce in modi e forme eccezionali nel contesto della nuova tradizione della lauda.

Di Jacopone ci sono giunti, oltre alle Laude (di cui circa 90 di sicura attribuzione e numerose altre incerte), un’epistola latina a Giovanni della Verna, il celebre Pianto della Madonna e lo Stabat Mater.

Le scarse notizie sulla sua vita sono quasi completamente ricavate dalla sua opera.

Nato tra il 1230 e il 1236 da Iacobello,  della nobile famiglia tudertina dei Benedetti, Jacopo studiò legge probabilmente all’università di Bologna e intraprese la professione di notaio e procuratore legale, conducendo una vita spensierata, spesso esasperata dalle biografie antiche in funzione agiografica, per contrasto con la vita dopo la conversione.

Nel 1267 sposò Vanna, figlia di Bernardino di Guidone, conte di Coldimezzo. La moglie, secondo la leggenda, morì l’anno seguente durante una festa da ballo, per il crollo di un pavimento: dopo che sul corpo della donna fu trovato un cilicio che essa indossava anche nelle occasioni mondane, Jacopo abbandonò la vita gaudente (nell’inverno del 1268)  e, distribuiti ai poveri i propri averi, peregrinò per dieci anni , vivendo di elemosina e subendo continue umiliazioni, assumendo il nome con cui poi sarà universalmente conosciuto (Pare che l’accrescitivo -one fu aggiunto da lui stesso per mortificarsi il più possibile ).

Nel 1278 entrò come frate laico nell’ordine francescano dei Minori, nel convento di Pantanelli presso Terni,  scegliendo la corrente rigoristica degli “spirituali” (o “fraticelli”), che si contrapponevano alla corrente predominante dei “conventuali“, portatori di un’interpretazione più moderata della Regola francescana.[ Attuò in quel periodo una ruvida polemica contro la corruzione ecclesiastica e si recò molto spesso a Roma.

Nel 1288 Jacopone si trasferì a Roma, presso il Cardinale Bentivenga

All’inizio del breve pontificato di Celestino V (agosto 1294), papa eremita e in odore di santità, gli spirituali, sottoposti a vessazioni e persecuzioni nell’ordine a causa del loro atteggiamento intransigente e restio ad ogni compromesso, furono ufficialmente riconosciuti come ordine con il nome di Pauperes heremitae domini Celestini. Jacopone indirizzò anzi al nuovo pontefice una lauda, Que farai, Pier dal Morrone, con l’intento di metterlo in guardia da atteggiamenti di compromesso.  Ma dopo l’abdicazione di Celestino (dicembre 1294), il nuovo papa Bonifacio VIII, acerrimo nemico delle correnti più radicali della Chiesa, non appena eletto, abrogò le precedenti disposizioni; la congregazione dei Pauperes si schierò allora con la famiglia Colonna, da sempre rivale dei Caetani, cui apparteneva Bonifacio.

Jacopone fu tra i firmatari del Manifesto di Lunghezza del 10 maggio 1297, con cui gli avversari di Bonifacio VIII, capeggiati dai cardinali Jacopo e Pietro Colonna dichiaravano nulla l’abdicazione di Celestino V e illegittima l’elezione di Bonifacio.

La risposta di Bonifacio VIII non si fece attendere: scomunicò tutti i firmatari con la bolla Lapis abscissus del 23 maggio 1297 e cinse d’assedio Palestrina, la roccaforte dei dissidenti. Nel settembre del 1298 Palestrina fu presa e Jacopone fu spogliato del saio, processato, imprigionato nel carcere sotterraneo del convento di San Fortunato a Todi, da dove continuò a polemizzare nei confronti del Papa, cui chiedeva di essere liberato dalla sola scomunica.  È di questo periodo una epistola (o “trattato”, come la definisce lo stesso Jacopone) che il poeta indirizzò al Pontefice:

«O papa Bonifazio,
eo porto el tuo prefazio
e la maledezzone
e scommunicazione.
[…]
Per grazïa te peto
che me dichi: Absolveto […].»

Jacopone fu liberato solo nel 1303, dal nuovo papa Benedetto XI, con la bolla Dudum bonae memoriae del 23 dicembre 1303 vivendo poi gli ultimi anni nel convento di San Lorenzo a Collazzone, dove, secondo Mariano da Firenze, morì la notte di Natale del 1306, nell’ospizio dei Frati Minori annesso al convento delle Clarisse

Il suo corpo fu sepolto fuori dalle mura di Todi. Nel 1433 il corpo fu ritrovato e portato nella chiesa francescana di S. Fortunato all’interno della città, dove è ancora presente la sua tomba. Il vescovo Angelo Cesi nel 1596 ha ornato la tomba con una lastra in cui è presente la scritta:

 
«Qui giacciono le ossa del Beato Jacopone dei Benedetti da Todi, frate minore che impazzito d’amore per Cristo con la sua arte nuova si prese gioco del Mondo e si conquistò il Cielo. Si addormentò nel Signore il 25 marzo 1296, anno del Signore. Il vescovo Angelo Cesi di Todi qui collocò <questa lapide> nell’anno 1596.»

La città di Firenze gli ha dedicato una strada.

Religiosità e negatività del mondo

La religiosità di Jacopone si muove nel contesto del profondo conflitto tra francescanesimo spirituale e gerarchia ecclesiastica. Essa prende i toni di un rifiuto totale del mondo e delle sue vanità, dei suoi compromessi, delle sue trame, della sua sensualità. Lo stesso rifiuto reciso è riservato ad ogni esperienza umana che valorizzi le cose terrene, mentre i sentimenti dell’amore e dell’amicizia vengono bollati come inautentici e interessati. Il segno della vita terrena è la violenza, che si estrinseca tanto nel dissipamento biologico della materia quanto nella socialità degli uomini: il processo di distruzione è inevitabile.

