Marie Curie: la donna i cui ricettari del 1890 sono ancora radioattivi

Marie Curie, donna passionale, geniale ricercatrice, primo professore donna in Francia, “crocerossina radiologica” sui campi di battaglia della prima guerra mondiale, Nobel per la fisica e per la chimica, madre e moglie modello, al centro di uno scandalo “mediatico”. Nata 144 anni prima di Fukushima.
Google nell’ormai tradizionale “restyling temporaneo” del suo logotipo dedica il suo “doodle” a Marie Curie, una delle figure più importanti della scienza del ‘900, pioniere della ricerca sulla radioattività. Il lavoro di Marie Curie ha lasciato talmente il segno nell’immaginario collettivo che la scienziata è stata anche “immortalata” in uno dei brani più evocativi dei Kraftwerk, e cioè Radioactivity (1975), che non a caso afferma delle grandi verità, attualissime in questi tempi di centrali nucleari in crisi: “Radioactivity, Is in the air for you and me, Radioactivity, Discovered by Madame Curie” (qui il video “Kraftwerk – Radioactivity” http://is.gd/Ixxxu6). I meriti scientifici di Marie Curie sono enormi, si va dalla scoperta e l’isolamento di due elementi della Tavola Periodica come il Radio e il Polonio alla sua attività di “radiologa” ante litteram sui campi di battaglia della prima guerra mondiale, con “unità mobili” come mezzo di diagnosi per i soldati feriti (molto interessante “Marie Curie et son temps: La radiologie et la guerre” http://is.gd/TWcgyj).

Senza Madame Curie però, scherza qualcuno, non esisterebbero probabilmente le bombe atomiche, le centrali nucleari e la medicina nucleare, e neppure si saprebbe come “misurare” le emissioni radioattive stimate di Chernobyl (50 milioni di Curie) e di Fukushima (60 milioni di Curie http://is.gd/8AQPa0). Marie Curie per la sua ricerca è stata ampiamente ricompensata dall’”establishment scientifico” (cosa che non sempre accade nel mondo della Scienza, uno per tutti Nikola Tesla) con un Premio Nobel per la fisica nel 1903 (insieme al marito Pierre Curie e Antoine Henry Bequerel, altro scienziato altra “unità di misura”) e un Premio Nobel per la chimica nel 1911. Questi premi fanno di Marie Curie la prima donna ad aver vinto più di un premio Nobel (insieme ad altri tre uomini) e l’unico scienziato, insieme a Linus Pauling (per la Chimica e per la Pace) ad aver vinto il premio in due categorie differenti. Tutto ciò fa pensare, a ragione, che Madame Curie fosse una donna dalla tempra e dal carattere eccezionali, non solo dal punto di vista “scientifico”.

Molto interessante è infatti riscoprire la “vita vissuta” oltre l’”agiografia” di questi giganti della scienza, che di solito sono molto più “umani” di quanto ci si immagini. Marie Curie non a caso era, oltre che un genio della scienza, anche una donna, una donna molto decisa e passionale, come la descrive Susan Quinn nella sua celebre biografia degli anni ’90 “Marie Curie: a life”. Una passionalità, quella di Marie, che divenne “pubblica” nel 1910 per via del suo amore (dopo quattro anni dalla morte del marito Pierre Curie) per Paul Langevin, uno scienziato cinque anni più giovane di lei e “allievo” del marito. I due avevano affittato un appartamento nei pressi della Sorbona, dove Marie insegnava (è stata la prima donna professore universitario in Francia). Ma c’era un piccolo problema, Paul Langevin era già sposato e aveva quattro figli e sua moglie, una volta scoperte le lettere d’amore che Marie Curie scriveva al marito non fece altro che “ufficializzare” una “liaison” che era già nell’aria nell’ambiente universitario, nel modo più “moderno” che si possa immaginare.

La moglie di Langevin diede infatti in pasto la corrispondenza amorosa alla stampa che incominciò una campagna di diffamazione (non a caso era proprio Beaumarchais a dire “Calomnions, calomnions, il en restera toujours quelque chose!”), che arrivò molto “in alto”, tanto che il governo francese sembra che abbia discusso perfino sull’opportunità di “espellere” la scienziata di origini polacche dalla nazione. La campagna stampa ebbe anche degli accenti “razzisti” contro Madame Curie, tanto che alla fine ci fu una mobilitazione da parte delle sue colleghe, delle femministe e addirittura, in ultimo, di blasonati colleghi come Albert Einstein a sua difesa. Il fatto più triste, dal punto di vista umano, è che Madame Curie era veramente innamorata di Paul Langevin e, come tutte le donne del mondo nella stessa situazione, chiedeva che lui lasciasse sua moglie e che la sposasse. Lo scandalo fu di portata internazionale tanto che la stessa Accademia Reale Svedese delle Scienze, pronta per la consegna del secondo Nobel alla vedova Curie, sembra abbia provato a dissuadere Marie dal recarsi a Stoccolma per ritirare il premio, dato che si sarebbe voluto evitare che un’”adultera” stringesse la mano al Re di Svezia.

