MERAVIGLIOSI TESTI POETICI DEDICATI AL MESE DI NOVEMBRE

POESIE SU NOVEMBRE

 

Il testo, la parafrasi e l’analisi del testo di “Novembre”, celebre componimento di Giovanni Pascoli.

 

 

“Novembre” è una poesia di Giovanni Pascoli tratta dalla raccolta poetica Myricae. Il titolo originario era San Martino, come la poesia omonima di Carducci da cui prende spunto.
Nella poesia è l’11 novembre, che viene definita l’estate di San Martino, poiché, dopo l’arrivo del primo freddo, si torna a un relativo tepore, come se il calo della temperatura fosse stata un’illusione. La poesia è stata pubblicata nel 1891.

Nel componimento, però, ci sono richiami di luce e di gioia portati nell’aria ai quali la natura non dà risposta. Tutto intorno è secco e il colore funebre dell’autunno è la sola cornice che fa da ricordo a coloro che non ci sono più. Vediamo insieme oggi il testo, la parafrasi di “Novembre” di Pascoli e, infine, l’analisi del testo.

Testo di “Novembre” di Pascoli

Qui di seguito il testo di “Novembre”:

Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.

“Novembre” di Pascoli: parafrasi

Dopo aver visto il testo, qui potete trovare la parafrasi di “Novembre”:

L’aria è limpida e fredda come una gemma, il sole tanto luminoso
che tu, con gli occhi, ricerchi gli albicocchi in fiore
sentendo nel cuore l’odore amarognolo del biancospino…
L’albero di biancospino è però secco, e le piante spoglie
disegnano nel cielo sereno delle trame nere,
il cielo è deserto,
e un suono vuoto rimbomba mentre il piede calpesta il terreno.
Tutto intorno c’è silenzio, soltanto grazie alle ventate,
si sente lontano il cadere fragile di foglie proveniente da giardini e orti.
È la fredda estate di novembre.

Analisi del testo di “Novembre”

L’incipit della poesia sembra gioioso, ma presto viene lasciato spazio a versi di tristezza. All’inizio c’è l’illusione di una bella giornata primaverile in atto, ma poi il poeta rende noti i particolari che la rendono evidentemente autunnale (pruno secco, foglie che cadono). Il poeta fa riferimento alla cosiddetta estate di San Martino, il periodo che parte dal 2 novembre (giorno dei morti) e va avanti per una decina di giorni.

Questo testo è particolarmente rappresentativo della poetica di Pascoli, fondendo la sua sensibilità nella descrizione del mondo naturale e la sua percezione del dolore insito nella natura umana.
Questa poesia vede la descrizione della felicità umana secondo Pascoli, precaria e poco duratura, messa in parallelo con il mondo naturale che, come essa, è illusorio.

Nella prima strofa Pascoli descrive un giorno che sembra quasi primaverile, caratterizzato da una serie di immagini felici e solari. In chiusura, tuttavia, si può già notare una prima nota cupa data da una brutta sensazione a livello olfattivo (l’odore amaro del prunalbo).
Nella seconda strofa i primi segnali positivi cedono definitivamente il passo alla negatività dell’autunno e del dolore umano. Nel mondo, che prima era aperto e pronto a nuova vita, si notano con lo sguardo solamente segnali di morte. Nella terza strofa tutti questi segnali vengono poi amaramente confermati in una desolata sentenza e i segnali visti lasciano lo spazio a quelli uditi, le ventate che spezzano il silenzio e il solo rumore di foglie morte che cadono. Ecco qui dipinta l’estate dei morti.

In questa poesia tratta dalla raccolta Myricae dalle sono presenti alcune tematiche ricorrenti nel lavoro di Pascoli, dall’ambiguo fascino che esercita il paesaggio naturale alla presenza costante della morte, che viola il nido. Si nota anche, tra le altre cose, il tentativo di ricostruire in modo esasperato una realtà familiare che lo protegga dalle mille asperità della vita.

 

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Il testo, la parafrasi e l’analisi del testo Poesia   Ognissanti di Alessandro Manzoni

Ognissanti 

Cercando col cupido sguardo,
Tra il vel della nebbia terrena,
Quel sol che in sua limpida piena
V’avvolge or beati lassù;
Il secol vi sdegna, e superbo
Domanda qual merto agli altari
V’addusse; che giovin gli avari
Tesor di solinghe virtù.
A Lui che nell’erba del campo
La spiga vitale ripose,
Il fil di tue vesti compose,
Del farmaco i succhi temprò;
Che il pino inflessibile agli austri,
Che docile il salcio alla mano,
Che il larice ai verni, e l’ontano
Durevole all’acque creò;
A Quello domanda, o sdegnoso,
Perché sull’inospite piagge,
All’alito d’aure selvagge,
Fa sorgere il tremulo fior,
Che spiega dinanzi a Lui solo
La pompa del candido velo,

