L’infaticabile Francesco Lenoci

Infaticabile Francesco Lenoci. Viaggiatore culturale, scopritore d talenti, di valori, di ambienti, conferenziere coinvolgente. Oggi a Verona, domani a Roma, poi a Molfetta, paese che si snoda tra scogliere, distese di verde e il mare; a Locorotondo, a Bari, nella sua Martina Franca o a Grottaglie, il paese dei figuli; o a Cellino San Marco, per un premio nella tenuta del cantante dalla voce forte come il tuono. Il treno e l’aereo sono la sua casa. In ogni città si sente nel nido, senza tradire quello originario, la Valle d’Itria, terra di suoni, di colori, di sapori, di bellezza. Nei suoi vagabondaggi incontra imprenditori, ceramisti, banchieri, gastronomi, principi dei fornelli, poeti, maestri dell’obiettivo fotografico, e poi ne parla ad un pubblico attento e spesso affascinato. Questa estate l’ho intercettato a Martina, in via Mercadante, nell’Antico Panificio San Martino, a godere dei profumi del pane confezionato da Martino Montanaro. E dopo l’estate, l’autunno. E quello in corso forse più febbrile degli altri.

  Ha anche tessuto una “laudatio” di Domenico Maggi, chef nato il 18 aprile del ’53 a Locorotondo, paese-bomboniera, che ha dedicato una strada al pittore Filippo Alto e dato i natali a Giuseppe Giacovazzo, famoso giornalista Rai e scrittore, per anni direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, quotidiano barese. Di Maggi Lenoci ha parlato alla masseria Belvedere di Mottola, suggestiva nelle sue linee architettoniche e per le piante decorative che bordano i viali e un bell’albero che di sera s’illumina come quello di Natale. In questa cornice prestigiosa, che da qualche anno ospita anche l’”Opera in masseria” del Festival della Valle d’Itria, questo diffusore di cultura mai pago ha illustrato un personaggio come Maggi, che vanta una carriera brillante ed esemplare, conseguita con impegno e sacrifici. Per andare dalla contrada Trito, dove risiedeva, a Castellana Grotte, dove ha sede l’Ipssar (l’Istituto professionale di Stato per i servizi alberghieri e della ristorazione) si serviva della bicicletta: cinque chilometri, facendo l’ultimo tragitto in treno (Nunzio Schena, editore di Fasano, lo faceva attaccato a una sporgenza della corriera di linea mentre lo sorpassava). Una bella pedalata, non c’è che dire. Mi vengono in mente i contadini di una volta che facevano a piedi la strada da San Severo a Poggio Imperiale. I passi contano, e quelli di Maggi lo hanno portato ad avere l’aureola, nel ’68, di addetto ai servizi di cucina, in cui ha mostrato subito la sua valenza. D’altra parte la scuola in cui si è forgiato ha un’ottima reputazione, non soltanto in Puglia.

   Dal ’59 all’83 vi ha insegnato pratica di cucina il cavalier Angelo Consoli, fondatore nel ’58 del complesso, che porta il suo nome dal 2013. “E’ stato uno dei miei primi maestri – ricorda Maggi – Di lui mi piace ricordare il libro ‘Una vita in cucina’, la cui prima edizione è stata pubblicata da Schena editore nel 1974”. Nunzio Schena, nome autorevole, uomo integerrimo, lavoratore attento, preparatissimo, instancabile, che tra l’altro ricevette le visite di Giovanni Spadolini, del Dalai Lama… e molti riconoscimenti anche dall’Università di Pavia. Mi si perdoni il deragliamento, dovuto alla stima che ho sempre avuto per la personalità e le opere, la generosità e la sensibilità dell’editore. Ritorno a Domenico Maggi, che ha sorriso di gusto quando Lenoci ha menzionato la storia più tramandata dell’Ipssar di Castellana Grotte, vale a dire quella che vide protagonisti il maestro Consoli, Marco Colucci (cugino di Lenoci), poi diventato chef, e un capocuoco.