Una mano, quella di Marie Curie, già comunque “difficile” da stringere, dato che da tempo la grande scienziata soffriva di ustioni da radiazioni dovute alla manipolazione del Radio. Il Radio è infatti uno degli elementi più radioattivi conosciuti (da qui il nome) e molto pericoloso per la salute, dato che, oltre alle ustioni da radiazioni sul derma ha la capacità, per similarità con il calcio, di legarsi alle ossa sostituendosi ad esso. Con il senno di poi fa un certo effetto leggere degli appunti che Pierre Curie presentava in un documento del 1901 all’Accademia di Francia: “Dopo l’esposizione ai raggi (del Radio) la pelle è diventata rossa…; ha l’aspetto di una bruciatura, ma poco dolorosa. Dopo alcuni giorni l’area rossa senza che si sia allargata è diventata più rossa; al ventesimo giorno le croste che si erano formate sono cadute ed hanno lasciato una ferita profonda…; la guarigione dell’epidermide è iniziata il quarantaduesimo giorno”.

Sempre negli stessi documenti si legge che Marie Curie portava “un paio di centigrammi della sostanza in un tubo sigillato ed ha avuto delle ustioni simili…; una esposizione di meno di mezz’ora…ha comportato una macchia rossa per quindici giorni, che per guarire ha messo oltre quindici giorni”. I quaderni di Madame Curie sono pieni di queste riflessioni e spesso descrivono la condizione delle sue mani che, a contatto con il Radio, incominciarono a “cambiare” con infiammazioni dolorose diventate ormai croniche. Tanto era “radioattiva” la vita dei coniugi Curie che Pierre Curie, prima di morire investito nel 1906, sembra fosse minato gravemente da un cancro alle ossa, mentre Marie Curie sarebbe poi morta nel 1934 per “anemia aplastica”. Ma ciò che fa rabbrividire è che dal 1890 tutti i quaderni, i blocchi d’appunti sono considerati troppo pericolosi per essere maneggiati senza precauzioni. Perfino il suo ricettario di cucina è altamente radioattivo, tanto che è conservato, come tutta la documentazione, in casse foderate di piombo. Chi vuole consultare i documenti dei Curie, quasi come in un paradosso, ha bisogno infatti di indossare tute protettive anti-radiazioni, un po’ come a Fukushima.

E a proposito di Fukushima è interessante, nel 144esimo anniversario della nascita di Marie Curie, segnalare qualche dato sulla radioattività. Avevamo già scritto di una possibile “riaccensione” di Fukushima (leggi “Fukushima come Christine, la macchina infernale. Si sta ‘riaccendendo’” http://is.gd/NTfOEs) ma i nuovi dati elaborati dall’AIPRI (Association Internationale pour la Protection contre les Rayons Ionisants) comunicano che il gas radioattivo Xenon, spia della fissione nucleare, rilasciato da Fukushima è “equivalente dal punto di vista di radioprotezione polmonare interna a 400,8 milioni di dosi letali per inalazione” (“Le Xenon 133 très faiblement radiotoxique de Fukushima” http://is.gd/45WzO7). Ricanticchiando i Kraftwerk, “Radioactivity, Is in the air for you and me, Radioactivity, Discovered by Madame Curie”.

Maurizio Maria Corona

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Marie Sklodowska Curie nasce il 7 novembre 1867 a Varsavia da una famiglia cattolica assai numerosa, tanto che la futura scienziata e premio Nobel era la più giovane di cinque figlie.
La madre (morta fra l’altro in seguito a tubercolosi quando lei aveva meno di undici anni), era pianista, cantante e professoressa; il padre, invece, esercitava la professione di insegnante di matematica e fisica.
Anche la piccola Marie, convinta della sua intelligenza e delle sue capacità, decide di studiare fisica, a dispetto del fatto che questa scelta fosse inizialmente assai osteggiata. L’idea che una donna potesse intraprendere la carriera scientifica era inconcepibile per quel tempo.

Finiti dunque gli studi superiori a quindici anni, per gli otto successivi lavora come precettrice e istitutrice allo scopo di per potersi sostenere le spese universitarie. Infatti, nel novembre del 1891, visto e considerato che l’università di Varsavia era interdetta alle donne, Marie e la sorella maggiore Bronia si trasferiscono in Francia per iscriversi e studiare alla celebre Sorbonne, il prestigioso ateneo parigino. Durante il tempo libero, inoltre, non contenta dei già ardui compiti a cui il programma dell’Università la sottoponeva, cerca di portarsi avanti il più possibile studiando in autonomia matematica e fisica.

A Parigi, comunque, Marie farà un incontro importante, quello di Pierre Curie, un professore della scuola di Fisica, che il 26 luglio 1895 diventa suo marito e poi, successivamente, “compagno di laboratorio” nella ricerca scientifica.