Che spande ai deserti del cielo
Gli olezzi del calice, e muor.
E voi che, gran tempo, per ciechi
Sentier di lusinghe funeste
Correndo all’abisso, cadeste
In grembo a un’immensa pietà;
E come l’umor, che nel limo
Errava sotterra smarrito,
Da subita vena rapito,
Che al giorno la strada gli fa,
Si lancia, e seguendo l’amiche
Angustie con ratto gorgoglio,
Si vede d’in cima allo scoglio
In lucido sgorgo apparir;
Sorgeste già puri, e la vetta,
Sorgendo, toccaste, dolenti
E forti, a magnanimi intenti
Nutrendo nel pianto l’ardir;
Un timido ossequio non veli
Le piaghe che il fallo v’impresse:
Un segno divino sovr’esse
La man, che le chiuse, lasciò.
Tu sola a Lui festi ritorno
Ornata del primo suo dono;
Te sola più su del perdono
L’Amor che può tutto locò;
Te sola dall’angue nemico
Non tocca né prima né poi;
Dall’angue, che appena su noi
L’indegna vittoria compiè,
Traendo l’oblique rivolte,
Rigonfio e tremante, tra l’erba,
Sentì sulla testa superba
Il peso del puro tuo piè.

 

  “Ognissanti”: testo e analisi

 

Come si sa, l’intenzione di Manzoni con gli Inni sacri era quella di comporre un inno per ognuna delle solennità principali dell’anno liturgico, progetto che però, per vari motivi, non fu condotto a termine. All’interno di questo progetto si colloca l’inno Ognissanti, concepito nel 1830 e ripreso nel 1847, che Manzoni interruppe, insoddisfatto del risultato, alla quattordicesima strofa. Tuttavia l’autore nel 1859 fece dono alla scrittrice francese Louise Colet di quattro strofe dell’inno, quartine di novenari, tre piani e l’ultimo tronco, di cui consentì dunque la divulgazione. In una sua lettera alla scrittrice Manzoni stesso spiega che, con questo inno, egli intendeva “rispondere a coloro che chiedono qual merito si possa trovare nella virtù, sterile per la società, de’ pii solitari”. Tuttavia, attraverso questo tema, il testo risulta una specie di condensazione per simboli di un nucleo ideologico e spirituale che non solo sta al centro degli Inni sacri, ma attraversa tutta la produzione manzoniana, soprattutto per quanto attiene all’interrogazione intima più inquieta dell’autore, ed ai suoi aspetti più problematici che misero in luce quella sorta divocazione al silenzio contro cui Manzoni sembra lottare nei suoi diversi scritti, fino a soccombervi. Innanzitutto in apertura “Lui”, Dio, il quale è colto riflesso nelle creature vegetali, nella pura vitalità arborea, elementare e universale, rappresentata in una sorta di elencazione che sembra ripresentare l’idea della molteplicità delle creature come infinito riflesso dell’infinità divina entrata nel tempo della creazione. Compare però solo sotto l’aspetto di una vita appunto elementare, pura vitalità innocente che, se si esprime all’inizio in vegetali molteplici e differenti, dei quali però si coglie un apporto di utilità per l’uomo, culmina tuttavia nell’immagine di un “tacito fior”, un fiore cioè ignorato da tutti, che nel silenzio ignoto adempie al proprio puro slancio di vita senza un scopo, su “inospite piagge”, cioè terre disabitate, mosso dal “tremito d’aure selvagge”, di cui è chiaramente in balia, nella sua solitudine e “inutilità”, per lo meno secondo la logica dello “sdegnoso” che potrà, dice il poeta, trovare un senso alla vita di quel “tacito fior” solo interrogando direttamente Dio. Si ha qui dunque l’immagine di una assoluta umiltàcontrapposta all’orgoglio conoscitivo dello sdegnoso, portatore di una mentalità utilitaristica, in linea con il pensiero della massa comune. Il fiore invece, nel suo silenzio e nella sua solitudine ignorata da ogni sguardo nutrito di orgoglio, spiega, con semplicità ed innocenza assolute, davanti al suo unico spettatore, Dio, la “pompa del ricco suo velo”, lo splendore colorato della sua corolla, dona cioè e consuma tutto se stesso nell’esalare “gli olezzi del calice, ai deserti del cielo”, ad un cielo vuoto quindi, dove nessuno coglie il sacrificio di quel dolce profumo e l’inutile bellezza di quei colori. E in questa totale offerta di sé, in questo sacrificio di profumi innalzati al cielo, “muor”, ignorato e in solitudine, quasi come una ginestra leopardiana, senza però essere travolto, con i connessi toni quasi eroici, dalla catastrofe naturale, come accade a quella. Questo fiore muore, per così dire, ferialmente, annientato dalla comune trama dei giorni, in un giorno, appunto, qualunque.

 

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 Dopo la nebbia

Giuseppe Ungaretti

DOPO LA NEBBIA DI GIUSEPPE UNGARETTI

D

Dopo tanta
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle.
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore
del cielo

 

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 FOGLIA APPASSITA DI HERMANN HESSE

Ogni fiore vuol diventare frutto,
ogni mattino sera,
di eterno sulla terra non vi è
che il mutamento, che il transitorio.

Anche l’estate più bella vuole
sentire l’autunno e la sfioritura.
Foglia, fermati paziente,
quando il vento ti vuole rapire.