   Sono confidenze, brani di storia personale, che Lenoci, sempre scrupoloso, preciso, riporta nella sua “laudatio”, seguita dal pubblico con estremo interesse. Ne suscita tanto, d’interesse e ammirazione, la figura di Maggi, che può snocciolare un lungo elenco di conquiste: nel ’75 il diploma di tecnico delle attività alberghiere; dal ’76 al 2016 professore di tecniche operative presso l’Ipssar di Bari, maturando una profonda esperienza sulla cattedra di tecniche di cucina e dell’estro tra i fornelli; nel ’68 “commis” a Peschici, nel Gargano, “il territorio di elezione di Padre Pio (per il combinarsi delle combinazioni Domenico Maggi era a San Giovanni Rotondo il 23 settembre del ’68, ‘dies natalis’ del Santo di Pietrelcina”), paese quasi sospeso sul mare, con le sue case così bianche da sembrare brillanti. Dal ’69 al ‘71 lo ritroviamo al ristorante Don Abbondio di Milano, in via Padova, locale frequentato da Sergio Endrigo, Patty Pravo, Al Bano, Dino Abbascià, Pino Capogni, secondo dei due grandi maestri di chef Domenico Maggi, autore “inter alia” del libro ”La cucina tradizionale (Fabbri Editore, 1976); e Vincenzo Buonassisi, eccellente giornalista del “Corriere della Sera” ((fu anche inviato speciale a Sanremo, dove lo rividi  nel ’67, l’anno della morte di Luigi Tenco) e critico televisivo che diede vita su Rai1 alla rubrica gastronomica del programma “Almanacco del giorno dopo”. Al Don Abbondio, Maggi fu prima “commis” e poi “chef” di partita. Ha quindi ricoperto incarichi importanti anche in locali sontuosi all’estero; è stato capitano della squadra nazionale italiana di arte culinaria e giudice in concorsi culinari; dal 2014 direttore continentale per il il Sud Europa della Worldehefs… Insomma Domenico Maggi ha fatto la sua strada in salita, ma con il dovuto equipaggiamento culturale e ha riempito onorevolmente le sue pagine bianche e ha ancora tanto da scriverci.

   Come sempre Lenoci, dopo aver raccolto la vicenda umana e professionale di Maggi, l’ha raccontata con profonda partecipazione, sottolineando la volontà e la capacità di un uomo che s’impone un obiettivo e lo raggiunge al massimo livello. E raccontando non ha tralasciato niente, neppure “La Piazza del Gusto”, presentata a Locorotondo da Antonella Millarte, “oggi chiamata da Pino Caramia a presentare l’ottava edizione del Premio “Memory Vincenzo Caramia” e altre storie.

   Lenoci si è poi emozionato nell’esporre il dialogo tra il giornalista Fabrizio Mangoni e la Bottiglia. Riporto solo una domanda. “Signora Bottiglia, quando lascerà questo scaffale, dove vorrebbe finire?”. Risposta della Bottiglia: “La mia aspirazione è di stare nelle mani di un grande chef, in un ristorante di lusso, ma tutto non si può avere… Certamente dovrei essere nella mensa di una scuola e nella cucina di un ospedale”.

   Andando verso la conclusione, il docente ha affermato che “nessun traguardo è precluso se si utilizzano al meglio radici e ali, tradizione e innovazione”. E ha aggiunto che il grande Eduardo De Filippo sosteneva: “Se ci serviamo della tradizione come di un trampolino, è ovvio che salteremo assai più in alto. Naturalmente non poteva mancare la battuta in dialetto, la parlata che lui adora ed esalta (gli dedica anche una pagina su Facebook): “Sce descitele/ a tutt‘u mùnne/ ce tresòle jè/ ‘u Curdone”, che con la sua forma circolare si affaccia su quella terra benedetta da Dio, che è la Valle d’Itria, dove si svolge il famosissimo Festival di musica apprezzato in tutto il mondo.

   Un discorso chiaro, coinvolgente, srotolato senza retorica, senza enfasi, con momenti toccanti, con passione. Mi domando dove trovi, Lenoci, la forza per essere presente in ogni luogo in cui ci sia una vita, un’attività, un valore da conoscere in ogni settore, dalla moda alla ceramica, al pane, al creatore di campane e riparatore di orologi antichi.

                                                                                                         Franco Presicci

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