Nel 1897 nasce la prima figlia Irène e nel dicembre del 1904 la seconda, Eve. Nello studio della radioattività, condotto con mezzi rudimentali e senza aiutanti, i due coniugi scoprono due nuovi elementi chimici, il radio e il polonio. Marie comprende, inoltre, che la radioattività è un fenomeno atomico, demolendo con questa geniale intuizione la convinzione della fisica di allora che l’atomo fosse la particella più piccola della materia.

Come giunge però Marie Curie a questa fondamentale scoperta?
In primo luogo allestisce un laboratorio in un locale di rue Lohmond. La sua idea è di studiare il fenomeno della radioattività in modo quantitativo preciso. Innanzitutto analizza sistematicamente il comportamento dell’uranio in diversi composti e in diverse condizioni (utilizza un metodo sperimentale molto ingegnoso che consiste nel compensare su un elettrometro sensibile la quantità di elettricità portata dalla corrente con quella che può essere fornita da un quarzo piezoelettrico). Scopre così che la radiazione è una proprietà atomica dell’elemento uranio. Immediatamente dopo, compie una ricerca su moltissime altre sostanze per accertare se esistano altri elementi chimici che, oltre all’uranio, mostrino quello strano comportamento. Decide comunque di dare un nome a questo fenomeno e lo chiama “radioattività”.

Durante la ricerca per scoprire altre sostanze radioattive, dunque, le capitano fra le mani altri due minerali, la torbenite e la pechblenda. Immediatamente scopre che esse sono molto più radioattive di quanto dovrebbero essere in base al contenuto di uranio. Sono addirittura più radioattive dell’uranio puro. La torbenite e la pechblenda, Pensa Marie Curie, devono dunque contenere un altro elemento chimico, fino ad allora sconosciuto. Prepara una comunicazione per l’Accademia delle Scienze francese, che il 12 aprile 1898 viene presentata da Gabriel Lippmann, suo ex professore e membro dell’Accademia, e in quanto tale, avente diritto di parola alle sedute dell’Accademia.

Dalla primavera del 1898, Marie decide di concentrarsi sulla pechblenda. Comincia il lungo lavoro per isolare il nuovo elemento dalla pechblenda, con un metodo di ricerca chimica basato sulla radioattività: “consiste nell’effettuare delle separazioni con gli usuali mezzi dell’analisi chimica, e nel misurare, in condizioni opportune, la radioattività di tutti i prodotti separati. In questo modo ci si può rendere conto delle caratteristiche chimiche dell’elemento radioattivo cercato, che si concentra nelle porzioni che diventano via via più radioattive man mano che le separazioni procedono”. Nella sua pubblicazione del luglio 1898, che appare contemporaneamente in Francia nel bollettino dell’Accademia delle Scienze e in Polonia sulla rivista “Swiatlo”, annuncia la sua ipotesi “Crediamo che la sostanza che abbiamo tratto dalla pechblenda contenga un metallo non ancora segnalato, vicino al bismuto per le sue proprietà analitiche. Se l’esistenza di questo metallo verrà confermata, noi proponiamo di chiamarlo polonio, dal nome del paese di uno di noi.”

Molto presto si accorge con il marito che nella pechblenda c’è un’altra sostanza sconosciuta, ancora più radioattiva del polonio. Lo battezzano radio. La scoperta viene annunciata il 26 dicembre 1898 all’Accademia delle Scienze a Parigi e, nel 1902, riceve il premio Nobel per la Fisica con Becquerel.

Dopo la tragica morte del marito avvenuta nel 1906, Marie Curie continua a lavorare nel suo laboratorio, viene chiamata alla cattedra alla Sorbonne (la stessa che fu del marito) e riesce a isolare il polonio puro e il radio puro. Per questo successo, nel 1911, viene insignita con il premio Nobel per la Chimica. Sempre in quell’anno viene stabilita, su proposta di Marie Curie, l’unità standard internazionale di radio.

I coniugi Curie avrebbero potuto guadagnare molto dalle scoperte che fecero e dal loro enorme potenziale intellettivo. Invece, per tutta la vita preferirono perseguire una concezione altamente disinteressata della scienza: Marie e Pierre donarono all’umanità i risultati della loro ricerca, senza pretendere mai nulla in cambio. Durante la Prima Guerra mondiale, inoltre, Marie Curie si è prodigata in molti modi per alleviare il dramma dei combattenti. Recatasi al fronte con la figlia Irène per assistere i feriti, inventò le famose Petit Curie, delle automobili attrezzate con apparecchiature a raggi X. Nel 1912 fondò l’Institut du Radium, che diresse fino al 1932 quando la direzione passò alla figlia Irène. Oggi chiamato Institut Curie, è tuttora un’importante istituzione scientifica per la ricerca sul cancro.

Marie Curie, per ironia della sorte, morì il 4 luglio del 1934 di anemia perniciosa in conseguenza della lunga esposizione alle sostanze radioattive.

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