Fai la tua parte e non difenderti,
lascia che avvenga in silenzio.
Lascia che il vento che ti spezza
ti sospinga verso casa.

 

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FOGLIE GIALLE DI TRILUSSA

 

Ma dove ve ne andate,
povere foglie gialle,
come tante farfalle spensierate?
Venite da lontano o da vicino?
Da un bosco o da un giardino?
E non sentite la malinconia
del vento stesso che vi porta via?

 

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GIA’ LA PIOGGIA E’ CON NOI DI SALVATORE QUASIMODO

 

Già la pioggia è con noi,
scuote l’aria silenziosa.
Le rondini sfiorano le acque spente
presso i laghetti lombardi,
volano come gabbiani sui piccoli pesci;
il fieno odora oltre i recinti degli orti.

Ancora un anno è bruciato,
senza un lamento, senza un grido
levato a vincere d’improvviso un giorno.

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PENSIERO D’AUTUNNO DI ADA NEGRI

 

Pensiero d’autunno

Fammi uguale, Signore, a quelle foglie
moribonde che vedo oggi nel sole
tremar dell’olmo sul più alto ramo.
Tremano sì, ma non di pena: è tanto
limpido il sole e dolce il distaccarsi
dal ramo, per congiungersi sulla terra.

S’accendono alla luce ultima, cuori
pronti all’offerta; e l’angoscia, per esse,
ha la clemenza d’una mite aurora.
Fa’ ch’io mi stacchi dal più alto ramo
di mia vita, così, senza lamento,
penetrata di Te come del sole.

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2 novembre, le poesie da dedicare a chi non c’è più

In occasione della giornata di commemorazione dei defunti, abbiamo selezionato alcune tra le più belle poesie da dedicare a chi non c’è più

 

Un pensiero particolare va alle persone che non ci sono più, a tutti quelli che sono lontani fisicamente ma non dal nostro cuore. In occasione della commemorazione dei defunti, abbiamo selezionato alcune tra le poesie più belle e toccanti da poter dedicare, anche solo idealmente, a chi non c’è più.

 

Il 2 Novembre è il giorno della memoria, il giorno in cui si ricorda chi ha sfiorato la nostra vita e che la vita ce l’ha donata.

Il 2 Novembre è solo un giorno della memoria, la memoria delle persone che si sono amate e che non ci sono più, ma che vivono nei ricordi di ognuno di noi, ogni giorno.

Credo che nessuno muoia
credo che l’anima in realtà
divenga un’ombra
e al culmine del suo vagare
si adagi ai piedi
d’un fiore non visto.
Quei fiori gialli
di cui son piene
le campagne
quando fai ritorno a casa
e vorresti che lei
esistesse.
(Carlo Bramanti)

La morte non è niente, io sono solo andato
nella stanza accanto.
Io sono io. Voi siete voi.
Ciò che ero per voi lo sono sempre.
Datemi il nome che mi avete sempre dato.
Parlatemi come mi avete sempre parlato.
Non usate mai un tono diverso.
Non abbiate un’aria solenne o triste.
Continuate a ridere di ciò che ci faceva
ridere insieme.
Sorridete, pensate a me, pregate per me.
Che il mio nome sia pronunciato in casa
come lo è sempre stato.
Senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra
di tristezza.
La vita ha il significato di sempre.
Il filo non è spezzato.
Perchè dovrei essere fuori dai vostri pensieri?
Semplicemente perchè sono fuori dalla vostra vista?
Io non sono lontano, sono solo dall’altro lato
del cammino.
(Henry Scott Holland)

Allora Almitra parlò dicendo: Ora vorremmo chiederti della Morte.
E lui disse:
Voi vorreste conoscere il segreto della morte.
ma come potrete scoprirlo se non cercandolo nel cuore della vita?
Il gufo, i cui occhi notturni sono ciechi al giorno, non può svelare il mistero della luce.
Se davvero volete conoscere lo spirito della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita.
poiché la vita e la morte sono una cosa sola, come una sola cosa sono il fiume e il mare.
Nella profondità dei vostri desideri e speranze, sta la vostra muta conoscenza di ciò che è oltre la vita;
E come i semi sognano sotto la neve, il vostro cuore sogna la primavera.
confidate nei sogni, poiché in essi si cela la porta dell’eternità.
La vostra paura della morte non è che il tremito del pastore davanti al re che posa la mano su di lui in segno di onore.
In questo suo fremere, il pastore non è forse pieno di gioia poiché porterà l’impronta regale?
E tuttavia non è forse maggiormente assillato dal suo tremito?
Che cos’è morire, se non stare nudi nel vento e disciogliersi al sole?
E che cos’è emettere l’estremo respiro se non liberarlo dal suo incessante fluire, così che possa risorgere e spaziare libero alla ricerca di Dio?
Solo se berrete al fiume del silenzio, potrete davvero cantare.
E quando avrete raggiunto la vetta del monte, allora incomincerete a salire.
E quando la terra esigerà il vostro corpo, allora danzerete realmente.
(Kahlil Gibran)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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