“La poesia di Iacopone afferma fino in fondo la negatività del mondo” e la sua lingua è improntata ad una descrizione minuziosa dei segni del male e della morte, sparsi anche nelle piccolezze della vita quotidianaL’uso del dialetto umbro, che il poeta “assoggetta a penetranti deformazioni”, favorisce un “crudo realismo”, fatto di un “lessico vivo e corposo .

 L’ascesi di Jacopone è nel segno del tormento e dell’irrequietezza: contro i valori scelti dal mondo, il poeta si indirizza ai controvalori della povertà, della follia, della malattia, nel segno della volontà di “empazzir per lo bel Messia”  Egli considera la cultura (scientia) un ostacolo all’unione mistica con il divino, in quanto la Verità si ricerca con l’umiltà e l’amore totale per Dio. Siamo di fronte ad una teologia negativa che fa della divinità una fonte di sentimenti in contrasto fra loro: sofferenza e gioia, certezza e senso di smarrimento.

Ed ora recitiamo la meravigliosa Lauda “Il Pianto della Madonna”

Nunzio     Donna del paradiso,
lo tuo figliolo è priso,
Jesu Cristo beato.

Accurre, donna, e vide
  5   che la gente l’allide !
credo che ‘llo s’occide,
tanto l’on flagellato.
Madonna     Como esser porrìa
che non fece mai follia,
  10   Cristo, la speme mia,
om’ l’avesse pigliato ?
Nunzio     Madonna, egli è traduto,
Juda sì l’ha venduto
trenta denar n’ha ‘vuto,
  15   fatto n’ha gran mercato.
Madonna     Succurri, Magdalena,
gionta m’è adosso piena !
Cristo figlio se mena,
como m’è annunziato.
Nunzio 20   Succurri, Donna, aiuta !
ch’al tuo figlio se sputa
e la gente lo muta,
hanlo dato a Pilato.
Madonna     O Pilato, non fare
  25   lo figlio mio tormentare,
ch’io te posso mostrare
como a torto è accusato.
Popolo     Crucifige, crucifige !
Omo che se fa rege,
  30   secondo nostra lege,
contradice al senato.
Madonna     Priego che m’entendàti,
nel mio dolor pensàti;
forsa mò ve mutati
  35   de quel ch’avete pensato.
Nunzio     Tragon fuor li ladroni
che sian suoi compagnoni.
Popolo     De spine se coroni !
ché rege s’è chiamato.
Madonna 40   O figlio, figlio, figlio !
figlio, amoroso giglio,
figlio, chi dà consiglio
al cor mio angustiato ?

Figlio, occhi giocondi,
  45   figlio, co’ non respondi ?
figlio, perché t’ascondi
dal petto o’ se’ lattato ?
Nunzio     Madonna, ecco la cruce,
che la gente l’aduce,
  50   ove la vera luce
dèi essere levato.
Madonna     O croce, que farai ?
el figlio mio torrai ?
e che ce aponerai
  55   ché non ha en sé peccato ?
Nunzio     Succurri, piena de doglia,
ché ‘l tuo figliol se spoglia;
e la gente par che voglia
che sia en croce chiavato.
Madonna 60   Se glie tollete ‘l vestire,
lassàtelme vedire
come ‘l crudel ferire
tutto l’ha ‘nsanguinato.
Nunzio     Donna, la man gli è presa
  65   e nella croce è stesa,
con un bollon gli è fesa,
tanto ci l’on ficcato !

L’altra mano se prende,
nella croce se stende,
  70   e lo dolor s’accende,
che più è multiplicato.

Donna, li piè se prenno
e chiavèllanse al lenno,
onne iontura aprenno
  75   tutto l’han desnodato.
Madonna     Ed io comencio el corrotto.
Figliolo, mio deporto,
figlio, chi me t’ha morto,
figlio mio delicato ?
  80   Meglio averìen fatto
che ‘l cor m’avesser tratto,
che, nella croce tratto,
starce descilïato.
Cristo     Mamma, o’ sei venuta ?
  85   mortal me dài feruta,
ché ‘l tuo pianger me stuta,
ché ‘l veggio sì afferrato.
Madonna     Figlio, che m’agio anvito,
figlio, patre e marito,
  90   figlio, chi t’ha ferito ?
figlio, chi t’ha spogliato ?
Cristo     Mamma, perché te lagni ?
voglio che tu remagni,
che serve i miei compagni
  95   ch’al mondo agio acquistato.
Madonna     Figlio, questo non dire,
voglio teco morire,
non me voglio partire,
fin che mò m’esce il fiato.
  100   Ch’una agiam sepultura,
figlio de mamma scura,
trovarse en affrantura
mate e figlio affogato.
Cristo     Mamma col core affetto,
  105   entro a le man te metto
de Joanne, mio eletto;
sia il tuo figlio appellato.
Cristo     Joanne, esta mia mate
tollela en caritate
  110   aggine pietate
ca lo core ha forato.
Madonna     Figlio, l’alma t’è uscita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
  115   figlio attossicato !

Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio
figlio a chi m’appiglio ?
figlio, pur m’hai lassato.
  120   Figlio bianco e biondo,
figlio, volto iocondo,
figlio, perché t’ha el mondo,
figlio, così sprezato ?

Figlio, dolce e piacente,
  125   figlio de la dolente,
figlio, hatte la gente
malamente treattato !

O Joanne, figlio novello,
morto è lo tuo fratello,
  130   sentito aggio ‘l coltello
che fo profetizzato.

Che morto ha figlio e mate
de dura morte afferrate,
trovarse abracciate
  135   mate e figlio a un cruciato.

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